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Alla ricerca del corpo perduto
  
di Silvana Arcuti

LA STORIA DEL CORPO

La storia del corpo come fatto sociale è stata a lungo trascurata. Ciò è dipeso tanto dalle componenti classiche del nostro patrimonio culturale, quanto dalla tradizione giudaico cristiana che ha proposto una visione dell’uomo in chiave dualistica, cioè come unione di mente (o anima) e corpo. Entrambe le tradizioni hanno elevato la mente o l’anima e hanno screditato il corpo. Questa subordinazione gerarchica del corpo alla mente ha prodotto una degradazione sistematica del corpo: i suoi appetiti e i suoi desideri sono stati considerati ciechi, anarchici o (in ambito cristiano) peccaminosi.

I profondi mutamenti culturali dell’ultima generazione (la rivoluzione sessuale, il capitalismo consumistico, le critiche avanzate dalla “controcultura” degli anni Sessanta e dal femminismo degli anni Settanta) hanno richiamato l’attenzione sul corpo come fenomeno sociale non più dipendente da una prospettiva filosofico-religiosa, ma facendo riferimento ad una lettura del problema in chiave antropologico-scientifica.

I metodi attraverso cui sviluppare la storia del corpo sono ancora oggetto di controversie, tuttavia si sono ormai evidenziati alcuni settori di grande interesse per lo studio della storia del corpo: uno di questi è il rapporto corpo-mente.

Per approfondire questo tipo di analisi è importante conoscere il ruolo subordinato che è stato attribuito al corpo nell’ambito del sistema di valori religiosi, morali e sociali della cultura tradizionale europea. La mentalità occidentale ha manifestato per secoli, nei confronti del corpo, un profondo dualismo che ha plasmato l’espressione linguistica, i metodi di classificazione e l’etica: essere uomo significava essere un “intelletto incarnato”; la mente, la volontà, la coscienza o l’io erano i padroni e il corpo era il loro schiavo; o, ancora, il corpo era la prigione dell’anima.

La conseguenza paradossale di una simile impostazione era che in virtù della sua natura imperfetta, e perfino bestiale, il corpo poteva essere facilmente assolto (“la debolezza della carne”). Al contrario, la mente, per la nobiltà della sua natura, aveva l’obbligo morale di elevarsi al di sopra della pura materialità; pertanto, la mente che si lasciava coinvolgere appariva più colpevole.

Se questo era il rapporto corpo-mente, con quale criterio, allora, si dovevano dividere i doveri e le responsabilità fra l’uno e l’altra? Quello che oggi può essere diagnosticato come un disturbo mentale, nei secoli passati veniva considerato prevalentemente un disturbo di origine somatica, poteva essere, per esempio, il prodotto di una ferita alla testa o di un malessere intestinale. Invece, considerarlo un disturbo mentale significava dover ammettere una possibile forma di possessione demoniaca.

Durante i processi alle streghe, nei secoli XVI e XVII, era fondamentale determinare se i fenomeni di possessione fossero da ascrivere ad una malattia o a Satana. L’orientamento dei medici era quello di dare maggiore risalto alle cause organiche del disturbo. In questo modo veniva concesso un alibi alla volontà, mentre il corpo, imperfetto e malato, veniva facilmente assolto perché inferiore alla mente.

Con la nascita della psicoterapia si andò diffondendo la certezza che le malattie mentali potessero essere guarite più in fretta di quelle fisiche. Si manifestò, verso quei disturbi, un atteggiamento di disponibilità e di comprensione: la società moderna, creando grandi aspettative e pesanti responsabilità, teneva gli individui sotto pressione; un alto tenore di vita nelle fasce sociali più agiate generava uno stato di ansietà. Perciò, in certe circostanze, i disturbi mentali, o come vennero definiti in seguito, gli esaurimenti nervosi, potevano ispirare comprensione o addirittura diventare espressione di distinzione sociale.

Dunque, il rapporto mente-corpo non è un fatto determinato a priori, ma dipende dal contesto culturale. La differenza esistente tra l’esperienza della malattia nella cultura occidentale e in quella cinese esemplifica con chiarezza questo relativismo. Quando un americano si sente “depresso” non consulta il medico, ma lo psicoterapeuta. La diagnosi è che soffre di un disturbo psichiatrico; la terapia per giungere alla guarigione è una indagine sulla storia della sua vita.

In Cina, una persona nelle stesse condizioni attribuisce il malessere ad una causa fisica; il medico conferma che si tratta di una malattia organica (che può essere, per esempio, la nevrastenia) e gli prescrive una terapia farmacologia. Poiché si considera vittima di una malattia somatica, il cinese assume il “ruolo del malato” e pertanto attira comprensione e attenzione. Se avesse ammesso di soffrire di un disturbo mentale, come il paziente americano, la sua sarebbe stata considerata una imperdonabile ammissione di debolezza di carattere e di anormalità.

Dalla duplice interpretazione del disturbo mentale, una somatica e l’altra psichiatrica, si comprende come il corpo, nell’indagine storiografica, debba essere considerato nel contesto dei valori culturali ed etici presenti in una società. La ripartizione di funzioni e responsabilità fra il corpo e la mente presenta notevoli differenze a seconda del secolo, della classe sociale, della cultura e delle circostanze. Quanto siano importanti queste valutazioni lo dice la storia della colpevolezza legale: nel passato la punizione era diretta a colpire il corpo tramite pene corporali o capitali; a partire dal XVIII secolo i riformatori penali sostennero l’opportunità di non punire il corpo, ma di correggere la mente.

I legami tra mente e corpo non sono meno fondamentali per la storia della medicina e della malattia, come testimoniano i disturbi “psicosomatici”. La filosofia e le concezioni dell’uomo si sono fondate di solito su una sottovalutazione metafisica del corpo umano; in molti rami del sapere il corpo è stato una presenza repressa, ignorata o dimentica. Recuperare la consapevolezza e la conoscenza del corpo indebolirebbe la posizione degli “spregiatori del corpo” (come li definì Nietzsche) e contribuirebbe alla sua riscoperta.

 

 

 

 


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