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La guerra di Mimmi |
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Novembre. Tempo di memorie.
Tempo in cui il meglio che possa capitare, tra retorica e sentimentalismi, è di
venire direttamente interpellati riguardo alla propria immanente precarietà. Con serena lucidità. E viatico essenziale di questi
giorni possono essere i pensieri di un ragazzo chiusi in un volumetto muffito
ritrovato tra la polvere di vecchie carte. Pensieri di un ragazzo di
diciannove anni la cui storia, come apprendiamo giorno p Domenico Ciardo, Mimmi, nato a Gagliano del Capo il 10
settembre 1898, aspirante ufficiale del Genio Zappatori, dopo aver raggiunto la
zona di guerra il 3 settembre 1917, muore con una pallottola austriaca in
fronte il 25 ottobre sull’altipiano di Bainsizza, seguendo di pochi mesi nella
triste sorte Francesco, suo fratello maggiore; sorte comune anche a Biagio,
l’altro fratello, che cade l’anno seguente. Pensieri esemplari, forse
troppo, di un ragazzo innamorato delle macchine e dell’elettricità tanto da
sognare di brevettare una “stampante termica” ante litteram da collegare al telegrafo; appassionato studente di
Fisica a Roma, alle prese col disegno a mano libera delle cubiche di Newton;
lettore entusiasta dei “Miserabili”; smanioso di andare alla guerra tanto da
esultare all’esito positivo della visita di leva, nonostante le raccomandazioni
paterne per una seconda visita medica con la latente speranza di accertare
qualche “impedimento”. Pensieri che si segnalano per la
proprietà e la qualità dell’espressione, pensieri di cui il padre (per la
seconda volta e con grande rammarico) è consapevolmente l’editore postumo; il
padre che dopo la perdita, come può avvenire per chi non ha neanche il conforto
di piangere il corpo dei propri cari, non sa darsi pace e scrive più volte ai
superiori per farsi descrivere minuziosamente l’azione di guerra. Che dire? La storia, la guerra,
si sanno, si studiano ma quando si ritrovano con le stesse parole, non nei
libri di scuola, ma nelle memorie del nostro piccolo paese, commuovono. Domenico Ciardo, altezza uno e
sessantacinque, torace ottanta, abile! Com’erano fieri, pettoruti e idealisti i
nostri bisnonni prima della Grande Guerra! Il mondo appena uscito dall’800, non
aveva ancora conosciuto la barbarie del ‘900. E nelle lettere non cedevano
alle nostre confidenze intime e complesse. Con tenerezza leggiamo solo ogni
tanto di qualche incrinatura nella giovanile baldanza di Mimmi, per la prima
volta lontano da casa. Eppure c’era dolcezza e una sorprendentemente moderna,
dignitosa, informale, familiarità nelle loro parole. Non ci sono significati profondi
da ricercare in questi scritti, né è onesto, oramai, (non più), additarne i
contenuti come modelli di condotta esemplare; non è più materia di analisi
storiografiche che sono state già condotte. Cosa possiamo trarne allora?
