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Andy Warhol, un mito americano |
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Quando Andy Warhol morì, nel 1987, in seguito ad un banale
intervento alla cistifellea, dopo i funerali a Pittsburgh (città dove era nato
nel 1928 da miseri genitori emigrati dalla Cecoslovacchia) si tenne a New York
una messa commemorativa nella cattedrale di St. Patrick, a cui parteciparono
oltre duemila persone, desiderose di salutare per l’ultima volta quell’artista
irridente che veniva dall’Europa dell’Est, ma che più di ogni altro aveva
saputo identificare e riprodurre, facendone vera arte, le icone
dell’immaginario collettivo americano. Forse per molti quella era solo
un’occasione mondana “da non perdere”, ma anche questo faceva parte del gioco,
visto che mondanità e culto per la celebrità erano caratteristiche
imprescindibili del suo “personaggio”. La mostra Andy
Warhol - Un mito americano, allestita tra gli stucchi settecenteschi della
Chiesa di Sant’Agostino a Civitanova Marche Alta (Macerata), a due passi dalla
casa natale di Annibal Caro, il famoso traduttore dell’ Eneide, uno degli angoli più suggestivi della regione, organizzata
dal Comune di Civitanova e dalla Fondazione Antonio Mazzotta di Milano,
ripropone attraverso una poderosa scelta di opere grafiche un protagonista
dell’arte del secondo Novecento, la cui opera viene di solito collegata alla
pop art, nella sua linea di social
criticism, cioè di riflessione sulla condi La rassegna, che resterà aperta
fino al 10 ottobre, presenta oltre cento opere create da Warhol tra la metà
degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. In mostra si possono ammirare alcuni
esempi di tavole disegnate e colorate a mano che sono tra i suoi primi lavori: In the Bottom of My Garden (1955), con
figure di putti ispirate a libri per bambini; A Gold Book (1957), con disegni a “blotted line” ripresi da fotografie
e riportati su carta dorata; Wild
Raspberries (1959), un divertente libro di cucina con torte e cibi
illustrati da Warhol e ricette di fantasia inventate dall’amica Suzy Frankfurt
e trascritte a mano dalla madre dell’artista. La mostra prosegue con le celebri
serigrafie raffiguranti Marilyn
(1967), le lattine di Campbell’s Soup
(1969), Flowers (1970), Electric
Chair (1971), Mao (1972) e
inoltre con le importanti serie dei decenni successivi dedicate ai travestiti
di colore (Ladies and Gentlemen, 1975), agli ebrei più famosi del XX secolo
(1980), ai miti americani del cinema e della televisione (1981), agli animali
in pericolo di estinzione (1983) e infine all’epopea del West (Cowboys and Indians, 1986). Artista
dotato di una creatività inesauribile, Warhol ha spaziato tra le più diverse
forme di espressione artistica, dalla musica al cinema e all’editoria. La
rassegna è pertanto completata da una preziosa sezione documentaria
comprendente copertine di dischi da lui disegnate, esemplari della rivista da
lui fondata (Interview), film e libri
di e su Andy Warhol. L’artista statunitense, infatti, tra gli anni Sessanta e
Settanta ha diretto o prodotto una settantina di film underground, per lo più
di carattere provocatorio e dissacrante nei confronti del cinema hollywoodiano;
all’epoca ebbero scarso successo, ma avrebbero fatto scuola presso le
generazioni successive. Tra i più celebri: Empire,
My Hustler, The Chelsie Girls, Lonesome Cowboys, Nude Restaurant, Vinyl, Flesh,
Trash... Attratto dal mondo della musica, Warhol ha anche disegnato alcune
delle copertine più famose della storia del rock, tra cui due album per i
Rolling Stones, uno per i Velvet Underground (gruppo da lui promosso e composto
da Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker più la tedesca
Nico), e altri ancora per Aretha Franklyn, Paul Anka, John Cale ecc. In mostra
si possono anche vedere alcune copie della rivista Interview, fondata nel 1969 da Warhol e dedicata inizialmente al
mondo del cinema, diventata nel corso degli anni un vero successo commerciale. Completano questa ampia panoramica
sul lavoro di Andy Warhol pannelli didattici, fotografie e filmati riguardanti
la sua vita e la sua opera. La mostra costituisce un omaggio
al personaggio Andry Warhol, il vate della società dei consumi americana degli
anni Sessanta e Settanta: società della massificazione e della produzione in
serie, che sono le prerogative stesse del lavoro dell’artista, per lo più
incentrato sulla serigrafia. Il consumo frenetico di immagini coinvolge infatti
anche l’arte, la quale tuttavia, pur emulandone le leggi, riesce a evidenziarne
i meccanismi di ricezione passiva. Immagini “positive” della pubblicità o
“negative” della cronaca vengono decontestualizzate e ricreate da Warhol con
interventi di colore abbagliante e si presentano allo spettatore con prepotente
allegria ma anche con sottile inquietudine. La mostra è accompagnata da un
catalogo edito da Mazzotta che costituisce la più ricca antologia della
produzione grafica di Warhol pubblicata in Italia, con testi di Achille Bonito
Oliva, Ada Masoero e Laura Ravasi.
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