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Salentini nella storia
ANTONIO DE VITI DE MARCO

  
di Valentina Vantaggiato

ANTONIO DE VITI DE MARCO

Il marchese De Viti nacque a Lecce il 30 settembre del 1858 da Lucia Troysi e da Raffaele De Marco. Il padre, avvocato e persona di cultura, impegnato nel sociale e interessato alla situazione politica di Terra d'Otranto, produsse alcuni scritti, e in quest'ambiente intellettualmente florido il ragazzo formò il suo carattere e coltivò le sue aspirazioni.

Visse la sua infanzia circondato dall'affetto dei suoi due fratelli, Cesare e Girolamo, e dall'amore delle sue tre sorelle. Durante l'inverno l'intera famiglia viveva nel capoluogo salentino; durante i mesi estivi, invece, si trasferiva in campagna in una delle numerose tenute di proprietà.

All'età di dieci anni, Antonio, iniziò a frequentare il collegio leccese "Giuseppe Palmieri" dove si diplomò. Anche se gli anni adolescenziali trascorsero serenamente, presto il giovane dovette affrontare un duro periodo per la morte del fratello maggiore e della madre.

Dopo gli studi liceali si trasferì a Roma e si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, "andando contro le aspirazioni che lo avrebbero portato ad assecondare la sua già spiccata inclinazione per le materie scientifiche e tecniche", ha scritto Angelo Monteduro. Ma il suo impegno fu totale e si laureò nel 1881. Continuò gli studi e gli fu affidata la cattedra di economia politica nella capitale partenopea prima, e a Macerata e a Camerino poi. Viaggiò in lungo e in largo per l'Italia perché la sua presenza era molto richiesta. Tra il 1885 e il 1887 visse a Pavia per lavoro, dopodiché ottenne la cattedra di Scienza delle Finanze nell'Università di Roma.

Nel 1889 il De Viti fece la conoscenza di Vilfredo Pareto e collaborò con lui al "Giornale degli economisti" del quale, dopo poco tempo, Antonio divenne direttore e proprietario insieme a Ugo Mazzola e al Pantaleoni. Dalle pagine di questo periodico egli denunciò fatti e misfatti della politica doganale e dei dazi, non curante delle conseguenze. Continuò tale lotta nel parlamento e non ebbe timore di dire ciò che pensava senza mezzi termini.

Nonostante i tanti impegni di lavoro, riuscì ad avere una vita privata. Si sposò a Firenze con Harriet Lathrop Dunham nel 1895. La donna, figlia di un finanziere americano, diede al De Viti tre figli: Etta, Lucia e James. La coppia visse per circa un anno negli Stati Uniti, poi fece ritorno in Italia.

Antonio, candidatosi per il partito radicale, fu eletto alla camera dei deputati nel 1901. "La lega Antiprotezionista fu uno dei modi in cui l'impegno dell'economista si profuse per la realizzazione di una democrazia moderna in Italia" (A.M.). In questo periodo, strinse amicizia con Gaetano Salvemini e con Luigi Einaudi. Con il professor Salvemini collaborò alla ricostruzione dell'Unità a partire dal 1916.

Nel 1931 consegnò le proprie dimissioni al rettore dell'Ateneo romano. Non furono anni facili, questi, per il De Viti. Si allontanò dalle scene e persino dagli amici. Fu definito da Tommaso Fiore "un faro nella notte". Il Salvemini, invece, pronunciò queste parole: "sorta la dittatura, Antonio si ritirò in disparte. L'Italia fece a meno per venti anni di quell'uomo, come se di uomini come quello ne avesse da sprecare". Pubblicò "I primi principi dell'economia finanziaria", opera che ebbe un grande successo e che fu ristampata tre volte e in diverse lingue.

Il De Viti morì a Roma il 1° dicembre del 1943.

 

 


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