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Chi fa l'Europa?
  
di Carlo SAVINI

CHI FA L’EUROPA

La costruzione dell’Europa Unita, questa è l’impressione predominante delle popolazioni dei Paesi aderenti sempre più numerosi, è sempre dipesa dalla volontà dei Governi e dalle strategie di allargamento comunitario della Commissione delle Comunità Europee. Le popolazioni si sono allargate anche se, solo talvolta, consultate in referendum.

Se Cavour affermava, alla costituzione dello Stato Italiano che: “L’Italia è fatta, ma bisogna fare gli Italiani” intendendo con ciò di trovare una identità di intenti e di sentire nazionali, altrettanto vale per l’Europa Unita della quale le diverse genti si sentono e trovano coinvolte ma non sempre altrettanto partecipi perché investite di norme, limitazioni, condizionamenti normativi, regolamenti burocratici complessi difficilmente comprensibili ed utilizzabili nelle agevolazioni, possibilità imprenditoriali e così via.

Forse – ma è soltanto una interpretazione maliziosa – l’Europa Unita è il frutto di vertici senza i suoi cittadini che si sentono esclusi se non in occasione della elezione degli Europarlamentari, un Organismo Comunitario con funzioni di controllo, ma senza poteri decisionali sempre tutti affidati alla Commissione Europea composta da membri nominati dai Parlamenti e Governi Nazionali e da una euroburocrazia mastodontica quanto influenzata da interessi particolari nazionali e soggetta a pressioni di vario tipo per cui elaborano ipotesi di norme del tutto astruse (vedi la lunghezza dei gambi dei carciofi o quella delle banane commerciabili o quella – per fortuna abortita fin dall’inizio – di vietare i forni a legna per la cottura del pane e delle pizze perché inquinanti).

Nonostante la firma della Costituzione Europea, l’Europa Unita è ancora quella dei vertici e non quella dei cittadini pur nella loro rappresentanza parlamentare, senza sostanziale rapporto con gli elettori, se non raramente per motivi politici di parte.

Quale Europa dei cittadini? Quale Europa dei popoli? È triste doverlo constatare e denunciare, ma non ci esimiamo doverosamente e convintamente dal farlo.

Abbiamo, convintamente europeisti, sempre affermato la convinzione di una unità comunitaria non soltanto economicistica ma anche politica e sociale, rispettosa reciprocamente delle diverse identità storiche e culturali, aperta alla nuova integrazione con genti legittimamente integrate altrettanto rispettose delle loro fedi, usi e costumi pur senza rinunciare all’altrettanto rispetto del nostro pensare e vivere, della nostra identità storica, culturale e religiosa.

Altrettanto le strategie neo-politiche dell’Unione Europea e dei singoli Paesi costituenti fin dall’inizio, non possono prescindere dagli interessi delle nostre economie – con ovvi effetti sulla occupazione ed imprenditorialità delle nostre aziende agricole, vitivinicole, manifatturiere di diverso genere, informatiche, ecc. – così come i sostegni alle nostre aree socio-economiche più deboli.

Soprattutto non si può prescindere – e lo diciamo per la ennesima volta – da una priorità della politica euromediterranea dai vari risvolti economici, commerciali, turistici, culturali, politici con le diverse sponde del Mediterraneo.

La distanza fra le Istituzioni Europee ed i Cittadini Europei ci sembra maggiore. Vorrei esserne smentito documentatamente. Occorre una inversione di sistema. Occorre che sempre più noi cittadini europei ed euromediterranei creiamo nuove soluzioni alternative. Qualcosa sta già per nascere e ne parleremo presto. Intanto chiediamo ai nostri Parlamentari europei di essere più autenticamente ascolto e voce delle aspettative del loro elettorato, più fautori di una Europa che si costruisce dalla base e non soltanto da decisioni verticistiche spesso estranee alle reali esigenze di ciò che rappresentano.

 

 


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