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Il tempo: uno degli enigmi dell’esistenza umana secondo alcuni tra i più grandi pensatori |
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Il tempo: come fermarlo, immortalarlo, coglierne l’essenza
in poche immagini, in poche parole? E di nuovo come definire l’eterno
modellatore dell’esistenza, causa del divenire delle cose e dell’uomo, abile
trasformatore di ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, icona
dell’impossibilità umana di dominare ogni elemento della sua esistenza? Fra
razionalità e immaginazione, l’uomo ha sempre tentato, se non di comprenderlo
appieno, almeno di “imprigionarlo” in una scansione di secondi, minuti, ore:
così si osservava il cambiamento fra notte e giorno, si teneva presente il
ciclo delle stagioni e così è nata anche la meridiana, espressione esemplare
della suddivisione del tempo, giocata sullo scarto fra zona d’ombra e luce, che
ancora oggi mantiene una suggestione speciale, quella magia che sa d’antico per
individui che ormai sono abituati agli orologi più sofisticati. Il tempo per Il pensiero greco aveva due termini differenti per
definire il tempo: era “aion”, il sempre assente, la durata senza principio né
fine, privo di passato e di futuro, ma era anche “chronos”, grandezza misurabile,
causa del divenire e del perire, fonte della trasformazione del passato in
futuro. Una certa importanza aveva anche “kairos”, ovvero il momento in cui le
cose e l’uomo che ad esse si rapporta, sono in equilibrio precario, instabile;
questo termine, però, ha in sé molte altre valenze: è l’istante della decisione
che può portare a un’azione memorabile, ha in sé, quindi, un qualcosa di divino
ed è anche il tempo che scorre all’infinito e senza uno scopo, “E’ un delicato e bel fanciullo che si
affretta sulla punta dei piedi alati” (Posidippo). In Omero ed Esiodo il
tempo è espressione delle cose che furono, che sono e che saranno, mentre
Talete e Anassimandro lo concepiscono nella sua valenza negativa in quanto
distruttore di ogni cosa; in particolare Anassimandro sottolinea la stretta
connessione tra Tempo e Giustizia, per cui il primo è giudice come gli dei.
Pure nella tragedia si palesa questa concezione del tempo – dio: Sofocle,
nell’“Elettra”, scrive che “Il tempo è il
Dio che appiana tutto”, mentre Eschilo afferma “Il tempo è sovrano e onnipotente”. Sarà poi Parmenide a fare un passo avanti, con la netta
distinzione tra scienza (episteme) e opinione (doxa), in cui la doxa si occupa
delle “cose che sono nate e ora sono e in
seguito cresceranno e finiranno”; il tempo chronos del divenire è
contrapposto all’immutabilità dell’essere. Platone, nel “Timeo”, rende manifesta la filosofia del
mondo delle idee, modello intelligibile e perfetto, e del mondo sensibile delle
cose, copie imperfette ed emblema del divenire, del corrompersi, quindi, del
non essere mai; per lui ciò che è, è sempre, mentre ciò che diviene non è mai. In Aristotele permangono due significati di tempo, ovvero
quello di eternità riferibile alla realtà delle cose che sono sempre e
l’eternità intesa come durata temporale infinita delle cose corrotte da esso.
Ovviamente è eterno il tempo stesso, perché se avesse un inizio, ci dovrebbe
essere anche un prima, così come d’altronde non c’è un dopo e quindi non ha
fine. Ma c’è anche un’eternità relativa al mondo corruttibile: è quella delle
specie viventi che, attraverso il ciclo della generazione, copiano l’eternità
dei cieli. Per Aristotele non c’è tempo senza moto, né moto senza tempo, quindi
il tempo è attributo del movimento. Il pensiero aristotelico sul tempo va a
fondo nell’indagare anche l’uomo, poiché ipotizza che la memoria è legata al
tempo. Quindi se esiste una dimensione oggettiva di tempo ve ne è anche una in
rapporto con la coscienza, l’esperienza, se stessi. Per la concezione cristiana in principio vi è un Creatore
onnipotente, capace di trasformare il nulla in essere; Dio, infatti, è un
creatore “ex nihilo”, non un Demiurgo platonico che funge da artigiano. Non
solo: Dio crea il mondo ma si inserisce direttamente, attraverso l’incarnazione,
nella temporalità dell’esistenza umana. Una tale concezione del tempo, è,
perciò, estremamente lineare, semplice: la vita di ognuno si avvia alla
conclusione con il ritorno a Dio. Ecco che allora è un Dio a cavallo del tempo
eterno della divinità e del tempo fragile dell’uomo, ecco che diventa
importante il tempo vissuto nell’interiorità della coscienza. Dalla fede alla
scienza: in questa nuova prospettiva, il tempo è considerato solo in senso
quantitativo, ovvero è entità universale, infinita, uniforme e misurabile. Tale
misurazione sta nel constatare che, a partire da un preciso momento, è
trascorso un certo numero di unità. Dopo tutto, a noi uomini imbottiti di scienza e
conoscenza, alla domanda su che cos’è il tempo, non rimane che rispondere, con
Sant’Agostino che “Se nessuno me lo
chiede, lo so, se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”. Una
domanda forse insolvibile. Ed è nell’animo di ciascuno che il tempo ha il suo
rifugio. Nella mente. Perché il tempo ha in sé anche un valore escatologico
sull’esistenza, per cui diventa oggetto d’indagine sul destino ultimo dell’uomo
e dell’universo. E’ l’irriducibile scommessa del creato con la ragione umana.
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