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Progetto Donna Bio Due |
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In
uno dei saloni del magnifico Palazzo Ducale di Urbino, ai primi di Novembre, si
è parlato di agricoltura biologica. Un argomento di scottante attualità stante
le continue polemiche che si susseguono sugli OGM. In particolare si è parlato
del progetto promozionale “ Donna Bio Due”, progetto che rappresenta la
naturale evoluzione del progetto “Donna Bio” approvato dall’Unione Europea ai
sensi del Reg.CE n.94/02 e realizzato da AMAB, l’Associazione marchigiana
Agricoltura Biologica, nel biennio 2003 e 2004. L’idea
di fondo del progetto è incentrata sulla scarsa conoscenza da parte dei
consumatori di cosa siano esattamente i prodotti di agricoltura biologica.
Infatti sono molti coloro che si domandano: “Perché dovrei mangiare prodotti
biologici?”. Il consumatore, molto spesso non sa che la scelta di mangiare
biologico è una scelta di qualità che porta conseguenze positive per sé e per
gli altri. È ormai innegabile ed assodato che i prodotti alimentari del
circuito convenzionale hanno una quantità enorme di residui nocivi per la
salute umana. Il Progetto “ Donna Bio Due” punta, pertanto, a convertire la
potenziale forte identità commerciale dei prodotti biologici in reale
possibilità di acquisto da parte dei consumatori italiani, superando la paradossale
situazione per cui l’Italia risulta essere il primo produttore europeo di
prodotti biologici, mentre per il consumo risulta essere nettamente in
retroguardia. Fra l’altro è prevista un’apposita campagna promozionale rivolta
sia alle famiglie e, fra queste, alle donne che in particolare sono le principali
responsabili degli acquisti, sia agli operatori, agli agricoltori ed ai
responsabili delle mense scolastiche e della distribuzione degli alimenti e,
infine, ai giornalisti, agli opinionisti ed agli esperti di enogastronomia. È,
insomma, un problema di informazione, ma anche di prezzo e di credibilità.
Bisogna informare di più sui benefici, bisogna che la differenza di prezzo fra
prodotto convenzionale e biologico diminuisca, bisogna far capire e dimostrare
come i controlli siano seri, precisi ed efficaci. Sicuramente
l’aumento della sensibilità del consumatore verso i temi della salute e
dell’ambiente certamente farà lievitare sempre più la domanda degli alimenti da
agricoltura biologica. L’attenzione dell’opinione pubblica è sempre più diretta
ai temi della qualità dei consumi e della valorizzazione dell’origine dei
prodotti. A questi aspetti si aggiungono poi alcune preoccupazioni, come il
proliferare delle allergie, gli scandali alimentari che si sono succeduti in
questi ultimi anni, fattori che portano i consumatori a ricercare maggiori
garanzie ed una maggiore protezione. In
occasione del Convegno abbiamo avuto potuto incontrare e conoscere un
personaggio che definire straordinario è poco più di un eufemismo. Stiamo
parlando di Gino Girolomoni, nato nel 1946 a Isola del Piano, poco lontano da
Urbino, agricoltore biologico dal 1974 e soprattutto responsabile della
cooperativa Alce Nero, fondata nel 1977, i cui prodotti sono oggi esportati in
tutto il mondo. “In
questi trent’anni di lavoro – ci dice – quali seminatori di grano e produttori
di una pasta buona riconosciuta come tale in tutto il mondo abbiamo fatto
alcune riflessioni, e ci siamo posti molte domande a cui vogliamo tentare di
rispondere perché non ci fidiamo delle risposte che, anche in questi giorni, ci
hanno dato luminari del mondo scientifico italiano come Umberto Veronesi,
Tullio Regge, Gianfranco Quaglia i quali, infastiditi dal successo di Terra
Madre a Torino dove cinquemila contadini di tutto il mondo hanno dialogato con
Carlin Petrini, Vandana Shiva, Frey Betto, Carlo d’Inghilterra per difendere i
valori della buona terra e dei suoi frutti, hanno sostenuto sui giornali
italiani che tutte queste idee sono medioevo, che il biologico è un regresso
dell’economia e che sono meglio i semi OGM. Noi, invece, ci chiediamo perché la
celiachia stia colpendo un italiano su cento, perché tante intolleranze ai
cereali e tante allergie? Insomma,
per Gino Girolomoni l’agricoltura biologica non è l’agricoltura del passato ma
quella del futuro.
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