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Iraq: un conflitto senza fine
  
di Roberto SERRA

Se tre milioni di persone vi sembran poche

In tutto il mondo, il 15 febbraio 2003, più di cento milioni di persone scesero nelle piazze delle maggiori città, per sventolare le bandiere della pace e per affermare il rifiuto della guerra contro l’Iraq e contro tutte le guerre, esprimendo una secca contrarietà alla tesi americana della guerra preventiva.

Fu una giornata di mobilitazione e riflessione collettiva, manifestata e partecipata da tanti uomini e donne che, magari, non erano mai scesi in piazza per manifestare, ma che in quella giornata intendevano testimoniare con un forte segno di protesta il pericolo di una guerra ingiusta che veniva dichiarata fuori dall’Onu e dal diritto internazionale. 

Ma furono abilmente elusi sia gli innumerevoli appelli alla pace rivolti da più parti, sia le perplessità espresse da più componenti l’Assemblea dell’ONU di fronte alle prove “oppugnabili”, esibite dalla Casa Bianca per ottenere una legittimazione all’intervento armato già deciso e pianificato.

Ancora oggi, in molte città si può osservare come il vessillo con i colori della pace sventoli su molti palazzi, sui balconi di molte case costituendo, dopo ben diciotto mesi di conflitto, un simbolo di speranza per un futuro di pace.

Il mondo continua ad assistere ad un conflitto che sembra non aver fine e che ha generato, fino ad oggi, solo un’azione di guerriglia che miete quotidianamente decine e decine di morti su tutto il territorio iraqeno, alimentando la spirale dell’odio nei confronti degli occidentali.

I timori, le ansie e le preoccupazioni di tutto il mondo per le eventuali conseguenze che sono scaturite dal conflitto, anche dopo aver assaporato una vittoria che, proprio alla luce degli eventi susseguitisi, ha comportato sì la caduta di un regime dittatoriale ma ha aperto altre crisi, altri focolai che, forse, nessuna strategia militare e azione diplomatica riuscirà ad affrontare e spegnere nel breve termine.

E così, abbiamo assistito sgomenti all’attacco terroristico in Spagna, ci siamo fermati increduli nei giorni della strage alla base di Nassiriya, con la consapevolezza che anche gli italiani da quel giorno potevano perdere i loro figli nella guerriglia armata, assistiamo settimana dopo settimana alla barbara uccisione di civili occidentali che, pur non indossando una divisa e non imbracciando un mitragliatore, pagano con la vita il solo fatto di essere occidentali anche quando, come nel caso dei francesi, non sono cittadini di Stati che sono stati a favore dell’intervento militare.

Gli stessi Stati Uniti hanno dovuto onorare gli oltre mille morti e molte famiglie americane hanno visto ritornare i propri cari avvolti in una bandiera a stelle e strisce dopo esser stati chiamati all’arte della guerra per combattere in un conflitto insensato che non risulta ancora, a tutt’oggi, avvalorato da prove concrete.

Le previsioni di portare libertà e democrazia in un Paese, già messo in ginocchio dalla povertà dopo più di dieci anni di embargo, sono naufragate in un mare di odio e di terrore fondamentalistico che ha reso più consapevoli della scelta ingiusta anche coloro che credevano che quella guerra potesse avere un senso.

Oggi, la strada verso la pacificazione di quell’area sembra ancor più irta di difficoltà che nel passato, mentre i Paesi occidentali sono più consapevoli di dover vivere con l'incubo degli attentati terroristici.

E se, nel futuro, non dovessero essere attivate efficaci azioni di politica internazionale, condivise dall’ONU e volte a restituire la sovranità agli stati occupati, l’area mediorientale non potrà certo godere di quella libertà e democrazia che gli USA credevano di poter esportare. Perché le azioni di guerra continueranno ad eccitare il fondamentalismo e a causare solo azioni di terrore….per cui la spirale dell’odio non avrà mai fine.

 

 

 


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