In venti trasmettono e altrettante sono pronte a
farlo. Le "Street tv", sono micro-emittenti che sfruttano i
"buchi" dell'etere per mandare in onda quelli che gli altri non
dicono. Servono un’antenna, un
trasmettitore e una frequenza. Detto così sembra semplice e in effetti non è
poi tanto complicato farsi un’emittente televisiva in casa. Quelli di Telestreet, il network di tivù
indipendenti, ci credono e assicurano che bastano circa mille euro per mandare via etere
quel che si vuole, sfruttando i “coni d’ombra” (le frequenze non acquisite
ancora da nessuna tivù), in zone limitate di una città. Sono piccoli canali
televisivi, chiamati tivù di quartiere, che si stanno diffondendo in
tutt’Italia dal giugno del 2002. Sono piccoli, questi canali, ma efficaci e,
per qualcuno, scomodi. Anche perché, Telestreet non nasconde nel suo manifesto
di essere una “piattaforma” non solo tecnica e informativa, ma anche politica.
Con un debole per la sinistra, le “street tv” fanno controinformazione e così
può capitare che qualcuna venga chiusa. Come nel caso di Telefabbrica, l’emittente messa su
nei giorni caldi degli scioperi alla Fiat di Termini Imerese, bloccata per
ordine del Ministero delle Comunicazioni. Piccole ma numerose (ce n’è una
ventina in giro e altre venti stanno per nascere) le tivù di quartiere sono
un’evidente nota stonata nell’immobile duopolio televisivo (Rai-Mediaset)
italiano. Ma uno degli aspetti più interessanti di questo fenomeno è che basta
poco per tirare su una di queste tivù, che somigliano tanto alle “radio libere”
degli Anni 70 e alle web-zine che hanno invaso internet.
Dal punto di vista tecnologico, dal sito di Telestreet,
si ricava che per tirare su una tivù di quartiere è necessario trovare una
frequenza libera, un trasmettitore, un’antenna e dei cavi da connettere tra
trasmettitore e antenna. Tutto è ispirato alla “massima economicità”, “facilità
d’installazione e utilizzo”e all’intento di non disturbare altre emittenti e
cittadini, la caccia alla frequenza libera si svolge facendo zapping tra i
canali esistenti e cercando quello che non trasmette nulla in una determinata
zona della città.
È questo il “cono
d’ombra”,
cioè la frequenza libera non occupata dai canali che la frequenza l’hanno
ottenuta dal governo. Il “buco” si crea in spazi molto ridotti, a causa della
“portata ottica” del segnale televisivo che quando incontra ostacoli s’oscura. È
in questo ambito ristretto che la tivù
di quartiere può trasmettere.