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Il tempo: uno degli enigmi dell’esistenza umana secondo alcuni tra i più grandi pensatori

  
di Giorgia Cipelli

Il tempo: uno degli enigmi dell’esistenza umana secondo alcuni tra i più grandi pensatori

Il tempo: come fermarlo, immortalarlo, coglierne l’essenza in poche immagini, in poche parole? E di nuovo come definire l’eterno modellatore dell’esistenza, causa del divenire delle cose e dell’uomo, abile trasformatore di ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, icona dell’impossibilità umana di dominare ogni elemento della sua esistenza? Fra razionalità e immaginazione, l’uomo ha sempre tentato, se non di comprenderlo appieno, almeno di “imprigionarlo” in una scansione di secondi, minuti, ore: così si osservava il cambiamento fra notte e giorno, si teneva presente il ciclo delle stagioni e così è nata anche la meridiana, espressione esemplare della suddivisione del tempo, giocata sullo scarto fra zona d’ombra e luce, che ancora oggi mantiene una suggestione speciale, quella magia che sa d’antico per individui che ormai sono abituati agli orologi più sofisticati. Il tempo perennemente ci sfugge e, proprio perché costituisce la nostra quotidianità, è difficile tradurre in un concetto ciò che pure è familiare all’uomo, tanto da condizionarlo nella sua esistenza. Il tempo è sempre un tempo di qualcosa: della storia, della scienza, di una persona, ma, in un contesto universale, è anche Tempo in quanto forza misteriosa della natura, che si manifesta all’uomo pur rimanendo invisibile. Nel corso dei secoli ci sono stati infiniti tentativi di darvi, in qualche modo, una spiegazione, artistica o scientifica. O filosofica. Che, naturalmente, affonda le radici nella classicità.

Il pensiero greco aveva due termini differenti per definire il tempo: era “aion”, il sempre assente, la durata senza principio né fine, privo di passato e di futuro, ma era anche “chronos”, grandezza misurabile, causa del divenire e del perire, fonte della trasformazione del passato in futuro. Una certa importanza aveva anche “kairos”, ovvero il momento in cui le cose e l’uomo che ad esse si rapporta, sono in equilibrio precario, instabile; questo termine, però, ha in sé molte altre valenze: è l’istante della decisione che può portare a un’azione memorabile, ha in sé, quindi, un qualcosa di divino ed è anche il tempo che scorre all’infinito e senza uno scopo, “E’ un delicato e bel fanciullo che si affretta sulla punta dei piedi alati” (Posidippo). In Omero ed Esiodo il tempo è espressione delle cose che furono, che sono e che saranno, mentre Talete e Anassimandro lo concepiscono nella sua valenza negativa in quanto distruttore di ogni cosa; in particolare Anassimandro sottolinea la stretta connessione tra Tempo e Giustizia, per cui il primo è giudice come gli dei. Pure nella tragedia si palesa questa concezione del tempo – dio: Sofocle, nell’“Elettra”, scrive che “Il tempo è il Dio che appiana tutto”, mentre Eschilo afferma “Il tempo è sovrano e onnipotente”.

Sarà poi Parmenide a fare un passo avanti, con la netta distinzione tra scienza (episteme) e opinione (doxa), in cui la doxa si occupa delle “cose che sono nate e ora sono e in seguito cresceranno e finiranno”; il tempo chronos del divenire è contrapposto all’immutabilità dell’essere.

Platone, nel “Timeo”, rende manifesta la filosofia del mondo delle idee, modello intelligibile e perfetto, e del mondo sensibile delle cose, copie imperfette ed emblema del divenire, del corrompersi, quindi, del non essere mai; per lui ciò che è, è sempre, mentre ciò che diviene non è mai.

In Aristotele permangono due significati di tempo, ovvero quello di eternità riferibile alla realtà delle cose che sono sempre e l’eternità intesa come durata temporale infinita delle cose corrotte da esso. Ovviamente è eterno il tempo stesso, perché se avesse un inizio, ci dovrebbe essere anche un prima, così come d’altronde non c’è un dopo e quindi non ha fine. Ma c’è anche un’eternità relativa al mondo corruttibile: è quella delle specie viventi che, attraverso il ciclo della generazione, copiano l’eternità dei cieli. Per Aristotele non c’è tempo senza moto, né moto senza tempo, quindi il tempo è attributo del movimento. Il pensiero aristotelico sul tempo va a fondo nell’indagare anche l’uomo, poiché ipotizza che la memoria è legata al tempo. Quindi se esiste una dimensione oggettiva di tempo ve ne è anche una in rapporto con la coscienza, l’esperienza, se stessi.

Per la concezione cristiana in principio vi è un Creatore onnipotente, capace di trasformare il nulla in essere; Dio, infatti, è un creatore “ex nihilo”, non un Demiurgo platonico che funge da artigiano. Non solo: Dio crea il mondo ma si inserisce direttamente, attraverso l’incarnazione, nella temporalità dell’esistenza umana. Una tale concezione del tempo, è, perciò, estremamente lineare, semplice: la vita di ognuno si avvia alla conclusione con il ritorno a Dio. Ecco che allora è un Dio a cavallo del tempo eterno della divinità e del tempo fragile dell’uomo, ecco che diventa importante il tempo vissuto nell’interiorità della coscienza. Dalla fede alla scienza: in questa nuova prospettiva, il tempo è considerato solo in senso quantitativo, ovvero è entità universale, infinita, uniforme e misurabile. Tale misurazione sta nel constatare che, a partire da un preciso momento, è trascorso un certo numero di unità.

Dopo tutto, a noi uomini imbottiti di scienza e conoscenza, alla domanda su che cos’è il tempo, non rimane che rispondere, con Sant’Agostino che “Se nessuno me lo chiede, lo so, se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Una domanda forse insolvibile. Ed è nell’animo di ciascuno che il tempo ha il suo rifugio. Nella mente. Perché il tempo ha in sé anche un valore escatologico sull’esistenza, per cui diventa oggetto d’indagine sul destino ultimo dell’uomo e dell’universo. E’ l’irriducibile scommessa del creato con la ragione umana.

 

 

 


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