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Gli artisti disegnano il lavoro
La fatica dell’uomo in un secolo di arte grafica: in mostra a Lecce

  
di Michele DE LUCA

Un inedito itinerario all’interno della pittura della “macchia”, volto a studiare con rinnovata attenzione il suo sfaccettato,

“Non è infrequente che la vivezza del rappresentare il gesto della fatica ci venga data più dal disegno e dall’incisione che da un dipinto ad olio o da una scultura. Sappiamo che il segno, nella storia dell’arte, si è dimostrato il mezzo più duttile nella sperimentazione artistica, e il disegnare il lavoro, quale soggetto centrale nella produzione di immagini, è di per sé sperimentare, offrire un’idea della società nuova attraverso le forme dell’arte. E non sarebbe stato possibile trasfigurare il lavoro, il corpo del lavoratore, secondo modelli estetici creati per rappresentare la divinità, la nobiltà, i condottieri, la borghesia. Quindi il segno, la xilografia, l’incisione o la litografia, costituiscono tecniche creative particolarmente adatte a compiere questo percorso di ricerca a fronte di nuove pulsioni che il mutare della società pone all’artista”.

Sono considerazioni di Luigi Martini, che leggiamo nel poderoso catalogo (edito da Skira) che accompagna la mostra “Il lavoro inciso. Capolavori dell’arte grafica da Millet a Vedova” allestita al Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce, per essere poi, dal 14 settembre, trasferita alla Fondazione Stelline di Milano. È dalle litografie di Delacroix, di Courbet e di Daumier e dalle acqueforti di Jean-François Millet e quindi di Manet, dalla loro trasfigurazione del paesaggio attraverso le diverse tecniche incisorie, che emerge l’irrompere dei lavoratori come i nuovi protagonisti delle imponenti trasformazioni in atto nella società, sullo sfondo di un ambiente che grazie al lavoro viene ad essere rimodellato ed assumere nuovi connotati: dalle ciminiere che ridisegnano il profilo delle città ai luoghi d’incontro, dai più moderni mezzi di trasporto allo sviluppo viario. E ciò contestualmente al nascere e diffondersi di giornali illustrati, che (prima del diffondersi della fotografia) attraverso il lavoro incisorio di tanti artisti, rispecchiano il nuovo modo di essere e di apparire dei luoghi e della società.

Cento opere – fra incisioni, litografie e disegni – realizzate dai grandi maestri europei in oltre un secolo di storia, dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta del secolo appena archiviato, tracciano il percorso della mostra (curata da Martini insieme a Patrizia Foglia e Chiara Gatti e promossa dall’Associazione Centenario Cgil), affrontando il rapporto tra il tema del lavoro e l’evoluzione, dalla tradizione alla modernità, del linguaggio grafico. In particolare, l’esposizione si concentra sulla stretta connessione fra il mondo dei lavoratori e quello degli artisti che con maggiore sensibilità si fecero interpreti di condizioni sociali, movimenti e anche lotte per l’emancipazione, utilizzando nelle diverse tecniche il linguaggio grafico, ora come strumento di denuncia, ora come il mezzo espressivo più idoneo a documentare e ad illustrare con immediatezza e tempestività.

Si parte dalle suggestive immagini dei “vangatori” e delle “spigolatrici” di Millet, dai butteri di Fattori, dai pastori di Fontanesi, dai pescatori di Greppi e dai popolani di Manet, per giungere ad una immagine più collettiva dei fenomeni e dei processi sociali connessi con il lavoro, con le trasmigrazioni delle popolazioni nei grandi centri urbani, che vedono di conseguenza rinnovare la propria fisionomia in forza dello sviluppo edilizio e dell’espansione industriale; immagine che viene colta e riprodotta (siamo a cavallo tra Otto e Novecento) da artisti come Signorini, Crane, Liebermann, Boccioni e Pellizza da Volpedo, di cui viene esposto un cartone preparatorio per la figura centrale di “Fiumana”, opera di forte carica simbolica, che rappresenta un passaggio ideale al mondo moderno e alla presa di coscienza, da parte dei lavoratori, della propria forza sociale, che irrompe nella storia con dignità e fermezza. C’è un comune denominatore che è alla base di una folta “categoria” di artisti i quali, a livello europeo, condividono, una convergente istanza per la valorizzazione del linguaggio grafico, da una parte, e per il superamento di una forte distanza, creatasi sul finire dell’Ottocento, tra arte e società; l’ambizione di molti di loro (da Rouault a Kollovitz, da Dix a Grosz, da Beckman al belga Permeke e agli italiani Viani e Sironi) è quella di diventare e di essere riconosciuti come “pittori-delegati dei proletari”, per usare una felice espressione di Pierre Mac Orlan, coniata per il pittore Vlaminck.

Nasce da loro un’arte di tipo documentario, motivata da “impegno” e “partecipazione”, che non mancherà di avere notevole incidenza su generazioni successive di artisti, alle prese con fatti storici di portata epocale, come le due guerre mondiali e i rispettivi “dopoguerra”, con forte impatto sulle tematiche del lavoro e della riconquista di diritti sociali. Un ampio panorama, a questo punto, la mostra offre sul “lavoro inciso” di casa nostra, rappresentato da artisti tra i più noti (da Guttuso a Zigaina, da Vespignani ad Attardi, da Ferroni a Migneco, da Zancanaro a Vedova) i quali, in un fecondo confronto di ricerche estetiche, danno vita ad una delle stagioni più interessanti e controverse dell’arte italiana del Novecento.

 

 

 


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