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“Meglio soli che male accompagnati?”
  
di Nicoletta ARCHILEI

“Meglio soli che male accompagnati

La famiglia è sempre stata per l’uomo un punto saldo della sua vita, un principio  di identificazione.  Fino alla metà del Novecento il matrimonio era considerato un obbligo sia per motivi religiosi sia, per alcuni, un salvagente contro la solitudine.

Il crescente numero di persone che invece oggi si trovano a vivere sole rappresenta una novità per le società occidentali, soprattutto se si pensa che fino a qualche decennio fa i cosiddetti “zitelli” erano guardati con sospetto, in special modo se si trattava di una donna. Oggi essere “single” diventa una scelta e una realtà del tutto legittimata.

Un censimento del 1951 rivelava che in Italia su 12 milioni di famiglie , poco più di un milione  erano formate da residenti “soli” mentre nel 1991 erano 3,4 giovani su 100; nell’ultimo censimento del 2001, circa 5,5 milioni di famiglie  erano ulteriormente composte da un unico componente. Da un lato i giovani sembrano più predisposti ad una rinuncia volontaria della vita di coppia, dall’altro  sono sempre in aumento le separazioni e i divorzi;  a tutto ciò va aggiunto anche un notevole miglioramento delle condizioni  di vita e l’affermarsi del lavoro salariato ha permesso a molti di non dipendere più dalle famiglie.  Un altro aspetto che nel tempo ha influito  sul numero dei celibi  e/o nubili  è la fine della  separazione  dei ruoli  sessuali, un tempo nettamente scisso:  la donna aveva bisogno di un uomo in quanto lavoratore  e in grado di occuparsi delle questioni  “istituzionali”,  mentre lei era indispensabile  per le incombenze domestiche e si occupava interamente della  casa e dei figli.  Oggi invece gli uomini e le donne ricevono un’eguale  educazione; alle donne è permesso di lavorare nel mondo professionale  maschile  e gli uomini  si sono assunti, in parte, gli oneri della gestione  della famiglia.  Questo fenomeno ha reso, però, entrambi autosufficienti  ed il rapporto fra i due sessi non è più complementare anzi, in molti casi, diventa addirittura  competitivo.

Ma la scelta di vivere soli può determinare la sopravvivenza della famiglia  e, quindi, del futuro stesso della società?  Diventato ormai un vero e proprio fenomeno, ha dato il via ad una serie di problemi organizzativi  e abitativi,  si sono creati nuovi modelli consumistici  ed una riduzione  del tasso di natalità.  Molti  sociologi  vedono nel “single” la negazione di due funzioni primarie:  quella della riproduzione  della specie umana e quella della riproduzione  culturale  della società attraverso la socializzazione;  si intravede quindi un futuro in cui la famiglia  sarà indebolita  dagli individualismi.

Forse, in un mondo come il nostro in continua  evoluzione, rimane troppo difficile dare la definizione  esatta ed universale di “famiglia”:  abbiamo  sostituito le famiglie patriarcali dei nostri nonni con le cosiddette “famiglie  allargate”;  cominciano  ad essere celebrati matrimoni tra omosessuali ed è di qualche anno fa la notizia che in una scuola di Manhattan la direttrice aveva vietato di festeggiare la “Festa della Mamma” per rispettare i bambini che vivevano con due papà ed in seguito, per equità, fu abolita anche quella del “Papà”. Bambini costretti a trascorrere una domenica con la mamma ed una con il papà, il Natale con uno e la Pasqua con l’altro genitore, che non sono più in grado di appoggiarsi  e trovare rifugio nella famiglia. L’unica costante che rimane è il difficile  rapporto fra generazioni adulte e giovani, uno scontro che si è acuito perché ci si trova ad affrontare una realtà sociale troppo cambiata nelle  sue stesse fondamenta, e così ad un sano conflitto generazionale,  che aiutava gli individui  a maturare e a cambiare il mondo passo dopo passo, adattandolo  alle nuove esigenze, abbiamo contrapposto il silenzio,  che non è certo solutore.

 

 

 

 

 


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