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ARTE/ Tesori nascosti dell’Ottocento |
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Tra i tanti motivi di interesse
culturale e di richiamo turistico che offre la città di Piacenza un posto di
sicuro rilievo occupa la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, costituita dalla
competenza e dal gusto di un mecenate – Giuseppe, nato nel 1868 e scomparso nel
1937) – che dai primi anni del Novecento riunì una vasta collezione di dipinti,
sculture ed opere grafiche allo scopo di comporre una raccolta organica che
andasse dall’Ottocento romantico fino ai suoi contemporanei. Nel 1924 egli donò
tutta la sua collezione, comprendente oltre quattrocento pezzi, alla città
natale, facendo anche costruire a sue spese l’edificio destinato ad ospitarla,
su progetto gratuito dell’architetto piacentino Giulio Ulisse Arata;
l’inaugurazione della galleria si tenne nel 1931, assente il donatore, troppo
schivo per partecipare alla cerimonia, alla presenza dei principi Maria Josè ed
Umberto di Savoia. Si tratta di un’istituzione
davvero singolare non solo per la qualità delle opere che vi si conservano
(basti pensare alla impressionante serie dei dipinti di Antonio Fontanesi, a
quella non meno rilevante di Antonio Mancini, oppure ai capolavori di Boldini,
Zandomeneghi, Medardo Rosso, Michetti, Sartorio, Boccioni, Nomellini, Carena,
Casorati e De Pisis), ma ancora di più per la coerenza e le scelte del
collezionista che consentono un ideale viaggio all’interno delle arti
figurative tra il primo Ottocento e la prima metà del Novecento. In una struttura che deve tutto
(raccolte e contenitore) ad un grande collezionista come Ricci Oddi, è apparso
narturale, quasi un “debito” nei confronti del fondatore, programmare una serie
di mostre dedicate a quadrerie private, che, oltre al grande merito di farci
scoprire tesori nascosti nelle residenze dei collezionisti, invitino a farci
riflettere sul tema del collezionismo, sulla competenza e sensibilità di
autentici appassionati, cui si deve non solo la conservazione ma spesso la “scoperta”
stessa di tante ed importanti opere d’arte. La prima di queste, “Un altro ‘800.
Gusto e cultura in una quadreria oltrepadana” (catalogo Skira), curata dal
direttore della galleria Stefano Fugazza con Alda Guarnaschielli e Paul
Nicholls, presenta una cinquantina di opere di straordinaria qualità, raccolte
negli ultimi vent’anni, tra cui alcuni capolavori, come l’intenso Ritratto di donna del romano Antonio
Mancini, I cantastorie del veneto
Pietro Pajetta, Fiore reciso di
Pellizza da Volpedo (opera ritenuta superiore alla versione conservata al Museo
d’Orsay, per l’atmosfera astratta ed irreale che vi si coglie), Millbank Road di Aristide Sartorio. L’allestimento della mostra
nell’ambito di una galleria, connotata dall’impronta indelebile di un collezionista
come Ricci Oddi, induce a chiedersi se vi siano affinità nellle caratteristiche
delle due collezioni che in qualche modo vengono messe a confronto in un
identico contesto espositivo. Sicuramente vi è il dato cronologico che le
accomuna; ma c’è di più. Come ci dice Fugazza, “un’altra affinità stringente
tra le due raccolte è data dalle modalità con cui esse si sono costituite,
sulla base di una lunga, appassionata e testarda ricerca, finalizzata a
trovare, per i singoli artisti, le opere migliori, le più significative. Da
questo punto di vista, però, va registrata una differenza tra le scelte da loro
operate. Ricci Oddi aveva in animo di documentare lo sviluppo delle arti
figurative in Italia dall’Ottocento ai suoi tempi, con l’obiettivo di fornire un
quadro ampio e organico in cui fossero documentate le varie scuole regionali e
gli artisti figurassero con opere ben esemplificative delle loro modalità
espressive. Il collezionista oltrepadano, invece non ha tra le sue finalità la
completezza della raccolta e, soprattutto, non è interessato a rintracciare
opere che corrispondano pienamente alla maniera del singolo artista”. Anzi
l’anonimo collezionista (peccato che non si sveli il nome del fortunato ed
invidiabile proprietario di tanti bei quadri) è orientato a ricercare dipinti
che “si distinguano per la loro originalità anche all’interno di un percorso
artistico, al punto che talora si direbbero poco compatibili con il resto
dell’opera con la quale l’artista ha conquistato visibilità e notorietà”. Come a dire che il suo lavoro di
ricerca è stimolato dalla curiosità di scoprire (e di farci scoprire, in rare
occasioni come queste) che esiste un “altro” Ottocento, come suggerisce il
titolo della mostra, e che si possono rintracciare con indagini che non si
adagino in comode ed assodate catalogazioni, facce meno consuete o meno note
del lavoro di tanti artisti (come Borsa, Canella, Carcano, Conconi, Ferraguti,
Gignous, Marzi, Sanquirico e diversi altri) che stimolano ad andare oltre con
lo studio e a ripensare criticamente, nel suo complesso, un intero secolo di
arte figurativa nel nostro paese.
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