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La guerra di Mimmi

  
di Stefano TRANE-PROTOPAPA

Novembre

Novembre. Tempo di memorie. Tempo in cui il meglio che possa capitare, tra retorica e sentimentalismi, è di venire direttamente interpellati riguardo alla propria immanente precarietà.

Con serena lucidità.

E viatico essenziale di questi giorni possono essere i pensieri di un ragazzo chiusi in un volumetto muffito ritrovato tra la polvere di vecchie carte.

Pensieri di un ragazzo di diciannove anni la cui storia, come apprendiamo giorno per giorno dalle lettere al padre, ha un tragico epilogo esattamente 87 anni fa.

Domenico Ciardo, Mimmi, nato a Gagliano del Capo il 10 settembre 1898, aspirante ufficiale del Genio Zappatori, dopo aver raggiunto la zona di guerra il 3 settembre 1917, muore con una pallottola austriaca in fronte il 25 ottobre sull’altipiano di Bainsizza, seguendo di pochi mesi nella triste sorte Francesco, suo fratello maggiore; sorte comune anche a Biagio, l’altro fratello, che cade l’anno seguente.

Pensieri esemplari, forse troppo, di un ragazzo innamorato delle macchine e dell’elettricità tanto da sognare di brevettare una “stampante termica” ante litteram da collegare al telegrafo; appassionato studente di Fisica a Roma, alle prese col disegno a mano libera delle cubiche di Newton; lettore entusiasta dei “Miserabili”; smanioso di andare alla guerra tanto da esultare all’esito positivo della visita di leva, nonostante le raccomandazioni paterne per una seconda visita medica con la latente speranza di accertare qualche “impedimento”.

Pensieri che si segnalano per la proprietà e la qualità dell’espressione, pensieri di cui il padre (per la seconda volta e con grande rammarico) è consapevolmente l’editore postumo; il padre che dopo la perdita, come può avvenire per chi non ha neanche il conforto di piangere il corpo dei propri cari, non sa darsi pace e scrive più volte ai superiori per farsi descrivere minuziosamente l’azione di guerra.

Che dire? La storia, la guerra, si sanno, si studiano ma quando si ritrovano con le stesse parole, non nei libri di scuola, ma nelle memorie del nostro piccolo paese, commuovono.

Domenico Ciardo, altezza uno e sessantacinque, torace ottanta, abile! Com’erano fieri, pettoruti e idealisti i nostri bisnonni prima della Grande Guerra! Il mondo appena uscito dall’800, non aveva ancora conosciuto la barbarie del ‘900.

E nelle lettere non cedevano alle nostre confidenze intime e complesse. Con tenerezza leggiamo solo ogni tanto di qualche incrinatura nella giovanile baldanza di Mimmi, per la prima volta lontano da casa. Eppure c’era dolcezza e una sorprendentemente moderna, dignitosa, informale, familiarità nelle loro parole.

Non ci sono significati profondi da ricercare in questi scritti, né è onesto, oramai, (non più), additarne i contenuti come modelli di condotta esemplare; non è più materia di analisi storiografiche che sono state già condotte.

Cosa possiamo trarne allora? Inaspettata dolcezza, com-patimento e uno stato di più sorvegliata coscienza.

 

“Amore e Luce” – L’ultimo anno di vita dell’aspirante ufficiale Domenico Ciardo morto il 25 ottobre 1917, nelle sue lettere alla famiglia, pubblicate dal padre.

Roma, Tipografia Pontificia nell’Istituto Pio IX (Artigianelli di S.Giuseppe) - 1918

 

LETTERE

 

 

Zona di Guerra 20‑10‑17

 

Miei carissimi,

Solamente oggi mi sono giunti foglietti e buste; ed eccomi a voi, per dar sfogo, in una volta, al discreto fascio di notizie formatosi, intanto nell’attesa.

