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L’ecogastronomia salverà il mondo
The Slow Food revolution

  
di Stefano Trane-Protopapa

Il mese scorso due eventi di rilievo mondiale hanno fatto conoscere al grande pubblico Slow Food, movimento internazionale a s

     Nel mese di ottobre due eventi di rilievo mondiale, l’European Hero Award assegnato a Carlo Petrini e Terra Madre - incontro mondiale tra le comunità del cibo, hanno fatto conoscere al grande pubblico Slow Food, movimento internazionale a sostegno della cultura del cibo e del vino.

Chi tra i più attenti già conosceva l’attività dell’associazione è rimasto ugualmente sorpreso nell’apprendere i numeri e la portata mondiale di questo movimento che ha origine a Bra, in Piemonte, tra le Langhe e il Roero, e conta oggi 80000 soci sparsi in 45 nazioni, sedi in Svizzera, Germania, USA, Francia, Spagna e, a breve, in Giappone, dove è letteralmente scoppiato il fenomeno Slow.

The Slow Food revolution, la definiscono i media internazionali, ma qual è la sostanza di un successo così sorprendente? Come fa un’associazione che nasce come circolo ARCI nel 1986, ad avere un seguito così vasto? E qual è l’evoluzione di una filosofia che da origini puramente edonistiche oggi arriva a porsi come testimonianza di fraternità e germe di speranza per i popoli?

Di certo una straordinaria serie di felici intuizioni ha portato Slow Food ad assumere un ruolo primario nella cultura del cibo. Tra queste: il Salone del Gusto; Slow Food Editore; l’Università di Scienze Gastronomiche; l’Arca del Gusto, scrigno ideale che descrive e segnala le piccole produzioni di eccellenza minacciate dall’agricoltura industriale e dal degrado ambientale; i Presìdi, attività concrete di tutela di questi prodotti sostenute da enti locali, associazioni, privati; la Fondazione per la Biodiversità, il Premio Slow Food.

Ma ciò che è realmente rivoluzionario è il cuore della filosofia slow, che all’omologazione del gusto ha saputo trovare risposte complesse e articolate: l’educazione e lo sviluppo di una sensorialità rinnovata; il rilancio di una cultura gastronomica che porta a nutrirsi consapevolmente e con piacere; l’amore per il territorio e la tradizione come fonti di particolarità e modelli di rispettosa convivenza con la natura e le stagioni; l’affermazione convinta che la gastronomia non è un fatto elitario; l’attenzione per la biodiversità; la promozione di azioni concrete di tutela; la sensibilità verso problematiche socio-economiche più complesse.

E la revolution è davvero dirompente se assegna il Premio Slow Food (2003) all’Union Namanegbzanga, un raggruppamento di villaggi del Burkina Faso “per essersi riuniti con l’obiettivo di recuperare la fertilità di terreni a rischio di sterilità, contribuendo alla salvaguardia dell’ambiente con progetti a lungo termine, nella certezza del legame profondo che deve connettere l’agricoltura con l’ambiente. Per aver contribuito alla reintroduzione di una maggiore varietà di colture e quantità di piante coltivate, a difesa del suolo e a garanzia di una più ampia disponibilità di cibo. Per aver dimostrato, con la modalità partecipativa, che la democrazia è compagna insostituibile nella difesa dell’ambiente.”

 

 

 

 


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