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"La lunga vita di Marianna Ucrìa" |
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«Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello,
sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con
le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un
corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea». Lui è il duca
Ucrìa di Fontanasalsa, lei la piccola Marianna, la figlia muta, diversa, la
protagonista del libro di Dacia Maraini “La lunga vita di Marianna Ucrìa” che
ha ottenuto i premi Campiello e Libro dell’anno nel 1990. Nella Sicilia della prima metà del Settecento imperano lo
splendore e la sapienza, cui fanno da contraltare la miseria e l’ignoranza. Da
una parte i nobili, impegnati in balli, festini per le monacazioni e matrimoni,
proprietari di palazzi e terre. Dall’altra i contadini, con la pelle bruciata
dal sole e tormentata dalle zanzare, che scorgono da lontano il fasto e i
banchetti dei signori. Marianna appartiene alla prima categoria. È discendente
di una importante famiglia palermitana, la cui storia è scandita dagli eventi
mondani caratteristici di una nobiltà che però è avviata in modo irreversibile
al tramonto. Ogni aspetto della vita si riduce a un contratto, a partire dal
destino dei figli: Signoretto, il più grande e al quale è destinato gran parte
del patrimonio, Fiammetta, meno bella di Agata che per questo è già promessa
sposa, diventerà suora. Anche per Carlo e Gerardo tutto è già stato scelto: il
primo in convento, il secondo avviato alla carriera militare. E Marianna?
Marianna è diversa, è sordomuta, comunica con gli altri attraverso dei
bigliettini. Anche a lei, il padre, con cui si è instaurato un rapporto di
infantile complicità, e la madre, perennemente abbandonata al sonno e al
tabacco, hanno pensato: andrà in sposa allo zio Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo.
Pure lei è destinata, controvoglia, a sposarsi e a dare alla luce nuovi eredi.
E infatti arrivano i figli – Felice, Giuseppa, Manina, il piccolo Signoretto
morto a quattro anni – dolci e vicini alla madre da fanciulli, infelici e
talvolta stizziti dalla sua sordità ormai adulti. Con un marito la cui presenza diventa sempre più
fastidiosa e ripugnante, Marianna si rifugia nel suo ‘angulus’ prediletto, la
biblioteca. Per comunicare con gli altri e continuare a sentirsi viva, pur con
il passare degli anni, Marianna scrive, riversa nella pagina bianca i pensieri
e le esperienze, si accosta alla filosofia di David Hume che le fa nascere
dentro una serie di interrogativi. E così Marianna Ucrìa, durante la vita, la
sua lunga vita, sperimenterà, come tutte le donne, i gesti, i dubbi, i
problemi, i momenti di euforia e di scoraggiamento, la tenacia e il coraggio di
cui ogni esistenza è ricca. Anche lei conoscerà le gioie e i dolori dell’essere
prima figlia e poi madre. E incontrerà, dopo la morte del marito e anni di
deserto affettivo, il vero amore, incarnato nel giovane Saro. Con Saro inizierà
un rapporto fatto di complicità, di sguardi, attrazione e reticenze, fino al
matrimonio del ragazzo, combinato da Marianna stessa, con Peppinedda. In
seguito farà amicizia con il pretore don Giacomo Camalèo, che la chiederà in
sposa. Fra le diverse vicende esterne ed interiori si insinua
sempre la domanda prepotente, disperante e disperata, del suo mutismo. E’
‘mutola’ fin dalla nascita Marianna? O invece è accaduto qualcosa, quand’era
piccola, che le ha provocato uno shock tale da renderla muta per sempre? La
verità giunge, alla fine, amara e dolorosa. Ma “La lunga vita di Marianna
Ucrìa” non è solo la biografia dell’evoluzione fisica e psicologica della
protagonista, è anche un’esaltazione del potere della scrittura, l’unico
aggancio che Marianna ha con il mondo. I libri diventano i suoi compagni di
vita, i suoi amici invisibili, fantasmi che bussano alle porte del cuore: «Fra
le sue mani un libro d’amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte
dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero
che gira come una ruota di mulino per le vene. E’ questa la divina vendemmia
della letteratura? Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere
il succo del pensiero altrui, provare l’ebbrezza rimandata di un piacere che
appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre
ripetuto dell’amore in rappresentazione, non è amore anche questo?». Le parole
di Marianna, che vorrebbero uscire dirompenti e invece si fermano in gola, sono
come quelle imprigionate nelle pagine, inchiostro costretto da un
imperscrutabile destino sulla carta. Allo stesso tempo Marianna sviluppa la
straordinaria capacità di carpire i pensieri di coloro che le sono accanto,
senza che loro se ne accorgano. Il tema dell’emancipazione femminile viene filtrato
attraverso le pagine di questo romanzo storico e d’appendice che trova una sua
piena autonomia nell’originalità della protagonista, nell’eleganza dell’analisi
psicologica e della finezza linguistica. Un libro che cattura, inquieta, fa
sorridere e rende il lettore partecipe del segreto più tremendo e umiliante a
cui una donna possa esser condannata: il silenzio forzato. «Ma la voglia di
riprendere il cammino è più forte. Marianna ferma lo sguardo sulle acque
giallognole, gorgoglianti e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne
riceve è ancora una domanda. Ed è muta».
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