Chi è nato dopo il dicembre 1991
ha della televisione un concetto decisamente diverso di chi è più vecchio: i
nostri quattordicenni, infatti, considerano realtà ovvia che durante l’intero
arco delle 24 ore quotidiane la tv trasmetta programmi.
A qualunque ora, dallo schermo vengono immagini e suoni.
Nelle notti insonni, quando qualche preoccupazione o qualche malanno ci tengono
svegli, uno dei gesti più frequenti è ciabattare fino al divano che sta davanti
all’elettrodomestico e osservare ottusamente ciò che viene trasmesso.
La programmazione sulle 24 ore, alla Rai è iniziata nel dicembre 1991. Prima di
quella data, esistevano momenti in cui dallo schermo non usciva che un sibilo
abbastanza sgradevole ed un’immagine (il monoscopio…) che sembrava il bersaglio
d’un tiro a segno.
Cosa si trasmetteva? Leggiamo il palinsesto 1958:
“Spettacolo in pubblico. Giuochi e indovinelli. Lezioni di lingue. Varietà
musicale. Rubrica culturale storica o scientifica. Rivista. Film o ripresa
teatrale esterna. Concerto musica sinfonica o da camera. Programma per la
donna. Programma per le fanciulle”.
Da questo possiamo capire che la televisione era considerata come un potente
strumento di educazione popolare. Dallo strumento di educazione si è passati
allo strumento di intrattenimento.
Non si bada più alla qualità di
un programma, l’importante è che sia seguito.
Alla fine di aprile, di
quest’anno è stato diffuso un documento della Società Italiana di Pediatria, le
cui conclusioni sono agghiaccianti: “Se un bambino guardasse per due ore al
giorno Italia1 nella fascia oraria compresa tra le 15 e le 18, durante la quale
è trasmessa una programmazione specificatamente destinata all’infanzia, quel
bambino rischierebbe di vedere in un anno 31.500 spot pubblicitari”.
Dai 15 minuti giornalieri di
Carosello siamo arrivati alle 4 ore di spot quotidiani, e il dato è ancora
riferito alla sola fascia riservata al pubblico più piccolo.
Viviamo, infatti, immersi in una realtà doppia: la televisione, proprio perché
onnipresente e continua, si sta sostituendo (o si è già sostituita?) alla
realtà vera.
E non è un caso che lo spettacolo di moda ora è il “reality”: una vergognosa
sceneggiata che si propone come momento di vita vissuta sul quale aleggia
l’occhio inevitabile della telecamera, e dunque dello spettatore.
Che uomo sarà, che padre sarà il ragazzino del 2005 la cui mente è scavata da
migliaia di spot pubblicitari? Quale sarà il codice etico del bambino che viene
allevato nella certezza che la vita è degna di essere vissuta solo se sei
bello, magro, forte, ricco, veloce, furbo e spregiudicato quanto basta per far
fuori i concorrenti?
Chi fa la tv dice: se non ti piace, spegnila. Sembra tutto così facile… ma non
è vero: la televisione rappresenta l’ambiente: è possibile vivere indifferenti
all’ambiente in cui ci troviamo? Sì, ma non è certo facile, chi rifiuta la tv è
comunque costretto a vivere in mezzo ai milioni di persone che dipendono da
essa. È la tv che oggi crea, modifica e influenza il linguaggio, ma anche i
gusti, i costumi, il pensiero comune.