Inaspettata dolcezza, com-patimento e uno stato di più sorvegliata coscienza. “Amore e Luce” – L’ultimo anno
di vita dell’aspirante ufficiale Domenico Ciardo morto il 25 ottobre 1917,
nelle sue lettere alla famiglia, pubblicate dal padre. Roma, Tipografia Pontificia
nell’Istituto Pio IX (Artigianelli di S.Giuseppe) - 1918 LETTERE Zona di Guerra 20‑10‑17 Miei carissimi, Solamente oggi mi sono giunti foglietti e buste; ed eccomi
a voi, per dar sfogo, in una volta, al discreto fascio di notizie formatosi,
intanto nell’attesa. Dunque, sono in zona di guerra:
più precisamente, mi trovo sul ridosso dell’Altipiano di Bainsizza, proprio di
fonte a Santa Lucia: in altri termini, son capitato in una delle zone
conquistate nell’ultima offensiva. La nostra prima linea dista
dall’accampamento circa due km e mezzo dalla prima linea austriaca settecento
metri circa. Come vedi, siamo al sicuro, tanto più che queste distanze vanno
intese in linea d’aria. Di fronte all’accampamento si erge il monte Crava,
colla cresta popolatissima di artiglieria nostra di tutti i calibri. I nemici
vi tirano sempre, perché quei pezzi lì li disturbano maledettamente. Mi sono già abituato al rombo
continuo di cannoni, e a poco a poco vado acquistando la percezione esatta
delle variazioni che subiscono i sibili dei proiettili, a seconda dei vari
calibri. Così, per esempio, i proiettili da 75 stridono, quelli da 149 ronfano;
i 152 sibilano, i 305 urlano! È tutta una gradazione di rumori, che col tempo
diventa assolutamente familiare. Dormo sotto la tenda: si soffre
un po’ il freddo causato dalla continua poggia, che ‑ da quando sono
arrivato ‑ vien giù senza posa: ma mi ci sono già abituato. Sette giorni
fa, a Pavia, non avrei potuto credere, o sperare, di dormire sonni
profondissimi sotto un semplice telo di tenda, piantato alla meglio nel
terreno. Tutto è abitudine al mondo. Figurati che ora nemmeno i cannoni mi
svegliano! Sto benissimo. Non rimpiango gli
agi abbandonati, perché non mi sento tanto debole da arrivare a tal punto.
Piuttosto rimpiango voi, miei carissimi, che rivedrò chi sa quando!... A questo riguardo non c’è forza
morale che basti! Specie in certe ore del giorno, la nostalgia degli affetti ti
prende, t’incatena, e ti fa desiderare, volere, sperare, sognare ‑ ad
occhi aperti ‑ l’impossibile! Non vi sono più i monti, le foreste, i
fiumi: non vi sono più soldati, cannoni, austriaci, italiani; non vi è più la
guerra... Spalancati, fissi nel sogno nostalgico, gli occhi non vedono che la
casa natìa, il babbo, la mamma, i fratelli!... Poi il sogno passa. In un attimo
si ritorna soldati; si rivedono i monti, i fiumi; si sente il cannone tuonare;
si ha di nuovo ‑ ancora e sempre ‑ la nozione esatta delle cose! . . . . . . . . . . . . . . . .
. . Riprendo a scrivere dopo molte
ore, al lume della candela, sotto la tenda. Che vuoi? Quassù è assolutamente
impossibile disporre del tempo a proprio piacimento: pazienza! Ti dirò nella prossima mia
quello che faccio, come passo il tempo, e molte altre cose. Se non ti dispiace,
mandami qualche poco di fichi e dei francobolli. Bacio fratelli e sorelle; a te e
a mamma, col mio costante ricordo, vadano tutte le affezioni del vostro M Zona di Guerra, 22 ottobre 1917 Mio caro papà, Forse a quest’ora avrai già
ricevuto la mia del 20: faccio seguito, perché ho molto altro da dirti. E,
prima di ogni altra cosa, ti comunico che, stamane, ho riportato la prima
ferita! Non ti spaventare, perché sono stato molto fortunato. Si tratta di una
pietra tagliente ‑ detrito di mina ‑ che mi ha colpito sul naso. Di
questo ha intaccato solamente l’epidermide, senza rompere l’osso: perciò ti
dicevo che sono stato ben fortunato. Ora son tutto fasciato, ma già... in via
di guarigione! Ieri, 21, la fortuna mi ha anche
protetto visibilmente. Mentre, seduto su di un cavallo di Frisia metallico,
attendevo al mio lavoro, scoppia all’altezza della testa uno shrapnel: bene,
una delle pallette viene a cadere con violenza sul mio cavalletto, si rompe in
due, mi passa, fischiando, tra le gambe, e va a ficcarsi nel terreno. lo non ho riportato la minima
scalfittura! Conservo sempre la palletta che ha questa forma, presso a poco [un
piccolo schizzo lineare sulla carta). Come vedi, ... «di bene sperar
mi è cagione » tutto questo, per dirla col Poeta: e faccia il Cielo che la
fortuna mi sia sempre propizia sino alla fine. Non per me, ma per voi tutti,
per mamma specialmente! Ce sont ceux qui restent, ceux qui luttent! Il tempo si è rimesso,
finalmente, dopo quindici giorni di continua pioggia; oggi c’è il sole ed una
fresca brezza che fan tanto bene alla salute, dopo l’umidità dei passati
giorni. I nemici stan quieti, per ora.
