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Lavoro e occupazione
  
di Mery ALBERTINI

Lavoro e occupazione: una sfida per le istituzioni internazionali e universitarie

Palermo ospita un importante convegno internazionale sulla questione lavoro

 

 

Il problema del lavoro viene avvertito dai cittadini come una vera e propria emergenza. Certamente questo scenario non è stato enfatizzato dai mezzi d’informazione, ma si tratta della realtà quotidiana in cui oggi viviamo.

Un problema così importante, che riguarda un gran numero di cittadini, non può lasciare indifferenti le istituzioni statali, le quali, per prime, dovrebbero avviare una serie di interventi. Eppure, nonostante la presenza di istituzioni finalizzate all’adozione d’interventi di pubblica utilità, ve ne sono altre che, attraverso gli strumenti di cui dispongono, si stanno sforzando di contribuire alla risoluzione di grandi questioni d’interesse generale. Tra queste ultime troviamo le università, le quali stanno cominciando a mostrarsi sempre più attente ai problemi della moderna società dedicandosi, dunque, non più soltanto alle tradizionali questioni accademiche.

Una università molto attiva in questo campo si sta rivelando l’ateneo privato LUMSA (Libera Università Maria SS. Assunta, sito in Roma) il quale ha organizzato il 30 marzo, nella propria sede distaccata di Palermo, un convegno internazionale sulle problematiche del lavoro in collaborazione con il sindacato CISL e il network europeo di ricerca e formazione ASEGE.

Uno degli aspetti più significativi del convegno è stato il coinvolgimento non solo di illustri studiosi del diritto del lavoro e del movimento sindacale (quali i professori Iolanda Piccinini, Vincenzo Valentini, Michel Martone, Andrea Ciampani), ma anche dei rappresentanti di organizzazioni sindacali dei paesi del bacino Mediterraneo prossimi all’Italia e della CISL, allo scopo di discutere di un problema comune e di proporre, in uno sforzo sinergico, delle valide soluzioni.

Sebbene, infatti, la discussione abbia riguardato, in special modo, il problema del lavoro in Italia è stato evidenziato come alcuni dei più vistosi fenomeni di destabilizzazione dell’occupazione dipendano anche da fenomeni internazionali, quali, ad esempio, la globalizzazione che avrebbe introdotto la flessibilità (nei contratti di lavoro, nei salari) in gran parte dei processi produttivi; è stato fatto notare che gli effetti negativi della flessibilità sui lavoratori sarebbero potuti essere attenuati se fossero state adottate, da parte dei governi di concerto con i sindacati, maggiori misure di protezione nei loro confronti, garantendone così i mezzi di sussistenza durante i periodi di inattività.

Un altro fenomeno che starebbe concorrendo con il primo al cambiamento radicale del sistema-lavoro è quello dell’immigrazione. Per una maggiore comprensione della portata di tale fenomeno si è fatto riferimento proprio alla città di Palermo, la quale, realizzando da sola, sul piano nazionale, un valore aggiunto pari a quello di una piccola regione come la Basilicata, avrebbe un valore paradigmatico innegabile.

La domanda delle imprese di lavoratori che svolgano impieghi che molti italiani hanno abbandonato ha incrementato l’immigrazione verso il nostro Paese e, dunque, anche verso il capoluogo siciliano. Secondo le più recenti stime ufficiali, a Palermo risiedono ben 19000 immigrati regolari da ben 150 paesi differenti con la conseguenza che sono nati forti problemi d’integrazione non solo con i cittadini italiani, ma anche all’interno della stessa comunità di cittadini immigrati: una soluzione razionale ed efficace, avanzata nel corso del convegno, potrebbe essere quella della  realizzazione di una politica d’integrazione euromediterranea fondata, oltre che sul libero scambio commerciale, anche sulla solidarietà e sulla condivisione di valori.

Insieme, però, all’immigrazione regolare (sia dal punto di vista dei permessi di soggiorno, sia da quello lavorativo) coesiste quella clandestina che continua a fornire manovalanza al lavoro nero che è causa di concorrenza sleale nei confronti di quelle imprese che, nel rispetto della legge e dei contratti collettivi nazionali, sostengono l’ingente costo del lavoro. Le politiche di lotta al lavoro nero saranno un utile strumento per consentire la sopravvivenza delle imprese oneste, che, diversamente, saranno costrette a chiudere con gravi ripercussioni occupazionali.

Nel corso dei lavori è stato posto in evidenza come anche una partecipazione maggiormente attiva dei cittadini europei ai processi decisionali che investono le politiche del lavoro, solitamente di competenza delle istituzioni politiche, potrebbe contribuirne al miglioramento. Un organismo internazionale che ha tra i propri fini questo obiettivo è la Confederazione Internazionale dei Sindacati, cui aderiscono centinaia di organizzazioni sindacali nazionali, la quale, messe da parte le ideologie classiste dominanti taluni sindacati, anche nel recente passato, intende rappresentare gli uomini e le donne che lavorano e le loro famiglie. Nel nostro Paese, un sindacato che sin dalle sue origini ha sempre lavorato in questa direzione è la CISL, la quale considera, inoltre, il correttivo di una vita democratica burocraticizzata, ovvero distante dai cittadini, un associazionismo sindacale indipendente e libero dai partiti e dalla politica, in modo che i cittadini lavoratori da questo rappresentati possano sviluppare un autonomo senso critico tale da renderli responsabilmente partecipi della vita politica e civile.

Tuttavia, in Italia, una parte dell’azione sindacale ha concorso a creare la difficile situazione che oggi, soprattutto le giovani generazioni, si trovano a dover vivere. Il periodo della recente storia italiana nella quale questa fase ha avuto inizio risale ai primi anni 90, quando i governi tecnici allora al potere al posto della classe dirigente coinvolta negli scandali di “tangentopoli”, aprirono la stagione della concertazione con i sindacati per provvedere al risanamento del gravissimo debito pubblico contratto dallo Stato. I risultati delle riforme che ne seguirono sono oggi più evidenti che mai: l’introduzione della flessibilità nel lavoro e il passaggio da un sistema previdenziale retributivo ad uno contributivo, quest’ultimo consistente, cioè, nell’erogazione della prestazione previdenziale  commisurata ai contributi versati: ma un giovane, la cui attività lavorativa è divenuta discontinua per effetto della flessibilità, come potrà sopravvivere nel futuro se la sua pensione sarà così esigua a causa del nuovo metodo di calcolo introdotto?

Di fronte ad un simile stato di emergenza, le università, che oggi si occupano della formazione di quegli stessi giovani che una volta fuori dalle asettiche aule universitarie si scontreranno con questi problemi, dovranno sentirsi in dovere di intervenire, con i mezzi di cui dispongono. Solo così l’esperienza di Palermo non resterà una goccia nell’oceano, ma sarà solo la prima di una serie di iniziative di sensibilizzazione non solo della classe dirigente, ma anche, e soprattutto, degli stessi giovani affinché comincino a prendere nelle proprie mani il loro destino, senza paura.

 

 


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