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La Taranta: donne e dolore nella tradizione contadina del Sud

  
di Giuditta Simoncelli

Appartiene alla cultura del Sud il concetto di liberazione rituale dal male, dalla possessione o dall’ossessione, attraverso

Appartiene alla cultura del Sud il concetto di liberazione rituale dal male, dalla possessione o dall’ossessione, attraverso la danza. La valenza curativo-spirituale della musica, accordata alla meccanica del corpo, acquista nel meridione, un significato salvifico, di catarsi e purificazione, che fonda alcuni aspetti originali del folclore locale, ma anche elementi del patrimonio culturale italiano [e non solo] da difendere e trasmettere alle generazioni nuove.

La Taranta è una leggenda e un fenomeno sociale, oltre che una cultura musicale.

Secondo la narrazione popolare, durante la stagione dei raccolti, capitava spesso alle donne dei campi di avvertire contrazioni dolorose, improvvise e lancinanti. Una sensazione di soffocamento che era curabile solo e soltanto con l’intervento della musica e l’induzione della colpita al ballo liberatorio. Ma questa possessione del morso durava anni, anche dopo una momentanea guarigione dai suoi effetti e ciclicamente generava delle crisi annuali. Per questo, quelli che dal morso erano colpiti, diventavano degli esposti alla pubblica coscienza della loro diversità. Con l’avvicinarsi dell’anniversario della prima crisi, si preparavano al suo rinnovarsi e al rito della “liberazione” che puntualmente avveniva.

Così, attraverso movenze convulse e sussultorie, in una forma di identificazione con il ragno morsicatore, le donne colpite davano vita a una danza suggestiva e impressionante, frenetica. La simbologia di questa tradizione sottende un’ampia riflessione istintiva della cultura popolare che, nella spontaneità dei riti campestri, esprime, attraverso queste figure al confine con la follia inespressa, i “tarantolati”, la problematica di una condizione esistenziale dura, difficile, al confine con la schiavitù sociale: quella della vita dei campi nella storia. In modo particolare la frustrazione femminile, la condizione di obbedienza nella cultura patriarcale, maschile dalla quale esse, emergono solo attraverso la concessione di se stesse alla diversità del “malato” pur di liberare il proprio io: una forma, dunque, in realtà, di ribellione, che i ritmi incessanti della danza, sinuosa e scattosa, aggrovigliata, composta di figure alternate, a tratti strisciante, a terra, altre inarcata in agili movenze di elevazione, subito frustrate da nuove dolorose convulsioni, in un crescendo che ripercorre la meccanica psicologica di un delirio senza fiato, trasmettono a chi assiste coinvolgendolo sulla figura colpita in un’inquietudine dilagante.

Dalla condizione particolare della donna nella civiltà contadina, la taranta diviene l’espressione di una condizione universale del dolore umano, della costrizione dello stato fisico o sociale.

Negli ultimi anni anche l’attenzione della cultura nazionale ha riscoperto le realtà locali, rileggendo spesso opere del nostro patrimonio artistico attraverso le suggestioni regionali. Così, non è difficile, soprattutto nelle rappresentazioni teatrali, notare ispirazioni alla ritmica e all’espressione dialettale: la taranta è indubbiamente una forma elevata di folclore che, tuttavia, non resta ancorata a una visione particolare: permette una riflessione ben più ampia rispetto alla cultura contadina da cui trae origine, a indagare la storia femminile, l’animo della donna, la sua psicologia e la fragilità cui viene costretta dalle consuetudini sociali. È, metaforicamente, la malattia, e la pubblica diversità il prezzo da pagare per avere una voce dolorosa e lancinante nel mondo maschile. La Taranta, oggi, è considerata un’arte assimilabile alla tradizione spagnola del flamenco, anche se i circuiti di promozione culturale folcloristica italiana sono ancora macchinosi e risentono di una staticità che non hanno ancora superato. V’è indubbiamente una similitudine possibile tra la danza Andalusa e quella salentina, nei profondi accordi di sensualità che entrambe trasmettono: la corda dell’istinto, della passione e della rabbia, che perdono il controllo razionale, imponendo l’individuo nella purificazione della musica, sono un magico viaggio di colui che vi si affida, dal quale non facile è il ritorno, senza sentire qualcosa di diverso, interiormente.

Avvicinandoci all’estate, possiamo suggerire di fare diretta esperienza delle manifestazioni che in numerosi paesi del Salento, in primis nella Grecìa, omaggiano questa espressione della musica e della storia, e che vanno via via assumendo sempre più interesse sul piano della cultura nazionale. Senza dubbio un’emozione da non perdere e su cui riflettere.

 

 

 


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