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Pena di morte. L'Italia desti l'Europa e il mondo |
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La politica estera del Governo
Prodi, dopo la palude del sequestro Mastrogiacomo, ha dato una prova di grande
maturità, passando ad affrontare finalmente un argomento serio come la pena di
morte. L’Italia ha chiesto ufficialmente una sospensione universale delle pene
capitali. L’azione governativa è
organizzata su due fronti: l’Onu e l’Unione Europea. Nella prima giornata di lavoro
dell’Italia come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite, l’ambasciatore Marcello Spatafora ha consegnato la richiesta del Governo
Prodi, e ha informato il Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza
dell’Onu, il russo Vitaly Churkin, della richiesta italiana che l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite affronti la questione della moratoria universale
della pena di morte, partendo proprio da un documento presentato lo scorso dicembre
dalla stessa Assemblea. Anche il nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite,
il sud coreano Ban Ki Moon ha appoggiato l’abolizione della pena capitale e ha
garantito che l’Onu lavorerà in tal senso. Non dimentichiamo però che Ban ki
Moon è stato Ministro degli Affari Esteri in Corea del Sud, un paese in cui la
pena di morte è ancora in vigore. O il Segretario Generale ha avuto
un’evoluzione morale e umana coincidente con l’elevazione al soglio di
Washington oppure è ancora incerto sul da farsi, considerata anche la sua prima
reazione alla proposta del nostro paese: “il tema della pena di morte verrà
affrontato e risolto all’interno di ogni singolo Stato”, aveva detto. Qualcuno
poi gli deve aver ricordato che l’Onu ha un orientamento diverso, e il neo
Segretario generale si è corretto velocemente. L’altro fronte di azione
italiana è l’Unione Europea. Il 23 aprile il Ministro degli Esteri Massimo
D’Alema ha presentato al Consiglio degli Affari Generali dell’UE la proposta di
abolizione della pena di morte. I bene informati affermano che ci sia stata
anche una telefonata tra Romani Prodi e Angela Merkel per iniziare a costruire
un fronte comune europeo. L’azione diplomatica deve
seguire due direttive principali: cercare consensi in ogni Paese e mantenere la
piena compattezza dell’UE. Nella ricerca dei consensi la
strada sarà in salita, da un lato perché una parte dell’opinione pubblica
continua a ritenere la pena di morte un buon deterrente contro i crimini più
efferati (ma i dati negano questa motivazione) e resta convinta della necessità
di “pene esemplari”. Dall’altro lato una campagna di opinione contro
l’esecuzione capitale verrà avversata, in primis, da tre Stati, dotati di un
seggio permanente all’Onu (Stati Uniti, Russia e Cina), in cui i condannati per
i delitti più efferati vengono uccisi in vario modo. Una strutturata organizzazione
di contatti e consultazioni in tutti i Paesi potrebbe rappresentare la rampa di
lancio per l’intervento attivo della società civile e dell’opinione pubblica
mondiale. Per la seconda direttiva
dell’azione diplomatica, e cioè la piena compattezza dell’UE, la maturità
comunitaria raggiunta non ci dovrebbe far correre rischi, quindi si è al riparo
da atteggiamenti suicidi sotto il profilo internazionale. La battaglia contro la pena di
morte è una battaglia in nome della civiltà e della tutela dei diritti umani.
Questa forma di condanna ha una procedura inumana che continua ad essere usata
o intesa per finalità educative. Non contempla assolutamente la possibilità dell’errore
giudiziario nell’emissione della sentenza e non dà la minima possibilità al reo
di redimersi. E inoltre non dimentichiamo che lo Stato non ha il diritto di
decidere per una vita umana che non gli appartiene decretandone la morte. Il rispetto della persona umana
e della sua inviolabilità è una questione non da poco. Le esecuzioni capitali
che continuano ad avvenire stridono con il grado di civiltà che talune
democrazie sono convinte di aver raggiunto. La giustizia, inoltre, deve accompagnarsi inevitabilmente alla nonviolenza, e in questo modo, anche il boia peggiore potrà essere disarmato.
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