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Il vuoto non omofobico della morte |
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Una scuola come mille altre in
Italia. Una scuola dove non si può vivere se non secondo i modelli
standardizzati che i ragazzi mutuano dalle famiglie, copiano dalla televisione,
apprendono dalla società. Ogni giorno, nella scuola Sommelier di Torino entrava
Matteo, il ragazzo filippino morto suicida qualche giorno fa. Ogni giorno, il giovane
sedicenne, figlio di un uomo astigiano e di una cameriera filippina,
attraversava i corridoi dell’istituto, prendeva posto al suo banco, attendeva
la fine delle lezioni, con un’ansia sottile e costante, con la paura di essere
insultato dai suoi compagni, per il solo fatto di essere o, semplicemente, di
apparire, ai loro occhi, gay (per quanto abbia senso parlare di un orientamento
sessuale definitivo e stabile, soprattutto a quell’età). Certo, il suicidio implica
sempre una concomitanza di cause, ma a far sì che un pensiero meditato a lungo
si traduca in azione, è spesso un fattore contingente. In questo caso, come
confermerebbe la lettera alla famiglia scritta prima del suicidio dallo stesso
ragazzo, il fattore sembra essere stato l’intolleranza e il bullismo omofobico
perpetrato nei suoi confronti dai compagni di scuola: tu sei gay, gli dicevano.
Lo sapevano tutti che il ragazzo
era maltrattato. La madre aveva chiesto un intervento da parte dell’istituto un
anno fa. La preside era intervenuta. I compagni di scuola erano stati sgridati
e tutto era tornato nei ranghi. Solo in apparenza: non basta una strigliata per
cambiare un atteggiamento sedimentato da secoli e rinverdito dagli incauti
giudizi post-tridentini dei vescovi. Alla fine, Matteo non ce l’ha fatta. Le associazioni omosessuali
italiane hanno denunciato l’episodio come esempio dell’esecrabile clima di
repressione che serpeggia nell’Italia teo-con d’inizio millennio, mentre i
mezzi d’informazione hanno glissato sull’accaduto, svicolando su meno
imbarazzanti notizie, destinate a un pubblico che preferisce nascondere la
testa sotto la sabbia. Eppure, soltanto
qualche giorno dopo, sono comparse di fronte a una nota libreria omosessuale di
Milano, scritte omofoniche a firma di sedicenti rappresentanti di Forza Nuova. Al di là di tutte le possibili attribuzioni di responsabilità per episodi così tristi, che chiamano in causa la debolezza in cui versa l’istituzione scolastica italiana, la necessità di un’illuminata educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, l’atteggiamento d’intransigenza che ha la chiesa cattolica verso modi “altri” di concepire l’amore e la tradizione machista dell’“italica stirpe”, è necessario riflettere profondamente su questo: il conformismo, l’ipocrisia e il bigottismo esasperante possono snaturare un sentimento così fragile eppure così prezioso come l’amore, tanto da far sì che un ragazzo rinunci in partenza alla sua personale ricerca della felicità, gettandosi da un balcone nel vuoto, certamente non omofobico, della morte.
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