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CINEMA - “The Passion”
Nella voragine del dolore per capire la resurrezione

  
di Giorgia CIPELLI

“The passion”: nella voragine del dolore per capire la resurrezione

Come ogni sacrosanto anno l’abbiamo ascoltata e riascoltata, letta e riletta. Forse abbiamo anche tentato con uno sforzo apprezzabile di immedesimarci in questo evento e, seppure nei nostri limiti, di riviverlo in noi. E’ la passione di Cristo nelle pagine del Vangelo, oserei dire il caposaldo della fede cristiana. Ma quanto ci coinvolge, in realtà? Il rischio di annoiarci, di assuefarci di parole come percosse, scherno, flagellazione è dietro l’angolo, pronto a divorarci ogniqualvolta tentiamo un incontro (forse anche autentico) con la Parola di Dio. Poi un film, “The Passion” di Mel Gibson che, senza dover essere sacralizzato, ci riporta in una dimensione forse più realistica, all’hinc et nunc storico, alla tragedia di un corpo martoriato a causa dei nostri peccati…tenendo fede, in linea di massima, alla narrazione dei Vangeli

E’ ovvio che non possiamo fermarci solo al Venerdì Santo, all’esaltazione di un dolore che sembra mettere in ombra la salvezza, ma non si può nemmeno rimuovere questo aspetto tanto crudo della nostra religione, perché Gesù oggi continua a subire la stessa atroce sofferenza, continua ad esser crocifisso dalla crudeltà umana, che dai romani a noi ha fatto parecchia strada e in senso negativo. E tutto questo ci coinvolge in prima persona, poiché siamo i diretti responsabili di quei chiodi conficcati nella sua carne, a partire da quelli che vengon piantati senza martello.

E dunque il film. Qualcuno l’ha trovato trasgressivo, violento, esagerato nella sua crudezza (ma storicamente i crocifissi erano ridotti così), troppo cruento (e il sangue sì, effettivamente è davvero tanto…), qualcuno ne è rimasto compiaciuto, soddisfando, forse in questo aspetto, il suo gusto per le storie di morte. Ma c’è molto di più in quella che Gibson ha voluto descrivere come la sofferenza pura e semplice di Cristo (nel film, interpretato da Jim Caviezel) dall’orto degli ulivi alla crocifissione. E, al di là delle critiche, gli va riconosciuto il merito di aver messo in scena la verità. La verità più nuda, scomoda, crudele sulla morte del figlio di Dio, maltrattato come il peggiore dei criminali, schernito come l’ultimo fra gli ultimi, crocifisso come il peccatore più incallito. Lui in croce: un’immagine dilaniante, testimonianza d’amore, di sacrificio divino, di dono estremo di sé, di accettazione, di perdono, di salvezza da una parte. Ma dall’altra vi è la debolezza, la vigliaccheria, la superbia dell’uomo – ebreo o romano, non fa differenza. Per questo è un pugno nello stomaco, disorienta lo spettatore di fronte a una scena che ha sempre immaginato più “sobria”, pacata.

Certo, si potrebbe molto discutere sulle frustate, le percosse, i chiodi, la flagellazione (guardarla sembra produrre addirittura un dolore fisico nello spettatore), la corona di spine, ma sarebbe un discorso a vuoto: tutto questo c’è anche nei Vangeli e se non riusciamo a immedesimarci abbastanza non possiamo nemmeno escludere che la realtà sia stata molto peggio. Proprio in ogni piaga, in ogni goccia di sangue c’è, a mio parere, la risposta: Gesù è riuscito a sopportate tutto senza lamenti, ribellioni, senza morire prima di giungere al calvario come sarebbe accaduto a chiunque prostrato dalle innumerevoli percosse, perché non era semplicemente un uomo. La teologia, qui, se era nell’intento del regista, va ricercata tra le righe. Era necessario che, per rinascere ad una nuova vita, vi fosse il percorso del dolore; la fede, d’altra parte, non sfugge a questa logica.

Sullo sfondo, magnifiche, Maria (Maia Morgenstern) e la Maddalena (Monica Bellucci). La sofferenza di Gesù nel corpo è quella di Maria nell’anima, un dolore intimo e indescrivibile. Accanto, il demonio (Rosalinda Celentano) in una rappresentazione davvero incredibile, fuori dagli schemi. Il diavolo non è un essere mostruoso, non spaventa, non ripugna. Ha quasi le sembianze di un essere umano, si aggira fra le persone, semina la tentazione mascherandola a verità. Una figura potente e indimenticabile. La bellezza di questi personaggi sta proprio nel fatto che si spogliano della loro “aura” di santi, perdono ogni religiosità o sacralizzazione. Sono semplicemente uomini.

Quindi la morte e, nel momento in cui il Cristo reclina la testa, esanime, una goccia di pioggia cade dall’alto. E’ la lacrima di un Padre che è sempre stato presente ed ora vela il suo volto di pianto per la perdita del Figlio. E’ lo sfogo del cielo sulla meschinità degli uomini. Ed è dolore che muta in perdono.

Potrebbe sembrare questo il momento clou dell’intero film. Che, per qualcuno, non lascia spazio alla resurrezione. Ma il minuto finale, un solo e intenso minuto, vede Gesù che, come uno spirito, esce dalle bende e si rialza. Pronto ad uscire. Pronto a conquistare gli uomini di tutti i tempi, i loro cuori. Non come un eroe, ma come un Dio che, con il suo sangue di uomo, ha bagnato la terra e l’ha riscattata.                 

 

 


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