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Cosa fare?
  
di Francesco CACCETTA

Cosa fare

Cosa fare? I fatti in Iraq, angosciosi e luttuosi per tutti, impongono questa domanda. Una domanda sicuramente di non poco conto, se solo si pensa agli equilibri delicatissimi, che si stabiliscono e si fondono inesorabilmente fra loro, costituiti dalle ragioni della politica e dalle ragioni, decisamente importanti, dettate dalla nostra coscienza, dal nostro essere vicini con emozione e trepidazione ai militari e agli ostaggi civili, e rappresentate soprattutto dalla speranza e dal desiderio di pace. Una pace che deve intendersi come pace globale e globalizzante di tutto un territorio, di tutto un mondo culturale e religioso. Una pace che oggi non è da invocare e da ricercare unicamente per il popolo e la nazione irachena ma che è e deve essere una pace più ampia che comprenda anche e soprattutto la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Una pace che è oggi osteggiata principalmente da tutto quello stuolo di islamici fanatici capeggiati da Osama Bin Laden che si è infilato come un cuneo nel mondo occidentale, nell’Europa, ed è e rimane il principale attore di questa immane spirale di violenza e terrore. Che fare dunque? Tornare a casa così semplicemente? Continuare a condannare l’avvio dell’azione militare, della guerra contro l’Iraq, così senza se e senza ma, per un pensiero di pace tout court? Sperare ed invocare una guida di forze di pace sotto l’egida dell’ONU? Condannare e ridimensionare il potere ormai planetario degli Stati Uniti e bocciare definitivamente il concetto di guerra preventiva che è stato alla base delle decisioni politiche e militari dell’Amministrazione Bush? Seguire l’esempio spagnolo ricalcando l’ordine di sciogliere le righe impartito dal nuovo premier iberico Zapatero ai  suoi militari, anticipando anzi tempo una decisione già ampiamente dichiarata in campagna elettorale? Continuare questo “patto d’onore” stretto con l’America? Aspettare ancora il susseguirsi degli eventi pronti ad andarsene quando il caos sarà al massimo delle sue possibilità e non sarà più in alcun modo dominabile? Rifondare l’ONU che oggi agli occhi dei più rappresenta una inutile sigla?  Tanti dunque gli scenari ipotizzabili e da più parti ventilati. Cosa fare allora. Una domanda purtroppo non semplice se si pensa alla situazione odierna in cui vive l’Iraq. Una nazione in preda ad una paralisi decisionale, ad una paralisi civile, ad una quotidianità vissuta sotto l’eco della morte, della violenza e dell’insicurezza. Caos al quale si badi bene noi europei non siamo estranei e non solo per la partecipazione diretta od indiretta alla guerra. Ma complessivamente per le nostre decisioni troppe volte antitetiche, per i nostri interessi divergenti, per il nostro guardare troppo ad un presente prossimo e non alla globalità delle azioni. Un respiro europeo sempre troppo corto. Ma la verità profonda, e che rappresenta il core decisionale, è che oggi si affrontano essenzialmente due mondi contrapposti. Forse inevitabilmente. Il mondo dell’Islam pervaso da un misticismo religioso che sfocia finanche nel fanatismo ma che fondamentalmente rappresenta ed esalta quotidianamente, in tutte le sue azioni, la sua identità storica e culturale secolare. Un mondo che in definitiva che fa della sua religione il vero tessuto connettivo della società, la sua essenza più intima. Dall’altra il mondo occidentale, la società europea, la società illuminata che fa della dialettica, della razionalità e dell’uso della ragione la sua forza. Un mondo in apparenza forte per economia, sviluppo e tecnologia ma che si è dimostrato improvvisamente debole e estremamente vulnerabile. Ed infatti la nostra azione politica, militare e diplomatica ha conosciuto proprio questa debolezza, che si è andata accentuando ed alimentando proprio nel momento dello scontro più duro e più alto. Due mondi opposti in cui la certezza e la gioia incredibile dei Kamikaze islamici non fa altro che accentuare le nostre differenze, i nostri distinguo, le nostre debolezze, i nostri dubbi sbandierati e pensati come certezze, ed il nostro orrore eccita le loro azioni. Un mondo occidentale, una società nel suo complesso, che nel momento di massima allerta ha addirittura pensato di interrogarsi cercando di  ricercare nel suo interno eventuali colpevolezze, sviste, connivenze, errori diplomatici e militari. Uno snervante procedere che è l’essenza ultima delle democrazie ma che si traduce di fatto ed inevitabilmente in un infantile e pernicioso gioco sulle responsabilità, un meschino esercizio politico. Scenari ben diversi da quei tavoli in cui gli attentati terroristici vengono pianificati con finissima e diabolica intelligenza anche per allargare il divario fra le coscienze di noi occidentali, per preconizzare e determinare le nostre scelte. Due mondi diversi. Ma che oggi sono di fronte ad un bivio epocale: trovare necessariamente una conciliazione, un punto di equilibrio per risolvere questo conflitto che segna il terzo millennio o far esplodere tutte queste contraddizioni in un conflitto di lunga durata, la cosiddetta guerra di religione, una guerra di sopravvivenza. Cosa fare allora, cosa sperare? Poche cose ma concrete da cui partire. Sarebbe facile pensare di ritrovare le ragioni per una Europa realmente unita che è a fondamento del nostro futuro. Unita negli intenti e negli sforzi per salvaguardare la nostra identità occidentale, per ridare un continuum alla nostra storia millenaria. Sarebbe facile chiedere di avere la forza e la determinazione per guardare ad Israele e alla Palestina con equilibrio ed equidistanza, risolvendo così quel conflitto e quella ingiustizia che una delle cause prime della violenza di tutti i giorni e del terrorismo nel Medio Oriente.  Pensare di parlare in Italia e nella altre nazioni europee un linguaggio comune per non sottovalutare ancora un pericolo che è tremendamente reale. Sarebbe facile sperare di operare una politica di bacino del mediterraneo per costituire una cerniera fra popoli con un identico destino e per spezzare il fronte dell’islamismo. Sarebbero forse tutte cose opportune e necessarie ma la domanda di fondo purtroppo rimane: cosa fare?

 

 


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