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CINEMA - Dumas: sceneggiatore ante litteram

  
di Daniela ESTRAFALLACES

DUMAS

Il 24 luglio 2002 ricorreva il bicentenario della nascita di Alexandre Dumas. Sembra semplice attribuire il giusto riconoscimento all’opera compiuta da un personaggio di tale levatura: uno scrittore geniale, sicuramente. Tuttavia, l’intramontabile e affascinante figura di quest’uomo, richiede necessariamente che si vada al di la delle definizioni semplicistiche, considerandolo molto più appropriatamente un precursore dei tempi.

Quest’ultima definizione rende l’idea del carattere assolutamente originale e rivoluzionario dell’opera di Dumas. Basti pensare a quel miracolo di perfezione stilistica e armonia descrittiva, presente in particolar modo nel romanzo I tre moschettieri, capostipite dell’indimenticabile trilogia che prosegue con Vent’anni dopo e si conclude con Il Visconte di Bragelonne.

Non c’è alcun dubbio: Hollywood avrebbe accolto Dumas a braccia aperte. Gli elementi a conferma di questa tesi sono ricavabili da uno qualunque dei suoi romanzi; ma raggiungono una perfezione sublime ne I tre moschettieri. Lo stile avventuroso e scorrevole, mai esasperante nemmeno nelle parti descrittive più lunghe, a tratti allegro, poi terribilmente cupo e gotico nei momenti di maggiore tensione.

Tutto questo è spettacolo allo stato puro, uno stile con tempi tipicamente cinematografici, come nei migliori film romantici, d’azione o d’avventura. Ma è soprattutto rispetto ad un genere cinematografico in particolare che il romanzo di Dumas può essere messo a confronto sul piano dell’immediatezza nella comunicazione: il western.

Gesti rapidi in contrasto con lunghi sguardi eloquenti sono caratteristiche familiari al pistolero come allo spadaccino. Un saloon texano da una parte, i giardini del Louvre dall’altra. Alla prima provocazione, il cacciatore di taglie e il gentiluomo reagiscono allo stesso modo. Il senso dell’onore e la totale noncuranza con la quale compiono un gesto che mette a rischio la loro vita gli accomuna.

Questo per quel che riguarda la componente bellica e le scene d’azione, fondamentali in entrambi i casi confrontati. La sfera dei sentimenti invece, sembra quasi creare contraddizione, calandosi in un’ottica così tassativamente votata all’esercizio irrinunciabile dell’arte della guerra, coinvolgendo uomini imbattibili nell’uso delle armi, in struggenti storie d’amore e d’amicizia di fronte alle quali divengono improvvisamente fragili e indifesi.

I moschettieri sono: “Tutti per uno ed uno per tutti”. La stessa espressione si potrebbe adattare facilmente, ad esempio, a classici del western come I magnifici sette o Sfida infernale, pellicole nelle quali ritroviamo quello stesso cameratismo, tipico delle amicizie maschili, così ben evidenziato nei romanzi di Dumas.

La riflessività di Athos, la spensieratezza di Porthos, i modi raffinati di Aramis, l’inesauribile inventiva di D’Artagnan. Quattro personalità tanto diverse fra loro quanto volte alla naturale conclusione del reciproco completamento.

Se tutto questo non si presta alla trasposizione cinematografica cos’altro potrà mai farlo?

 

 

 


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