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Bram Stoker’s Dracula |
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Correva
l’anno 1992 e nei cinema di tutto il mondo echeggiavano sinistre le gesta di
uno dei più noti “figli della paura”, il conte Dracula, archetipo di quelle
sensazioni d’angoscia e orrore puro che hanno da sempre colpito e affascinato
il genere umano sin dagli albori. Come affermava l’innovativo e
sensibile scrittore americano H.P.Lovecraft : “Il sentimento più forte e antico
dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto.” Orbene, come è stato giustamente
fatto notare, di trasposizioni cinematografiche dell’esangue conte nel corso
della storia ne sono state fatte veramente tante, non prendendo in
considerazione le innumerevoli rappresentazioni teatrali. Ma ci si è anche
accorti, altrettanto giustamente, che la versione ufficiale, quella vera e
indubbiamente fedele all’opera letteraria, non è mai stata portata sul grande
schermo. Lo stesso regista del film, Francis Ford Coppola, nelle interviste del
periodo, proclamò che intendeva da tempo riportare con dovizia la vera storia
del travagliato e nobile conte. Finalmente, tredici anni or
sono, il noto cineasta riuscì a portare a termine il suo progetto vincitore di
tre premi Oscar, realizzando, col proprio talentuoso sentire, la diffusione di
una nuova, ennesima epidemia vampirica tra gli umani. Circondandosi di capaci
professionisti, Coppola si è avvicinato più di chiunque altro allo spirito del
romanzo creato dallo scrittore irlandese Abraham Stoker (1847-1912),
rivelandoci la tormentata umanità e l’infinita solitudine del decaduto conte. Il film si apre portentosamente
con la tragicità e l’impeto narrativo sempre più incalzante di una voce fuori
campo che ci introduce nel XV secolo e, più precisamente, nel 1462, anno della
caduta di Costantinopoli. Il giovane nobile e guerriero conte Dracula,
conosciuto come Draculia, il cui sacro ordine è quello del Dragone, parte in
una crociata cristiana per contrastare il dilagare dei musulmani turchi in
Europa. Tra mille dolori, seppur con tremenda mestizia, egli deve lasciare
l’amata sposa ed arrestare l’avanzata degli infedeli. Dopo un’estenuante campagna
dalla quale risulta vincitore, Dracula ritorna nel suo regno, ma trova la
moglie morta. I turchi, infatti, sconfitti ma vendicativi, avevano lanciato
contro il suo palazzo una freccia con la falsa notizia della morte di Dracula,
e la giovane sposa si era gettata nel fiume, certa di essere rimasta sola. È a questo punto che il giovane
conte, distrutto e reso folle dal dolore, si vota al male rinnegando tutto ciò
per cui aveva lottato, ripudiando la figura stessa di Cristo. Subito dopo, ci
ritroviamo in una cupa e caliginosa Londra di fine ‘800, con i rintocchi del
Big Ben che fanno presagire qualcosa di empio. Quest’inizio, un prologo con
riferimenti storici, è solo uno degli evocativi momenti presenti nella
pellicola. Il bravissimo e versatile Gary Oldman-Dracula da qui prova delle sue preziose qualità
artistiche, facendoci sentire tutte le diverse sfumature che fanno parte di
questa poliedrica e multiforme creatura, perennemente in bilico tra l’umano ed
il mostruoso, l’empio ed il sacro, il dramma di un amore perso e la tormentata
crudeltà, trascinandoci in una spirale travolgente, ponte tra le due entità
dell’avvizzito personaggio oppresso dal peso dei secoli, un personaggio la cui
stirpe è ormai estinta. Il fascino di questa inquietante
storia è poi destinato a crescere se si pensa che libro e film traggono spunto
da un vero riferimento storico. Parliamo del principe rumeno di Valacchia, Vlad
Dracula, detto Tepès, “l’impalatore”, dal nome di una delle sue principali e
gradite forme d’uccisione. Nato nel 1431, a soli diciassette anni fu messo sul
trono dai Turchi come loro vassallo, e, forse sempre per mano degli infedeli
boiardi, morì in circostanze misteriose nel 1476. Tutto ciò contribuisce
certamente a colpire e affascinare lo spettatore, che si trova a metà tra
un’effettiva realtà storica ed il mito, proprio come volle lo scrittore. Tutto
in questo film partecipa a consacrare l’opera del regista: dai costumi alla fotografia,
dal cast artistico alle memorabili musiche di Wojciech Kilar (curiosamente
rumeno anch’egli), ai creativi e suggestivi effetti visivi e al trucco. È sicuramente vero che l’arte
non ha confini. Ed è altrettanto innegabile che qualsiasi genere, se fatto con
gusto, abilità e stile esula dalle soffocanti etichette, e questo film, come ci
ha con magniloquenza dimostrato il signor Coppola, non ne ha per nulla bisogno.
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