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Il peccato originale della Banca Centrale Europea
  
di Valerio PECORARO

Oltre al linguaggio estremamente elaborato, l'altra qualità che distingue il genere umano è l'innata propensione alla tecnologi

 Ad una settimana dalle elezioni americane, mentre tutti i giornali nostrani sembrano intenti ad occuparsi delle loro solite materie opinabili (e quindi al di fuori della giurisdizione popperiana) distillando, dalle elezioni suppletive di casa nostra, “chiare indicazioni sull'orientamento dell'elettorato italiano”, mi è capitato tra le mani un mirabile saggio di Ray C. Fair dell'università di Yale: “The Effect of Economic Events on Votes for President”.

Si parla di “economic events” che, pur producendosi in America o a Bruxelles oppure in Estremo Oriente, non riguardano solo l'esito delle presidenziali americane, ma abbastanza direttamente anche la nostra vita; più di quanto possano fare le “chiare indicazioni” che vengono dai pur volenterosi elettori del Mugello.

Colpisce in particolare che il pieno di carburante costi sempre di più nonostante che il favorevole cambio euro/dollaro consenta in teoria di disporre di una maggiore quantità di dollari per acquistare il petrolio, quotato in questa valuta.

La spiegazione di questo paradosso risiede nell'assenza di una politica monetaria continentale credibile dopo l'avvento dell'euro, mentre le scelte attive della Federal Reserve americana (L'omologa della Banca Centrale Europea) hanno conservato agli Stati Uniti il vero potere economico, con buona pace di chi vaticinava l'euro come riserva di valore.

Sfatiamo un mito: la Banca Centrale Europea manovra i tassi (ma anche l'offerta di moneta) e lo fa con prudenza, ma, piuttosto misteriosamente, non ha tra i suoi compiti il perseguimento dello sviluppo, ma solo la vigilanza sul rigore contabile. È un peccato originale commesso in malafede, pensando di lasciare alle Banche Centrali dei vari Stati alcuni poteri che hanno nei fatti poi perso a causa dell'unificazione dei mercati finanziari mondiali.

È vero che la BCE non può sostituirsi ai governi, ma non è assolutamente vero che non potrebbe andare oltre il controllo dell'inflazione e la stabilità dei cambi. La BCE scarica regolarmente sui governi europei la colpa della propria inerzia, accusandoli di non provvedere alle riforme strutturali e al perseguimento dell'armonizzazione fiscale; ma la sua omologa americana fa molto di più, intervenendo con operazioni sui mercati finanziari, stringendo accordi strategici con la Banca Centrale giapponese, facendo pressione su quella cinese perché rivaluti lo yuan. Il suo ruolo è stato così attivo negli ultimi mesi, quasi fosse una sorta di Banca Centrale Mondiale, da determinare una discesa pilotata del cambio del dollaro (che riduce il livello reale del deficit estero americano) pur senza provocare clamorosi crolli sui mercati finanziari.

In un colpo solo, con una semplice svalutazione del cambio (che noi europei ci siamo vietati), è riuscita a non scontentare la Cina, a dare fiato al Giappone, a ridurre il disavanzo commerciale americano e non perderci più di tanto in flussi d'investimenti dall'estero per il calo della borsa. Col risultato di mettere in crisi le esportazioni europee delle imprese manifatturiere che ancora resistono alla delocalizzazione.

Cosa hanno fatto fin qui la BCE per ostacolare l'eccessivo apprezzamento dell'euro e i governi la perdita di investimenti nell'Unione? Zero carbonella.

Il sostegno alle esportazioni si poteva fare con trucchi da saltimbanco prima dei cambi fissi tra le divise europee (svalutazioni competitive, noi eravamo specialisti), oppure, con l'avvento dell'euro, innestando nell'economia robuste dosi di innovazione sotto forma di brevetti e licenze: in questo caso si poteva essere competitivi anche con una moneta forte. Anzi, questo mix di condizioni avrebbe favorito un massiccio afflusso di capitali esteri, rafforzando ulteriormente le possibilità di sviluppo e innovazione.

Questo avrebbero duvuto favorire i burocrati di Bruxelles, dando impulso alla ricerca e investendo in settori più strategici dei marchi per i prodotti agricoli. Invece, la ricerca spaziale ha segnato il passo, lasciando tutto nelle mani dei francesi, sciovinisti e pasticcioni (l'Ariane V vanta una percentuale di fallimenti da brivido); gli investimenti militari si sono limitati all'acquisto di residuati americani (quando arriverà l'eurofighter?); le telecomunicazioni hanno visto più battaglie per il controllo dell'esistente che per lo sviluppo di nuove strade; l'avvento dei trasporti a basso costo ci ha penalizzato più di quanto accadde agli Stati continentali con l'apertura delle rotte oceaniche nel '500…

Per sopravvivere dovremmo produrre non a costi più bassi, ma a tecnologia più elevata. Elementare, Watson! Ma come si fa senza investimenti nella ricerca? Dove andremo a prendere i capitali per dotarci di centri all'avanguardia?

La soluzione sarebbe attirarli dall'esterno (dell'UE), ma come fare se nemmeno un euro alle stelle convince gli investitori a comprare gli assets denominati in valuta europea? Ecco che la BCE avrebbe un ruolo decisivo, se avesse poteri analoghi alla Federal Reserve. Ma non li ha e nessuno pensa a dotarla d'urgenza, ma solo ad abbaiare se qualcuno sfora il 3% di deficit, prospettando sanzioni pesantissime che frenerebbero vieppiù gli investimenti.

Intanto il cambio euro/dollaro si mantiene oltre 1,25 e tale si manterrà almeno sino a dopo le elezioni (a Washington, non a Gallipoli), dopo di che scivolerà verso un più ragionevole 1,15, inducendo gli elettori americani a modulare le loro scelte sui dati confortanti del tasso reale di crescita (pro capite) degli ultimi nove mesi. E a rieleggere Bush, come da manuale.

 

 


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