|
|
I sogni della politica |
|
Cosa dire dell’esito di queste ultime
elezioni? Quali scenari intravedere? Chi ha vinto, chi ha perso? Sembrerebbero
delle ovvie domande, forse oziose ma comunque presenti nel solito
intrattenimento dei salottini televisivi e nelle interminabili discussioni da
bar, tipicamente italiane, sicuramente ripetitive ad ogni competizione
elettorale. Ma forse in questa occasione, in questa tornata elettorale c’è
qualcosa di interessante, di nascosto e di nascente che potrebbe far riflettere
sulla politica del domani e condizionare l’esigenza di modificare fortemente
l’odierno panorama politico italiano, di liberare finalmente nuove energie. Se allora oggi i vari contendenti, con i loro
portavoce, con i tanti e diversi supporter, sembrano recitare la solita fritta
e rifritta parte in commedia del reclamare vittoria, ognuno per la sua parte,
diviene opportuno fare uno sforzo di analisi maggiore e sgomberare il campo
dalle faziosità, da quel cantar vittoria sempre e comunque. Se ci incamminiamo
allora in un percorso di analisi critica e ragionata, per il gusto di leggere
la vera partitura di queste elezioni, lo spartito reale che abbiamo di fronte,
una prima discriminante ci viene fornita sicuramente dall’opportunità di
evidenziare la sostanziale diversità dei tipi di elezione che abbiamo
affrontato: europee da un lato, amministrative, provinciali e comunali,
dall’altro. Con risultati profondamente diversi. Una fin troppo ovvia
separazione che rafforzerà quanto diremo più innanzi. Cosa è successo allora con le votazioni per il
rinnovo del Parlamento europeo? Sostanzialmente alcuni fenomeni estremamente
degni di attenzione. Innanzitutto ciò che balza agli occhi, da un punto di
vista numerico, è il sostanziale pareggio che è risultato fra i due poli, fra
le aree omogenee del centro destra e del centro sinistra, nel segno di un
equilibrio politico e di giudizio che di fatto rende stagnante la
contrapposizione fortissima di questi anni. Ma subito dopo viene la
considerazione più finemente politica sulla “salute” dei due poli, sul
benessere profondo delle coalizioni, su ciò che si respira all’interno dei
partiti, dei movimenti, delle aree culturali, sociali di riferimento,
sull’anima, sull’identità profonda di questi ambiti ideali. E allora, adottando
questa chiave di lettura, queste elezioni hanno sostanzialmente certificato la
sconfitta di due idee, di due impostazioni politiche. A cominciare dal sogno di
Berlusconi di pensare il partito di Forza Italia come un partito egemone, un
partito guida, contenitore dei valori politici sostanziali della Casa delle
Libertà. Un vistoso calare di consensi per Forza Italia che, seppur compensato
da una del tutto evidente ridistribuzione all’interno di Alleanza Nazionale,
Lega e UDC e quindi nell’alveo del centro destra, di fatto ridimensiona
fortemente questa aspirazione. Un riequilibrio nel suo insieme ma una sconfitta
per il partito di Silvio Berlusconi. Una sconfitta sic et simpliciter di un modello
di partito, di un modello culturale ed intellettuale di partito del futuro, di
partito di una nuova repubblica. Un modello di partito “leggero” nel suo
fluire, ma egemone nel suo determinismo politico. Ma non vi è stato solo
questo. Un’altra scommessa, un’altra sfida è andata in fumo, un’altra
percezione di un nuovo politico: la sconfitta del Triciclo, di quel modello di
partito-contenitore che doveva nel centro sinistra segnare l’avvio di un
movimento riformatore, di un partito democratico che desse la stura ad un
fenomeno di bipartitismo, nuovo per il nostro paese. Una scommessa a lungo
meditata ed opportunamente presentata seppur fra qualche incomprensione e
qualche ostilità che muoveva dalla sinistra dei DS fino alle frange più
radicali della sinistra italiana. Il risultato che ne è scaturito, la frenata di
entusiasmi che ne è derivato ha di fatto riaperto la discussione sul futuro del
Triciclo, sul futuro del partito unico riformista e democratico, sulla reale
possibilità di fondere insieme sensibilità politiche, culturali, storiche
profondamente diverse e lontane fra loro. Due aspetti, a destra come a
sinistra, che meritano ampie valutazioni. Chi ha vinto allora e chi ha perso?
Ha perso sicuramente la politica nel suo insieme. Ha perso quella politica che
non ha saputo sprigionare emozioni e sogni. Ha perso la politica di due leader.
Hanno perso Berlusconi e Prodi che oggi sicuramente hanno poco da dire al cuore
degli italiani. Due leader che sono prigionieri delle loro scelte, dei loro
timori, dei loro tatticismi, di quelle scommesse che potevano significare il
nuovo per il nostro Paese. Due leader che molto semplicemente non rappresentano
l’Italia profonda. Due leader che non hanno saputo, voluto o potuto
intercettare pienamente quel bisogno di speranza e di sogni che la politica
deve realizzare. Se allora oggi Berlusconi da un lato non
incarna più quella speranza di cambiamento, quella necessità prorompente di
rompere attraverso una politica liberista gli equilibri manieristici vissuti
lungamente in Italia, dall’altro oggi Prodi può solo rappresentare
l’antagonista espressione dei palazzi, l’antagonista alfiere di antichi
messaggi di un buonismo politico, di una rassicurante ricetta fatta di
mestiere, di concertazione. Ma nulla di più. Nulla di profondamente politico. Rimangono nel loro insieme, a destra come a
sinistra, due cartelli elettorali, issati solo per vincere. Da qui due poli in
equilibrio fra loro, per stanchezza. Ed il dato amministrativo in fondo
rafforza questa impressione. La realtà amministrativa premia sicuramente il
centro sinistra, ma premia innanzitutto la politica del territorio, la politica
più concreta. Vince la politica che trova l’entusiasmo nei programmi, nei
progetti, nei leader locali che ci sono vicini, che ci somigliano, che sono
visibili, che sanno prendere il testimone del cambiamento tangibile ed
immediato di un luogo, di una piccola comunità, che sono espressione del
radicamento nel territorio, che sanno intercettare le sonorità e le
palpitazioni sociali profonde. Questo allora vince oggi in Italia. Vince il
localismo, vince l’interesse prossimo, la concretezza politica immediata, vince
il sogno di breve durata. Perde l’altra politica, la politica dei grandi sogni,
dei sogni di generazioni, la politica ideale e perde per quel che di arido
mostra di sé, perde perché non sa regalare emozioni, perché non offre idee,
perché non ha leader.
|
|
|