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LIBRI/ "Senza sangue", una story-board mozzafiato |
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“Senza sangue”: attenzione al
titolo, all’inizio può disorientare. Dopo una buona decina di pagine, ci si
accorge che in realtà di sangue ce n’è parecchio. Perché è una storia di
guerra, di vendette e sparatorie. Ma alla fine il titolo mantiene la promessa:
di sangue nemmeno più l’ombra, lasciando spazio a una soluzione imprevedibile. L’ultima fatica letteraria di
Alessandro Baricco, il fondatore della scuola di scrittura creativa Holden di
Torino, è come una bolla di sapone – in senso positivo, s’intende: copertina
essenziale, pagine bianchissime e ariose, dialoghi ben scanditi in quello che,
di fatto, si presenta come un racconto lungo. Due soli capitoli. Il primo
breve, concentrato, risolto come un film d’azione. Il secondo più lento,
imprevedibile, molto dialogato. Un buon equilibrio per questa storia ambientata
in luoghi dai nomi spagnoleggianti, in un periodo imprecisato. E’ notte e alla
fattoria di Mato Ruyo, sperduta nella campagna, si sta avvicinando una Mercedes
con quattro uomini a bordo. Il proprietario, avvertendo il pericolo imminente,
nasconde la figlia Nina in una botola sotto il pavimento e, afferrata la
pistola, si prepara alla visita. I quattro fanno irruzione in casa e si scatena
un conflitto a fuoco che porterà la morte all’uomo della fattoria. Nella
sparatoria rimane ucciso anche il figlio, mentre il più giovane dei killer,
scoperta la bambina sotto la botola, scappa senza colpirla. Gli uomini, prima
di fuggire, appiccano il fuoco all’edificio. E fin qui è l’atmosfera irreale
delle scene western a farla da padrone. E’ il secondo atto a catturare ancor di
più l’attenzione del lettore, con uno stacco spaziale e temporale che ci
riporta in una città sconosciuta, dove una donna anziana ma ancora affascinante
cammina per le vie della città. Poi si ferma davanti ad un’edicola che vende
biglietti della lotteria. E’ l’incontro decisivo: Nina, dopo oltre
cinquant’anni, è venuta a conoscere uno degli assassini di suo padre e, in un
certo senso, il suo salvatore. L’anziano che vende biglietti, infatti, è quel
giovane che l’aveva trovata nascosta sotto la botola. Arriva il momento della
verità: Nina ripercorre la sua esistenza, costringe l’uomo a un confronto, più
ancora che una confessione – dato che l’omicidio era avvenuto alla luce del
sole – e nel frattempo questi due anziani, seduti al tavolino di un bar, si
rendono conto che in quella tragedia hanno intrecciato indissolubilmente le
loro vite. Nessuna scena strappalacrime: l’ex killer non si trova pentito per
quello che ha fatto, poiché credeva in un’ideale, né l’ex bambina è lì per
perdonarlo. Ma ci sono dettagli che addolciscono le pagine ancor più delle
parole: il pianto del vecchio, quando, ripensando al passato, “Avrebbe voluto
dirle che mentre la guardava, quella sera, rannicchiata là nel buco, così
ordinata e pulita – pulita -, lui aveva provato una specie di pace che poi non
gli era più successo di ritrovare, o almeno poche volte, e davanti a un
paesaggio o fissando lo sguardo di un animale. Gli sarebbe piaciuto spiegarle
esattamente quella sensazione, ma sapeva che la parola pace non bastava a
descrivere quello che gli era successo” . Avvincente e incalzante la
descrizione cinematografica dei protagonisti e delle scene, flash spettacolari
e narrativi. E arriviamo al finale, il vero ‘piatto forte’. Intenso,
emozionante, senza sangue ma non si può raccontare. “Senza sangue” è una
story-board, una sceneggiatura con il pregio e la fissa dell’essenzialità.
Dialoghi, movimenti, suoni e sensazioni ridotti ‘all’osso’. Periodi brevi,
sintassi semplice, permeati da una musicalità di fondo, cui contribuisce anche
il suono di quei nomi inventati, quasi eterei. E in questo Baricco è un
maestro; lo stile volutamente ‘scarnificato’ è adatto a trattare temi di non scarsa
rilevanza: quando si può dire che una guerra è davvero chiusa? E quali sono
davvero le vittime e quali i carnefici? La vendetta è un giusto
‘risarcimento’?. Solo arrivando all’ultima pagina
ci si rende conto che in realtà siamo tornati all’inizio: la Nina bambina, nel
buco sotto il pavimento, si raggomitola su se stessa, la stessa posizione nella
quale la ritroviamo al termine del libro, mentre si rende conto “quanto la vita
sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l’unico desiderio
di ritornare all’inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi,
una volta, da quell’inferno ci ha salvati”. Ebbene, luoghi e nomi del testo
sono inventati, pura illusione e dunque dove ci ritroviamo, noi lettori? Siamo
nel testo, in quella strana geografia del cuore, nelle nostalgie del passato,
nella fedeltà cieca e inconsapevole alle nostre origini. Siamo di fronte alle
parole. Fantasia o no, sono loro a svelarci la verità.
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