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Una Europa senza radici. La miopia dell’Occidente
  
di Francesco CACCETTA

Un New Deal per l’Occidente

Non possiamo non continuare a guardare a Roma, alla Chiesa di Roma, al mondo cattolico, per quel che di straordinario è successo nelle ultime settimane nel cuore della cristianità, per i grandi avvenimenti che hanno caratterizzato un tempo seppur brevissimo ma che è risultato di estrema intensità e di sublime pregnanza. Ed ancora per quel dono di profonda spiritualità che si è sprigionato all’improvviso e che, come per un giuoco tumultuoso di eventi, ha preso corpo e ci è stato sapientemente elargito. Qualcosa di nuovo e per molti versi di inaspettato è accaduto in questi giorni. La morte di un Pontefice, la sua sofferenza, il suo lento e struggente addio, ha costretto il mondo nel suo complesso a fermarsi per un tempo necessario a vivere non solo una contagiosa e profonda emozione ma soprattutto ad essere partecipe del magistero di Papa Wojtyla, a riascoltare i suoi moniti, le sue parole, i suoi accorati appelli, i suoi perentori incitamenti, a rivisitare la profondità del suo disegno.

Un tempo fermo ed estremamente breve che ha però permesso ad ognuno di noi, ai tanti giovani, ai tanti cittadini del mondo, ai tanti credenti ed ai molti curiosi, di avvicinarsi a se stessi, di interrogarsi sulla propria condizione umana, di iniziare ad aprirsi al proprio interno per colmare un vuoto, che per taluni è oggi forse divenuto estremamente drammatico e pesante, o per stringere di nuovo, in maniera ancora più convinta, un patto di fede e di amore. Un tempo utile per permettere di riaccostarsi al piacere del sacro e del mistico, che da tempo sembra non appartenere più alla dimensione dell’uomo di questo secolo, di rituffarsi nel piacere di un abbandono forse ancestrale che riconduce inesorabilmente al principio, che fortifica l’uomo. Ed ognuno di noi oggi si sente più ricco per la forza espressa da quel tempo fermo. Questo dunque di meraviglioso ed incredibile è avvenuto. Ma non solo, perché poi, al di là dell’aspetto emozionale, del momento in cui si è quasi soffocati dai sentimenti ed il tempo sembra non avere più dimensione, è sopraggiunto un altro momento, quello della riflessione, della razionalità, il momento della riscoperta,  della rivalorizzazione, il momento dei tanti perché.

Abbiamo rivisto la Chiesa con i suoi simboli, con i suoi segni, con i suoi tempi, con la sua liturgia, con il suo disegno universale, con la sua verità. Ci siamo sentiti improvvisamente più ricchi e più poveri insieme ed abbiamo avvertito in maniera inequivocabile la solitudine del tempo che viviamo. Il tempo che abbiamo speso soli nelle nostre azioni, soli nel nostro mondo, soli nel nostro mondo occidentale, soli nella nostra Europa di oggi. Soli pur in un’Europa colta ed illuminata, di cui riusciamo sicuramente a percepire il trionfo della Ragione e di cui viviamo la dinamica della tecnica e l’agio del suo uso. Soli a giustificare le nostre scelte. E ci è sembrato di non riuscire ad intravedere la finalità ultima del nostro correre. Ci è sembrato di non riuscire a trovare e a cogliere il senso di appartenenza e la forza della comune condivisione di un progetto, di un sogno.

Ci siamo sentiti più soli anche per la mancanza di un comune sentire europeo, di quello spirito occidentale che è anima europea e che ancora oggi non riusciamo a trovare, per quella mancanza di una comune chiave di lettura che  possa consentire di legare fra loro storie, culture e tradizioni diverse. Abbiamo avvertito l’inadeguatezza di una forma di Europa, di una sorta di stato sovranazionale che risultasse come arricchimento delle singole realtà nazionali, l’incompletezza di una Costituzione europea che non giustifica e sublima la nostra appartenenza ad una comunità non solo storica, geografica, politica ed economica ma soprattutto umana. Abbiamo percepito la mancanza di quel lievito utile e necessario a rendere pregnante il nostro essere europei. Abbiamo avvertito una solitudine nell’essere cittadini di questo tempo.

Abbiamo allora salutato con gioia e con entusiasmo questa vitalità della Chiesa di Roma, questa sua attualità, questo saper intervenire in soccorso del tempo. Per questo ci siamo stretti intorno a Papa Giovanni Paolo II ed il suo pontificato ci è sembrato così più grande. E con Lui la Chiesa nel suo insieme si è resa visibile con tutta la sua opera, incessante nei secoli, intimamente legata alla nostra Europa, alla nostra formazione culturale, religiosa, sociale e morale. Per questo abbiamo accolto il nuovo Pontefice che ne è espressione piena e salutato con viva simpatia la scelta di un nome che evoca il passato dell’Europa, che ricorda un grande impegno ed una sfida ideale, che ci riporta ai grandi progetti, alle forti passioni di quelle che danno energia all'uomo e che lo fortificano di nuovi e più potenti contenuti. Perché è a partire da Roma, a partire dalla Chiesa di Roma che possiamo riprendere un nuovo cammino.

Ed oggi dunque continuiamo a guardare a Roma, con gli occhi della speranza, per quello che tutto ciò può significare per questo avvio di secolo, per questo terzo millennio che ha così tremendamente bisogno di una specifica caratterizzazione. Ma anche per quello che può risultare di utile e di proficuo per l’Europa tutta, per la sua unità, per la sua identità, per il suo futuro, per l’Occidente, per la civiltà occidentale nel suo insieme. Ritroveremo così quelle radici che sono state negate, per miopia, per calcolo, ad un grande Papa.   

 

 

 

 


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