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Alcide De Gasperi, lo Statista venuto dal profondo della storia |
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Ricordare De Gasperi, a
cinquant’anni dalla scomparsa, non può costituire un puro atto celebrativo,
deve essere, invece, un’occasione per riflettere sulla nostra storia passata e
poter riconsiderare compiutamente l’opera che Egli ha svolto al servizio
dell’Italia uscita distrutta dalla guerra. Lo Statista trentino rappresenta un
modello inimitabile di uomo e di politico al cui insegnamento molti esponenti
sia del centro-destra che del centro-sinistra dovrebbero far ricorso prima
ancora di dichiararsi impropriamente suoi eredi. Parlare di A. De Gasperi non è
facile, poiché il rischio che si corre è quello di non riuscire a cogliere il
valore della sua azione che rese possibile al nostro Paese il recupero di
credibilità e fiducia, sul piano internazionale, compromesse dopo il ventennio
fascista. Quando si presentò alla
conferenza di pace a Parigi il 10 Agosto 1946, nonostante la mortificazione
patita per aver dovuto attendere tre giorni prima di essere ascoltato nel
silenzio generale dei presenti, pronunciò un discorso di grande spessore
politico e morale, tanto da impressionare favorevolmente i 21 delegati delle
nazioni vittoriose. Egli ebbe a dire: “ …Ho il
dovere, innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del
mio popolo di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di
parlare come democratico antifascista, come rappresentante della nuova
Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe
Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze
internazionalistiche dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura
e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione tra i popoli che
avete il compito di stabilire ”. In quell’occasione, De Gasperi,
lo Statista venuto dal profondo della storia, così com’è stato definito, aveva
avuto modo di far conoscere le sue idee e il cammino lungo il quale avrebbe
voluto guidare l’Italia per poterle assicurare un posto a pieno titolo nel
consesso delle nazioni libere e democratiche. Ricevette la solidarietà e i
necessari sostegni per avviare, così, la fase della ricostruzione e far uscire
il nostro Paese da una condizione di miseria cui la guerra lo aveva portato. Fedele ai suoi principi, seppe
coniugare la politica con la morale, ispirando sempre la sua azione al servizio
degli altri. “Meglio soffrire ingiustizie che farle soffrire”, aveva scritto
nelle lettere dal carcere fascista. Autonomo nelle scelte, non era disponibile
al patteggiamento e non subì condizionamenti. Con la politica non fece un
soldo, tanto che la DC, il suo partito, dovette regalargli una villetta alle
porte di Roma per assicurargli una dimora. Si continuerà a discutere molto
delle sue scelte politiche, delle sue intuizioni, vero è che seppe governare
gli eventi avendo saputo guardare al di là del contingente e cogliere i
cambiamenti politici che di lì a poco avrebbero interessato l’intero globo. Convinto assertore della
democrazia, difese il valore e le prerogative del Parlamento quale presidio per
la salvaguardia della libertà, ritenendo che al suo interno dovessero trovare
espressione tutte le componenti sociali. Non conosceva, sul piano dell’azione,
debolezze e non esitò a porre fine all’esperienza del tripartito quando capì
che non vi erano più le condizioni per una collaborazione con il PCI, piegato
ormai al disegno minaccioso di espansione dell’Unione Sovietica nell’Europa
centrale. Con i Governi che seguirono dal
‘47 al ‘53 ebbe inizio la grande era degasperiana, il cosiddetto “centrismo”,
la cui politica portò l’Italia all’affermazione del sistema democratico e alla
scelta del blocco occidentale, suggellata dalla vittoria elettorale del 18
Aprile del ‘48 da parte della DC. Egli guardò all’Europa come ad un concerto di
nazioni e considerava la sua unità fondamentale per la costruzione di un futuro
di pace. Profondamente libero per la
forza che gli derivava dalla sua fede cristiana, “non è stato mai uomo di
parte, è sempre stato un uomo che ha servito lo Stato” come ha dichiarato la
figlia M.R.De Gaperi. Di lui Pierferdinando Casini, da
segretario del CCD, ha scritto: “Era un centrista non nella concezione
deteriore che ha assunto in questi anni il centro politico, una sorta di
equidistanza tra destra e sinistra che ondeggia un po’ verso gli uni e un po’
verso gli altri, ma nel senso alto e nobile di una concezione che ha fatto del
senso dello Stato, della cultura del dialogo e della tolleranza, in poche
parole della moderazione, la ragione stessa della sua esistenza”. Quanti, oggi, possono continuare
a dirsi eredi di De Gasperi?
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