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Il Salento coi sonagli da pagliaccio
  
di Valeria BRUNO

Avremmo voluto parlare di Salento

Avremmo voluto parlare di Salento. Quello delle chiese belle, dei volti millenari, delle pietre e del mare, il Salento dei contadini che accendono i piccoli fuochi e invocano gli dei fertili. Il Salento dalle mani dure, dai cuori docili, dagli occhi fragili. Avremmo voluto parlare del Salento che amiamo, il Salento che ci ha cresciuti, che abbiamo odiato, amato, tanto lontano dal mondo appariva crescere in esso, tanta fatica lo scoprire la sua grandezza, che è la nostra in esso. Di questo Salento avremmo voluto raccontare. Ma gli hanno messo il berretto da buffone, belletto sciocco dai colori irriverenti; hanno irriso il Salento dell’arte e ne hanno fatto merce da misero balletto. Non avremmo voluto vedere queste beffe a pagamento, le piccole sagre per le genti, le fiere per turisti, tradizioni in svendita, saldi di dignità, miseria di emozioni.

Gli hanno messo il berretto coi sonagli da pagliaccio, al nostro Salento. L’estate, povera di incassi, ha urlato tutte le sue sagre: ogni sapore, odore, frutto e foglia, artigianato e passione, ogni rumore, ogni figlio, ogni sogno. Tutto divenuto una sagra dei soldi facili, delle improvvisazioni.

Vorremmo parlare di un Salento diverso, capace di esaltare la propria storia, non svenderla, capace di reinventare la propria cultura, non denigrarla. Non riconosciamo come “nostro” il Salento delle mille sagre, della pasta fatta in casa e le polpette, della carne di animale e misto fritto, dei piatti tipici dal sapore orientale.  È un Salento che non vorremmo vedere; non fiero, altero e prezioso ma misero e blando appare a chi così l’ha conosciuto. Non è sviluppo del turismo questo, è vilipendio del proprio pudore!

 

 

 

 


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