Dunque, sono in zona di guerra: più precisamente, mi trovo sul ridosso dell’Altipiano di Bainsizza, proprio di fonte a Santa Lucia: in altri termini, son capitato in una delle zone conquistate nell’ultima offensiva. La nostra prima linea dista dall’accampamento circa due km e mezzo dalla prima linea austriaca settecento metri circa. Come vedi, siamo al sicuro, tanto più che queste distanze vanno intese in linea d’aria. Di fronte all’accampamento si erge il monte Crava, colla cresta popolatissima di artiglieria nostra di tutti i calibri. I nemici vi tirano sempre, perché quei pezzi lì li disturbano maledettamente.

Mi sono già abituato al rombo continuo di cannoni, e a poco a poco vado acquistando la percezione esatta delle variazioni che subiscono i sibili dei proiettili, a seconda dei vari calibri. Così, per esempio, i proiettili da 75 stridono, quelli da 149 ronfano; i 152 sibilano, i 305 urlano! È tutta una gradazione di rumori, che col tempo diventa assolutamente familiare.

Dormo sotto la tenda: si soffre un po’ il freddo causato dalla continua poggia, che ‑ da quando sono arrivato ‑ vien giù senza posa: ma mi ci sono già abituato. Sette giorni fa, a Pavia, non avrei potuto credere, o sperare, di dormire sonni profondissimi sotto un semplice telo di tenda, piantato alla meglio nel terreno. Tutto è abitudine al mondo. Figurati che ora nemmeno i cannoni mi svegliano!

Sto benissimo. Non rimpiango gli agi abbandonati, perché non mi sento tanto debole da arrivare a tal punto. Piuttosto rimpiango voi, miei carissimi, che rivedrò chi sa quando!...

A questo riguardo non c’è forza morale che basti! Specie in certe ore del giorno, la nostalgia degli affetti ti prende, t’incatena, e ti fa desiderare, volere, sperare, sognare ‑ ad occhi aperti ‑ l’impossibile! Non vi sono più i monti, le foreste, i fiumi: non vi sono più soldati, cannoni, austriaci, italiani; non vi è più la guerra... Spalancati, fissi nel sogno nostalgico, gli occhi non vedono che la casa natìa, il babbo, la mamma, i fratelli!... Poi il sogno passa. In un attimo si ritorna soldati; si rivedono i monti, i fiumi; si sente il cannone tuonare; si ha di nuovo ‑ ancora e sempre ‑ la nozione esatta delle cose!

. . . . . . . . . . . . . . . . . .

Riprendo a scrivere dopo molte ore, al lume della candela, sotto la tenda. Che vuoi? Quassù è assolutamente impossibile disporre del tempo a proprio piacimento: pazienza!

Ti dirò nella prossima mia quello che faccio, come passo il tempo, e molte altre cose. Se non ti dispiace, mandami qualche poco di fichi e dei francobolli.

Bacio fratelli e sorelle; a te e a mamma, col mio costante ricordo, vadano tutte le affezioni del vostro M

 

 

 

 

 

Zona di Guerra, 22 ottobre 1917

 

 

Mio caro papà,

Forse a quest’ora avrai già ricevuto la mia del 20: faccio seguito, perché ho molto altro da dirti. E, prima di ogni altra cosa, ti comunico che, stamane, ho riportato la prima ferita! Non ti spaventare, perché sono stato molto fortunato. Si tratta di una pietra tagliente ‑ detrito di mina ‑ che mi ha colpito sul naso. Di questo ha intaccato solamente l’epidermide, senza rompere l’osso: perciò ti dicevo che sono stato ben fortunato. Ora son tutto fasciato, ma già... in via di guarigione!

Ieri, 21, la fortuna mi ha anche protetto visibilmente. Mentre, seduto su di un cavallo di Frisia metallico, attendevo al mio lavoro, scoppia all’altezza della testa uno shrapnel: bene, una delle pallette viene a cadere con violenza sul mio cavalletto, si rompe in due, mi passa, fischiando, tra le gambe, e va a ficcarsi nel terreno.

lo non ho riportato la minima scalfittura! Conservo sempre la palletta che ha questa forma, presso a poco [un piccolo schizzo lineare sulla carta).

Come vedi, ... «di bene sperar mi è cagione » tutto questo, per dirla col Poeta: e faccia il Cielo che la fortuna mi sia sempre propizia sino alla fine. Non per me, ma per voi tutti, per mamma specialmente! Ce sont ceux qui restent, ceux qui luttent!

