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L’ecogastronomia salverà il mondo |
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Nel mese di ottobre due eventi di rilievo mondiale, l’European Hero Award assegnato a Carlo
Petrini e Terra Madre - incontro
mondiale tra le comunità del cibo, hanno fatto conoscere al grande pubblico
Slow Food, movimento internazionale a
sostegno della cultura del cibo e del vino. Chi tra
i più attenti già conosceva l’attività dell’associazione è rimasto ugualmente
sorpreso nell’apprendere i numeri e la portata mondiale di questo movimento che
ha origine a Bra, in Piemonte, tra le Langhe e il Roero, e conta oggi 80000
soci sparsi in 45 nazioni, sedi in Svizzera, Germania, USA, Francia, Spagna e,
a breve, in Giappone, dove è letteralmente scoppiato il fenomeno Slow. The Slow Food revolution, la definiscono i media internazionali, ma qual è la sostanza di un successo così
sorprendente? Come fa un’associazione che nasce come circolo ARCI nel 1986, ad
avere un seguito così vasto? E qual è l’evoluzione di una filosofia che da
origini puramente edonistiche oggi arriva a porsi come testimonianza di
fraternità e germe di speranza per i popoli? Di certo
una straordinaria serie di felici intuizioni ha portato Slow Food ad assumere
un ruolo primario nella cultura del cibo. Tra queste: il Salone del Gusto; Slow Food
Editore; l’Università di Scienze
Gastronomiche; l’Arca del Gusto,
scrigno ideale che descrive e segnala le piccole produzioni di eccellenza
minacciate dall’agricoltura industriale e dal degrado ambientale; i Presìdi, attività concrete di tutela di
questi prodotti sostenute da enti locali, associazioni, privati; la Fondazione per la Biodiversità, il Premio Slow Food. Ma ciò
che è realmente rivoluzionario è il cuore della filosofia slow, che all’omologazione del gusto ha saputo trovare risposte
complesse e articolate: l’educazione e lo sviluppo di una sensorialità
rinnovata; il rilancio di una cultura gastronomica che porta a nutrirsi
consapevolmente e con piacere; l’amore per il territorio e la tradizione come
fonti di particolarità e modelli di rispettosa convivenza con la natura e le
stagioni; l’affermazione convinta che la gastronomia non è un fatto elitario;
l’attenzione per la biodiversità; la promozione di azioni concrete di tutela;
la sensibilità verso problematiche socio-economiche più complesse. E la revolution è davvero dirompente se
assegna il Premio Slow Food (2003) all’Union
Namanegbzanga, un raggruppamento di villaggi del Burkina Faso “per essersi
riuniti con l’obiettivo di recuperare la fertilità di terreni a rischio di
sterilità, contribuendo alla salvaguardia dell’ambiente con progetti a lungo
termine, nella certezza del legame profondo che deve connettere l’agricoltura
con l’ambiente. Per aver contribuito alla reintroduzione di una maggiore
varietà di colture e quantità di piante coltivate, a difesa del suolo e a
garanzia di una più ampia disponibilità di cibo. Per aver dimostrato, con la
modalità partecipativa, che la democrazia è compagna insostituibile nella
difesa dell’ambiente.”
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