Si è parlato con insistenza di prossime azioni da parte loro, ma non c’è niente
di vero. Solo le artiglierie brontolano sempre: si direbbero delle vecchie
suocere in zona di guerra! Ho iniziato dal mio arrivo qui,
e proseguo sempre felicemente, un diario della mia vita militare in zona di
guerra. Oltre che una fedele cronistoria dei fatti che più da vicino mi
riguardano, questo diario contiene tutte le impressioni che possono destare,
nell’animo del combattente, le varie vicende della novissima vita. A taluni,
ciò potrebbe sembrare poesia vuota: per me rappresenta il desiderio veramente
umano ‑ positivamente umano ‑ di un individuo che voglia mettersi,
un giorno, nella possibilità di rivivere un istante della sua vita, bello se
pur tragico, grandioso se pur selvaggio. Non è così? A Padova, prima di partire,
comperai I miserabili nel testo originale francese. E li leggo ora, qui,
pagina per pagina, come e quando posso. Sono tanto belli! Gli ufficiali di
compagnia, però, compreso il Sig. Capitano, non partecipano al mio entusiasmo
per l’Opera. I Miserabili, dicono,
sono un romanzo buono a leggersi fino ai 19 anni: non dopo, perché ispirano
della vita un concetto irreale, poetico! Domando io come si faccia a ragionar
così! Se vi è libro che meglio svisceri la società umana ‑ che poi è la
vita ‑ mostrandone le falle, i torti, le brutture; se vi è libro che
meglio presenti la vita nel suo aspetto reale di rosa tutta piena di spine, che
meglio disponga l’animo a corazzarsi e a premunirsi, questo è il capolavoro
dell’Hugo: non ti pare che sia così? È, romanzo, ma è realtà. Di poesia c’è
soltanto la finissima tela dell’ artista‑scrittore. Tranne che, poi, non
si voglia considerare poeta un uomo, un infelice, un miserabile fisso nella
idea di redenzione. È ben altra la poesia! Vedi un po’ dove sono andato a
finire! Ma credi pure che qui, in zona di guerra, il più futile degli argomenti
è sempre eccellente per farci sopra una chiacchierata. Mi pare di aver lasciato la casa
e voi, miei carissimi, da cento anni... ; e dovrà passare ancora tanto tempo
prima di rivedervi! Vi penso sempre sempre, in ogni
istante! Mi sento gigante per fare la guerra, ma divento un coniglio quando
penso a voi! Non la paura mi viene del coniglio: ma la debolezza dell’anima di
figlio, di fronte alla forza dell’anima del Soldato! Il tempo rimedierà anche a
questo! Gli ufficiali della compagnia
sono tutti brava gente, a cominciare dal signor Capitano. Ho, come compagno di
tenda, un Sottotenente napoletano, col quale, da Cividale in poi, ho diviso le
non poche peregrinazioni di viaggio. Di queste parla diffusamente il mio
diario, e quindi non ne accenno qui. Un giorno, piacendo a Dio, leggeremo
insieme! Interrompo, per scrivere a
Vincenzino: a Biagio, non posso, perché non ricordo bene il numero della
Sezione Mitragliatrici cui appartiene. Scrivimi subito ed a lungo: è
tanto tempo che non mi parlate! Giovannina è ancora a Lecce? Ed
il gatto è ritornato? Curiosa! Combinazione o no, anche epistolarmente le
vicende di Giovannina e del suo gatto, riflettono un’altra realtà della
famiglia. Precisamente: Dorè sta a Miss
come Giovannina sta a Gatto! Tante affezioni agli amici
tutti: a Pippi, Dorè, Giovannina, tanti abbracci; a te e a mamma ‑ con
l’augurio di rivederci un giorno non lontano ‑ tutto l’affetto del vostro Mimmi
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