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Una Europa senza radici. La miopia dell’Occidente |
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Non possiamo non continuare a
guardare a Roma, alla Chiesa di Roma, al mondo cattolico, per quel che di
straordinario è successo nelle ultime settimane nel cuore della cristianità,
per i grandi avvenimenti che hanno caratterizzato un tempo seppur brevissimo ma
che è risultato di estrema intensità e di sublime pregnanza. Ed ancora per quel
dono di profonda spiritualità che si è sprigionato all’improvviso e che, come
per un giuoco tumultuoso di eventi, ha preso corpo e ci è stato sapientemente
elargito. Qualcosa di nuovo e per molti versi di inaspettato è accaduto in
questi giorni. La morte di un Pontefice, la sua sofferenza, il suo lento e
struggente addio, ha costretto il mondo nel suo complesso a fermarsi per un
tempo necessario a vivere non solo una contagiosa e profonda emozione ma
soprattutto ad essere partecipe del magistero di Papa Wojtyla, a riascoltare i
suoi moniti, le sue parole, i suoi accorati appelli, i suoi perentori
incitamenti, a rivisitare la profondità del suo disegno. Un tempo fermo ed estremamente
breve che ha però permesso ad ognuno di noi, ai tanti giovani, ai tanti
cittadini del mondo, ai tanti credenti ed ai molti curiosi, di avvicinarsi a se
stessi, di interrogarsi sulla propria condizione umana, di iniziare ad aprirsi
al proprio interno per colmare un vuoto, che per taluni è oggi forse divenuto
estremamente drammatico e pesante, o per stringere di nuovo, in maniera ancora
più convinta, un patto di fede e di amore. Un tempo utile per permettere di
riaccostarsi al piacere del sacro e del mistico, che da tempo sembra non
appartenere più alla dimensione dell’uomo di questo secolo, di rituffarsi nel
piacere di un abbandono forse ancestrale che riconduce inesorabilmente al
principio, che fortifica l’uomo. Ed ognuno di noi oggi si sente più ricco per
la forza espressa da quel tempo fermo. Questo dunque di meraviglioso ed
incredibile è avvenuto. Ma non solo, perché poi, al di là dell’aspetto
emozionale, del momento in cui si è quasi soffocati dai sentimenti ed il tempo
sembra non avere più dimensione, è sopraggiunto un altro momento, quello della
riflessione, della razionalità, il momento della riscoperta, della rivalorizzazione, il momento dei tanti
perché. Abbiamo rivisto la Chiesa con i
suoi simboli, con i suoi segni, con i suoi tempi, con la sua liturgia, con il
suo disegno universale, con la sua verità. Ci siamo sentiti improvvisamente più
ricchi e più poveri insieme ed abbiamo avvertito in maniera inequivocabile la
solitudine del tempo che viviamo. Il tempo che abbiamo speso soli nelle nostre
azioni, soli nel nostro mondo, soli nel nostro mondo occidentale, soli nella
nostra Europa di oggi. Soli pur in un’Europa colta ed illuminata, di cui
riusciamo sicuramente a percepire il trionfo della Ragione e di cui viviamo la
dinamica della tecnica e l’agio del suo uso. Soli a giustificare le nostre
scelte. E ci è sembrato di non riuscire ad intravedere la finalità ultima del
nostro correre. Ci è sembrato di non riuscire a trovare e a cogliere il senso
di appartenenza e la forza della comune condivisione di un progetto, di un
sogno. Ci siamo sentiti più soli anche
per la mancanza di un comune sentire europeo, di quello spirito occidentale che
è anima europea e che ancora oggi non riusciamo a trovare, per quella mancanza
di una comune chiave di lettura che
possa consentire di legare fra loro storie, culture e tradizioni
diverse. Abbiamo avvertito l’inadeguatezza di una forma di Europa, di una sorta
di stato sovranazionale che risultasse come arricchimento delle singole realtà
nazionali, l’incompletezza di una Costituzione europea che non giustifica e
sublima la nostra appartenenza ad una comunità non solo storica, geografica,
politica ed economica ma soprattutto umana. Abbiamo percepito la mancanza di quel
lievito utile e necessario a rendere pregnante il nostro essere europei.
Abbiamo avvertito una solitudine nell’essere cittadini di questo tempo. Abbiamo allora salutato con
gioia e con entusiasmo questa vitalità della Chiesa di Roma, questa sua attualità,
questo saper intervenire in soccorso del tempo. Per questo ci siamo stretti
intorno a Papa Giovanni Paolo II ed il suo pontificato ci è sembrato così più
grande. E con Lui la Chiesa nel suo insieme si è resa visibile con tutta la sua
opera, incessante nei secoli, intimamente legata alla nostra Europa, alla
nostra formazione culturale, religiosa, sociale e morale. Per questo abbiamo
accolto il nuovo Pontefice che ne è espressione piena e salutato con viva
simpatia la scelta di un nome che evoca il passato dell’Europa, che ricorda un
grande impegno ed una sfida ideale, che ci riporta ai grandi progetti, alle
forti passioni di quelle che danno energia all'uomo e che lo fortificano di
nuovi e più potenti contenuti. Perché è a partire da Roma, a partire dalla
Chiesa di Roma che possiamo riprendere un nuovo cammino. Ed oggi dunque continuiamo a
guardare a Roma, con gli occhi della speranza, per quello che tutto ciò può
significare per questo avvio di secolo, per questo terzo millennio che ha così
tremendamente bisogno di una specifica caratterizzazione. Ma anche per quello
che può risultare di utile e di proficuo per l’Europa tutta, per la sua unità,
per la sua identità, per il suo futuro, per l’Occidente, per la civiltà
occidentale nel suo insieme. Ritroveremo così quelle radici che sono state
negate, per miopia, per calcolo, ad un grande Papa.
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