Il tempo si è rimesso, finalmente, dopo quindici giorni di continua pioggia; oggi c’è il sole ed una fresca brezza che fan tanto bene alla salute, dopo l’umidità dei passati giorni.

I nemici stan quieti, per ora. Si è parlato con insistenza di prossime azioni da parte loro, ma non c’è niente di vero. Solo le artiglierie brontolano sempre: si direbbero delle vecchie suocere in zona di guerra!

Ho iniziato dal mio arrivo qui, e proseguo sem­pre felicemente, un diario della mia vita militare in zona di guerra. Oltre che una fedele cronistoria dei fatti che più da vicino mi riguardano, questo diario contiene tutte le impressioni che possono destare, nell’animo del combattente, le varie vicende della novissima vita. A taluni, ciò potrebbe sembrare poesia vuota: per me rappresenta il desiderio veramente umano ‑ positivamente umano ‑ di un individuo che voglia mettersi, un giorno, nella possibilità di rivivere un istante della sua vita, bello se pur tragico, grandioso se pur selvaggio. Non è così?

A Padova, prima di partire, comperai I miserabili nel testo originale francese. E li leggo ora, qui, pagina per pagina, come e quando posso. Sono tanto belli! Gli ufficiali di compagnia, però, compreso il Sig. Capitano, non partecipano al mio entusiasmo per l’Opera. I Miserabili, dicono, sono un romanzo buono a leggersi fino ai 19 anni: non dopo, perché ispirano della vita un concetto irreale, poetico! Domando io come si faccia a ragionar così! Se vi è libro che meglio svisceri la società umana ‑ che poi è la vita ‑ mostrandone le falle, i torti, le brutture; se vi è libro che meglio presenti la vita nel suo aspetto reale di rosa tutta piena di spine, che meglio disponga l’animo a corazzarsi e a premunirsi, questo è il capolavoro dell’Hugo: non ti pare che sia così? È, romanzo, ma è realtà. Di poesia c’è soltanto la finissima tela dell’ artista‑scrittore. Tranne che, poi, non si voglia considerare poeta un uomo, un infelice, un miserabile fisso nella idea di redenzione. È ben altra la poesia! Vedi un po’ dove sono andato a finire! Ma credi pure che qui, in zona di guerra, il più futile degli argomenti è sempre eccellente per farci sopra una chiacchierata.

Mi pare di aver lasciato la casa e voi, miei carissimi, da cento anni... ; e dovrà passare ancora tanto tempo prima di rivedervi!

Vi penso sempre sempre, in ogni istante! Mi sento gigante per fare la guerra, ma divento un coniglio quando penso a voi! Non la paura mi viene del coniglio: ma la debolezza dell’anima di figlio, di fronte alla forza dell’anima del Soldato!

Il tempo rimedierà anche a questo!

Gli ufficiali della compagnia sono tutti brava gente, a cominciare dal signor Capitano. Ho, come compagno di tenda, un Sottotenente napoletano, col quale, da Cividale in poi, ho diviso le non poche peregrinazioni di viaggio. Di queste parla diffusamente il mio diario, e quindi non ne accenno qui. Un giorno, piacendo a Dio, leggeremo insieme!

Interrompo, per scrivere a Vincenzino: a Biagio, non posso, perché non ricordo bene il numero della Sezione Mitragliatrici cui appartiene.

Scrivimi subito ed a lungo: è tanto tempo che non mi parlate!

Giovannina è ancora a Lecce? Ed il gatto è ritornato? Curiosa! Combinazione o no, anche epistolarmente le vicende di Giovannina e del suo gatto, riflettono un’altra realtà della famiglia.

Precisamente: Dorè sta a Miss come Giovannina sta a Gatto!

Tante affezioni agli amici tutti: a Pippi, Dorè, Giovannina, tanti abbracci; a te e a mamma ‑ con l’augurio di rivederci un giorno non lontano ‑ tutto l’affetto del vostro

Mimmi

 


 

 

 

 

 


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