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A proposito di Punta Perotti/ Il parere dell'esperto |
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La tutela del paesaggio è un compito
fondamentale e qualificante della Repubblica per dettato costituzionale. Nel
nostro ordinamento non esiste un'accezione giuridica di edilizia. Solo verso
l’inizio del ‘900 l’urbanistica cominciò ad assumere consapevolezza dei propri
problemi scientifici, e pertanto si ebbero le prime leggi che stabilivano piani
regolatori di città. Dopo la prima guerra mondiale l'attività edilizia è
definitivamente inquadrata nel concetto di disciplina urbanistica e solo dopo
la seconda guerra mondiale tale concetto si afferma in modo incontrastato. La
ripartizione delle competenze fra Stato ed enti locali ha dato luogo a
interpretazioni contrastanti e a normazioni diverse. È accaduto che le pressioni degli interessi
economici abbiano reso necessaria l’introduzione di più forti sanzioni penali o
più incisive sanzioni amministrative e le disfunzioni dell'amministrazione
abbiano evidenziato l’esigenza di un comportamento più efficiente sanzionando i pubblici funzionari che non
adempiono ai loro doveri. Questi prodromi fattuali e giuridici
hanno dato la stura alla vicenda di Punta Perotti. Il sentire comune di una irreversibile
compromissione degli interessi pubblici e della qualità della vita ha paventato
il raggiungimento di una soglia di non ritorno alle lesioni dell'ambiente. Ciò
ha determinato un aumento del dinamismo dei giudici. Ecco, in soldoni, le
ragioni della realizzazione prima e della demolizione oggi del complesso di
Punta Perotti. Non credo che la vicenda debba essere spiegata solo ed
esclusivamente in termini tecnici e giuridici. Del resto, le decisioni dei
giudici hanno oramai detto tutto. Punta Perotti ha avuto risvolti soprattutto
penali, mentre, invece, sono i tribunali amministrativi che dovrebbero
occuparsi, perlomeno nella fase iniziale, della legittimità degli atti e dei
procedimenti amministrativi. Al contempo, Punta Perotti non può
essere paragonata allo scempio della valle dei templi in Sicilia, ovvero alla
triste realtà della costa salentina. In questi casi l’intervento del giudice
penale è scontato perché v’è l’assoluta mancanza di qualsivoglia atto di
assenso da parte della pubblica amministrazione. Per l’edificazione sul lungomare di Bari, invece,
mi risulta che l’amministrazione comunale abbia rilasciato agli istanti le
autorizzazioni del caso. I procedimenti penali si sono comunque conclusi con
una assoluzione e da Avvocato non ritengo di dover fare differenza tra il fatto
non costituisce reato, tra il fatto non sussiste e non aver commesso il fatto.
Quindi non siamo in presenza di uno scellerato che ha deciso nottetempo di
realizzare la propria residenza estiva, quanto piuttosto di uno dei maggiori
gruppi imprenditoriali del sud Italia che si è sempre avvalso e si avvale della
collaborazione di professionisti di comprovate capacità. Forse, apparirà
grottesco, ma l’unica vittima, rectius l’unico danneggiato risulta essere
l’imprenditore il quale ha tutto il diritto di intentare azioni di risarcimento
del danno nei confronti del Comune di Bari ed il fatto che ad oggi non vi siano
precedenti giurisprudenziali degni di rilievo non è sufficiente a far desistere
dalle richieste. Personalmente, in simili ipotesi, auspicherei il
risveglio della Corte dei conti in tema di eventuale responsabilità degli
amministratori pro tempore o dei dipendenti della pubblica amministrazione ai
quali compete la retta e scrupolosa applicazione della legge come adempimento
di specifici e precisi obblighi di servizio, per danni al paesaggio e
all'ambiente. *Amministrativista
del Foro di Lecce
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