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In un romanzo di Pietro Napoletano “Gli schiaffi del vento” |
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E’ un
romanzo, edito da “il Coscile” di Castrovillari, che si legge tutto ad un
fiato, perché la storia che vi si racconta è quanto mai attuale. E’ una piccola
storia di un’esile me bella ragazza dell’Est coinvolta, suo malgrado, dalla
grande storia che è iniziata dalla caduta del “muro” di Berlino e dal conseguente smembramento della grande
Federazione Sovietica che determinò il flusso migratorio, ancora in atto, ed a
tutti noto. E’
un’idea felice dello scrittore e poeta Pietro Napoletano, tra l’altro
pubblicista, la cui appartenenza al gruppo linguistico arbëresh (gli italo-albanesi
di Calabria, di antico insediamento), lo ha favorito almeno sotto l’aspetto
religioso, appartenendo egli alla Chiesa bizantino-cattolica e quindi
strettamente vicino a quella Ortodossa russa dell’Ucràina, dove il personaggio
chiave del suo romanzo, Halja, ha vissuto e che ritrova, in parte, in uno dei
luoghi che lo hanno visto soggiornare nell’Italia del Sud. E’ una
storia che si evolve sotto gli occhi del lettore, tra ampi riferimenti storici
e religiosi che costituiscono il modo di narrare del Napoletano, autore di
numerose altre opere, per lo più poetiche, alcune delle quali scritte nel suo
idioma antico, l’arbëresh. Nella
nota introduttiva, il Nostro richiama le emigrazioni dei calabresi
nell’immediato dopoguerra, descrivendone, seppure in modo essenziale, il dramma
del distacco dalla terra natia, amara ed avara, la speranza per un futuro
migliore nelle nuove terre da conquistare con il duro lavoro e la vita non
certo facile da affrontare con la gente diversa, di usanze e linguaggi
sconosciuti. Partivano senza sapere che un giorno sarebbero ritornati: “E vanno,/
lontano vanno!/ Cosa faranno, / se torneranno / nessun sa”. Tutto
questo, tormentava, senza dubbio, la mente della giovane ragazza di Lviv che
aveva deciso di iniziare il travagliato “pellegrinaggio” che l’avrebbe portata
alla fine nella Città Eterna e da qui, attraverso vicissitudini in parte
tormentate, nei luoghi descritti dal romanziere. Il personaggio Halja
assomiglia alle migliaia di ragazze provenienti dall’Est e che hanno invaso in
questi ultimi tempi anche i più piccoli paesi italiani. Belle d’aspetto, si
distinguono subito per i cappelli biondi, il viso roseo, gli occhi chiari e la
pelle bianca. Molte, messo piede in Italia sono diventate vittime della
criminalità organizzata; altre, più fortunate, svolgono attività lavorative e
assistenziali in modo davvero encomiabile. La nostra Halja, come loro, ha
dovuto sobbarcarsi tra mille difficoltà per inserirsi nel mondo del lavoro ed
acquistare la benevolenza di quanti avevano bisogno di lei. Il
personaggio, dirà l’Autore, è frutto della sua fantasia, come i fatti ed i
luoghi che il lettore avrà modo di conoscere leggendo il romanzo. L’idea è
scaturita dalla conoscenza fortuita con una di queste donne vere che vive e
lavoro nel suo paese. Cita il nome nell’introduzione, Iryna Omelchenko, che ben volentieri mi ha narrato la propria
odissea. Così motiva Pietro
Napoletano questo suo lavoro: “La
travagliosa peregrinazione di Halja, fermo restando il pietoso dramma personale
di ciascun emigrante, vuole dare anche un barlume di speranza, nel senso che
non è giocoforza finire sul marciapiede o nella rete del malaffare”. Non
stiamo qui a raccontare l’evoluzione cronologica della narrazione, ma non
possiamo non sottolineare l’emotività che prende il lettore attento di questo
esempio di vita vissuta in un contesto epocale di uno degli esodi che hanno
caratterizzato la storia contemporanea. Eventi questi che hanno colpito l’animo
sensibile dello scrittore, rivivendo con intensità il dramma di queste popolazioni
che, dopo aver subito l’onta dei regimi dittatoriali, hanno dovuto, una volta
liberi, abbandonare le proprie terre, ricche di storia, di cultura e di intensa
religiosità. Ritornerà
la coraggiosa Halja in Ucràina dopo la sua permanenza in Italia?
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