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Scampoli d'estate |
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Cosa rimane di questa estate,
lunga e breve nel contempo, calda e tragica insieme, confusa ed ossessiva? Poco
e molto. Poco di gradevole, di vissuto con la spensieratezza di un tempo, con
la facilità con la quale ci si abbandonava ai piaceri dell’ozio, a quel
ritrovarsi tutti insieme nelle spiagge per la sacralità italiana delle ferie
lunghe e piacevoli, per quel senso profondo della famiglia, per la necessità di
viverle in libertà. Molto per le immagini, per le vicende umane, per le durezze
vissute attraverso l’assillo delle immagini televisive, per le notizie
ascoltate con crescente incredulità, per le tante e troppe pagine lette con
profonda amarezza. Poco di speranza, molto di orrore. Tanto ci consegna questa
estate. Innanzitutto i volti, le storie
delle due Simone: Simona Torretta e Simona Pari. Ci rimane l’assurdità e la
spregiudicatezza del loro rapimento, le immagini della loro testimonianza di
vita, le scelte non facili che i loro ideali hanno determinato. Ci rimane il
brivido del loro rapimento, ci rimane una profonda angoscia. Vediamo i loro
volti, annusiamo la loro paura. Rivediamo i filmati del loro impegno, del loro
giocare con i bambini iracheni per ritagliare uno sprazzo di normalità, per
costruire il loro domani. Speriamo nella loro liberazione. Ci rimane l’impegno
giornalistico di Enzo Baldoni, il suo amore per la vita, la sua curiosità
intellettuale. Scorgiamo, d’improvviso, quella grande molla, quella sfida
quotidiana con se stessi, quel distaccarsi dalla logica, dalla razionalità
dell’utile per sé, del conveniente per sé, che porta a spingersi oltre, per
andare a varcare quel confine che ti spinge verso l’ignoto, verso
l’impalpabile. Per trovare, come è stato per Enzo Baldoni, la morte. Ripensiamo alla fierezza di
Fabrizio Quattrocchi e all’eroismo dei martiri di Nassiriya. E scorgiamo
d’improvviso un’altra Italia. Un’estate che è sembrata senza fine, per la
velocità e l’incalzare delle novità. Una continua lettura amara dei nostri
quotidiani. È l’estate che ricorderemo per gli occhi dei bambini di Beslan, per
il loro tragico destino, per la crudeltà dell’uomo, per la spensieratezza e lo
svago negato, per la violenza subita, per il dolore delle mamme. Per la
drammaticità degli avvenimenti, per la spietatezza delle scelte, per il domani
che viene cancellato con un ordine. Per quegli occhi smarriti, per quei pianti,
per quella profonda solitudine provata. Ricorderemo a lungo questa pagina di
infamia, questa pagina di una storia orribile, uguale purtroppo a tante altre
passate, ma dal sapore più acre. Una estate in cui la violenza ed il raccapriccio
hanno fatto quasi a gara per superarsi, per stupire. E noi, spettatori
dell’assurdo, ci interroghiamo con angoscia per questo terzo millennio che sa
di morte, che ci presenta il conto, all’improvviso, di tante nefandezze, di
tante scelte sbagliate, di tanti facili entusiasmi, di tanta tracotante
sicurezza. Quando avrà fine questo orrore?
Un’estate che non è risultata utile per sedimentare le tante controversie, le
tante cose irrisolte, i troppi dubbi. Ci rimane il solito gareggiare inutile e
pernicioso della nuova politica. Ci rimane la piccola disputa, l’asprezza
continua e senza costrutto, la perniciosa voglia di protagonismo, la facile
ricerca all’ovvio, all’applauso. Ci rimane la pericolosa divisione in cui la
politica ci ha relegato. Una politica confusa che ruota con troppa spavalderia
intorno al successo immediato, alla vittoria. Una politica che si arrovella e
si interroga sulla utilità e la necessità delle primarie, sulle modalità
dell’incoronazione del leader, della sua marcia trionfale verso la vittoria. Un
mondo politico che riscopre e favoleggia i piaceri del sistema proporzionale ed
intanto si tuffa nel mare del federalismo senza possibilità di dar vita ad un
lavoro comune nel Parlamento, alla condivisione di un percorso in cui tasselli
di diversa provenienza tratteggino e giustifichino il lavoro di ricucitura di
differenti esigenze per costruire il futuro, per guardare al futuro. Un’estate di feste di partito,
di ammiccamenti e di facili promesse, di tasse, di patrimoniali, di guaglioni più o meno belli, ma
sicuramente lontanissimi da quel tipo di uomo politico necessario alla società.
Un’estate di bandane e di gossip tumultuosi per svelare l’arcano di una nuova
boutade del nostro premier. Un’estate delle tante feste di paese, dei tanti
ritrovati percorsi enogastronomici, delle troppe redditizie sagre. È
soprattutto l’estate di Roma, dei grandi ed immaginifici concerti dei nostri
redivivi divi musicali, dei facili profeti di una stagione che fu. E’ l’estate
della notte bianca romana, la notte del semplice, la notte del bambino che
riscopre la notte e allontana la paura del buio. È l’estate del ritorno dei
radicale e dei referendum. Un’estate in cui il tema della fecondazione
artificiale è stato portato nelle piazze per una firma facile e semplice,
mortificando le ragioni profonde di una scelta fin troppo impegnativa,
scoprendosi all’improvviso tutti profondi conoscitori. Un’estate dei tanti sondaggi,
delle tante vittorie preconizzate, vagheggiate e certificate. Facili illusioni, infantili
sogni. Un’estate in cui sono emersi i pericoli degli assurdi privilegi concessi
in passato ed ottenuti con sofisticate tecniche ai tavoli delle trattative, le
tante scelte sbagliate, gli errori strategici dei troppi manager di Stato, le
assurde ed inopportune incursioni del mondo della politica nella struttura
aziendale. È la storia dell’Alitalia, della nostra compagnia di bandiera. Un
ritorno alla realtà o la definitiva chiusura di una pagina di storia nostrana.
Una chiamata prepotente al senso di responsabilità, all’ineluttabilità di
scelte diverse, un prendere o lasciare che forse farà da battistrada. È questa
l’estate nel suo insieme che archiviamo. Da domani l’autunno con le sue
battaglie, i suoi tormenti, le sue insoddisfazioni. Da domani il sempre
promesso autunno caldo. Si rincomincia.
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