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"La lunga vita di Marianna Ucrìa"
Il riscatto femminile di una condanna al silenzio

  
di Giorgia CIPELLI

“La lunga vita di Marianna Ucria”

«Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea». Lui è il duca Ucrìa di Fontanasalsa, lei la piccola Marianna, la figlia muta, diversa, la protagonista del libro di Dacia Maraini “La lunga vita di Marianna Ucrìa” che ha ottenuto i premi Campiello e Libro dell’anno nel 1990.

Nella Sicilia della prima metà del Settecento imperano lo splendore e la sapienza, cui fanno da contraltare la miseria e l’ignoranza. Da una parte i nobili, impegnati in balli, festini per le monacazioni e matrimoni, proprietari di palazzi e terre. Dall’altra i contadini, con la pelle bruciata dal sole e tormentata dalle zanzare, che scorgono da lontano il fasto e i banchetti dei signori. Marianna appartiene alla prima categoria. È discendente di una importante famiglia palermitana, la cui storia è scandita dagli eventi mondani caratteristici di una nobiltà che però è avviata in modo irreversibile al tramonto. Ogni aspetto della vita si riduce a un contratto, a partire dal destino dei figli: Signoretto, il più grande e al quale è destinato gran parte del patrimonio, Fiammetta, meno bella di Agata che per questo è già promessa sposa, diventerà suora. Anche per Carlo e Gerardo tutto è già stato scelto: il primo in convento, il secondo avviato alla carriera militare. E Marianna? Marianna è diversa, è sordomuta, comunica con gli altri attraverso dei bigliettini. Anche a lei, il padre, con cui si è instaurato un rapporto di infantile complicità, e la madre, perennemente abbandonata al sonno e al tabacco, hanno pensato: andrà in sposa allo zio Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo. Pure lei è destinata, controvoglia, a sposarsi e a dare alla luce nuovi eredi. E infatti arrivano i figli – Felice, Giuseppa, Manina, il piccolo Signoretto morto a quattro anni – dolci e vicini alla madre da fanciulli, infelici e talvolta stizziti dalla sua sordità ormai adulti.

Con un marito la cui presenza diventa sempre più fastidiosa e ripugnante, Marianna si rifugia nel suo ‘angulus’ prediletto, la biblioteca. Per comunicare con gli altri e continuare a sentirsi viva, pur con il passare degli anni, Marianna scrive, riversa nella pagina bianca i pensieri e le esperienze, si accosta alla filosofia di David Hume che le fa nascere dentro una serie di interrogativi. E così Marianna Ucrìa, durante la vita, la sua lunga vita, sperimenterà, come tutte le donne, i gesti, i dubbi, i problemi, i momenti di euforia e di scoraggiamento, la tenacia e il coraggio di cui ogni esistenza è ricca. Anche lei conoscerà le gioie e i dolori dell’essere prima figlia e poi madre. E incontrerà, dopo la morte del marito e anni di deserto affettivo, il vero amore, incarnato nel giovane Saro. Con Saro inizierà un rapporto fatto di complicità, di sguardi, attrazione e reticenze, fino al matrimonio del ragazzo, combinato da Marianna stessa, con Peppinedda. In seguito farà amicizia con il pretore don Giacomo Camalèo, che la chiederà in sposa.

Fra le diverse vicende esterne ed interiori si insinua sempre la domanda prepotente, disperante e disperata, del suo mutismo. E’ ‘mutola’ fin dalla nascita Marianna? O invece è accaduto qualcosa, quand’era piccola, che le ha provocato uno shock tale da renderla muta per sempre? La verità giunge, alla fine, amara e dolorosa. Ma “La lunga vita di Marianna Ucrìa” non è solo la biografia dell’evoluzione fisica e psicologica della protagonista, è anche un’esaltazione del potere della scrittura, l’unico aggancio che Marianna ha con il mondo. I libri diventano i suoi compagni di vita, i suoi amici invisibili, fantasmi che bussano alle porte del cuore: «Fra le sue mani un libro d’amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino per le vene. E’ questa la divina vendemmia della letteratura? Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l’ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell’amore in rappresentazione, non è amore anche questo?». Le parole di Marianna, che vorrebbero uscire dirompenti e invece si fermano in gola, sono come quelle imprigionate nelle pagine, inchiostro costretto da un imperscrutabile destino sulla carta. Allo stesso tempo Marianna sviluppa la straordinaria capacità di carpire i pensieri di coloro che le sono accanto, senza che loro se ne accorgano.

Il tema dell’emancipazione femminile viene filtrato attraverso le pagine di questo romanzo storico e d’appendice che trova una sua piena autonomia nell’originalità della protagonista, nell’eleganza dell’analisi psicologica e della finezza linguistica. Un libro che cattura, inquieta, fa sorridere e rende il lettore partecipe del segreto più tremendo e umiliante a cui una donna possa esser condannata: il silenzio forzato. «Ma la voglia di riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è ancora una domanda. Ed è muta».

 

 


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