|
|
Chi fa l'Europa? |
|
La costruzione dell’Europa
Unita, questa è l’impressione predominante delle popolazioni dei Paesi aderenti
sempre più numerosi, è sempre dipesa dalla volontà dei Governi e dalle
strategie di allargamento comunitario della Commissione delle Comunità Europee.
Le popolazioni si sono allargate anche se, solo talvolta, consultate in
referendum. Se Cavour affermava, alla
costituzione dello Stato Italiano che: “L’Italia è fatta, ma bisogna fare gli
Italiani” intendendo con ciò di trovare una identità di intenti e di sentire
nazionali, altrettanto vale per l’Europa Unita della quale le diverse genti si
sentono e trovano coinvolte ma non sempre altrettanto partecipi perché
investite di norme, limitazioni, condizionamenti normativi, regolamenti burocratici
complessi difficilmente comprensibili ed utilizzabili nelle agevolazioni,
possibilità imprenditoriali e così via. Forse – ma è soltanto una
interpretazione maliziosa – l’Europa Unita è il frutto di vertici senza i suoi
cittadini che si sentono esclusi se non in occasione della elezione degli
Europarlamentari, un Organismo Comunitario con funzioni di controllo, ma senza
poteri decisionali sempre tutti affidati alla Commissione Europea composta da
membri nominati dai Parlamenti e Governi Nazionali e da una euroburocrazia
mastodontica quanto influenzata da interessi particolari nazionali e soggetta a
pressioni di vario tipo per cui elaborano ipotesi di norme del tutto astruse
(vedi la lunghezza dei gambi dei carciofi o quella delle banane commerciabili o
quella – per fortuna abortita fin dall’inizio – di vietare i forni a legna per
la cottura del pane e delle pizze perché inquinanti). Nonostante la firma della
Costituzione Europea, l’Europa Unita è ancora quella dei vertici e non quella
dei cittadini pur nella loro rappresentanza parlamentare, senza sostanziale
rapporto con gli elettori, se non raramente per motivi politici di parte. Quale Europa dei cittadini?
Quale Europa dei popoli? È triste doverlo constatare e denunciare, ma non ci
esimiamo doverosamente e convintamente dal farlo. Abbiamo, convintamente
europeisti, sempre affermato la convinzione di una unità comunitaria non
soltanto economicistica ma anche politica e sociale, rispettosa reciprocamente
delle diverse identità storiche e culturali, aperta alla nuova integrazione con
genti legittimamente integrate altrettanto rispettose delle loro fedi, usi e
costumi pur senza rinunciare all’altrettanto rispetto del nostro pensare e
vivere, della nostra identità storica, culturale e religiosa. Altrettanto le strategie
neo-politiche dell’Unione Europea e dei singoli Paesi costituenti fin
dall’inizio, non possono prescindere dagli interessi delle nostre economie –
con ovvi effetti sulla occupazione ed imprenditorialità delle nostre aziende
agricole, vitivinicole, manifatturiere di diverso genere, informatiche, ecc. –
così come i sostegni alle nostre aree socio-economiche più deboli. Soprattutto non si può
prescindere – e lo diciamo per la ennesima volta – da una priorità della
politica euromediterranea dai vari risvolti economici, commerciali, turistici,
culturali, politici con le diverse sponde del Mediterraneo. La distanza fra le Istituzioni
Europee ed i Cittadini Europei ci sembra maggiore. Vorrei esserne smentito
documentatamente. Occorre una inversione di sistema. Occorre che sempre più noi
cittadini europei ed euromediterranei creiamo nuove soluzioni alternative.
Qualcosa sta già per nascere e ne parleremo presto. Intanto chiediamo ai nostri
Parlamentari europei di essere più autenticamente ascolto e voce delle
aspettative del loro elettorato, più fautori di una Europa che si costruisce
dalla base e non soltanto da decisioni verticistiche spesso estranee alle reali
esigenze di ciò che rappresentano.
|
|
|