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La Montagna Illustrata. Dalla realtà all’illustrazione |
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Da ormai tanti anni il Museo
Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi”che ha sede sul Monte dei Cappuccini
a Torino (in Via G. Giardino 39), ci ha abituati, grazie all’impegno
inossidabile del suo direttore Aldo Audisio e dei suoi collaboratori, ad ampie
e sistematiche ricognizioni storico-documentarie sul rapporto tra la montagna e
i grandi veicoli comunicativi della civiltà moderna, dall’arte alla fotografia
(soprattutto), dal cinema alla pubblicità, dalla televisione all’illustrazione; producendo
innumerevoli mostre e altrettanti cataloghi della preziosa collana dei chaier museomontagna (che festeggia il
titolo 146), inconfondibili nella loro bordatura nera che fa risaltare al
meglio l’immagine di copertina. Il tutto frutto di grande passione, di instancabile ricerca e di documentazione seria, dirette alla più
autentica valorizzazione culturale della montagna, con offerta di spunti sempre
nuovi, di articolati approfondimenti tematici, di approcci inediti e di vere e
proprie “curiosità”. È la volta di una godibilissima
mostra (“Montagne in copertina. Dalla realtà all’illustrazione”) che documenta
un tempo, ormai remoto, in cui gli eventi (qui sono presi in considerazione
quelli che avevano come sfondo il paesaggio montano, se non addirittura la
montagna come vera e propria protagonista) venivano “rappresentati”
inizialmente ad un pubblico d’élite e
successivamente ad una platea sempre più vasta e popolare dalla penna di noti
(o anche anonimi) illustratori su periodici di ampia divulgazione. La rassegna,
frutto di ricerche effettuate nell’ultimo decennio presso mercatini e
rigattieri, lungo i percorsi di quello che si usa chiamare “antiquariato
minore”, partendo dagli ultimi anni
dell’Ottocento ci conduce fino ai primi anni Sessanta, quando la televisione –
sia pur non soppiantando completamente i periodici illustrati - diventava
prepotentemente il mezzo più diffuso ed efficace nella comunicazione per
immagini. Circa settant’anni di storia e
di cronaca, italiana e straniera, si offrono agli occhi del visitatore
attraverso le copertine di testate che vanno dalla raffinatissima
“Illustrazione Italiana” al “Figaro illustré”, dal rarissimo “Femina” a “La
lettura”, da “Le grandi firme” con le
copertine firmate da Boccasile alla mitica “Domenica del Corriere” con le
tavole prima di Beltrame e poi di Molino, da “Il travaso” a “La tribuna
illustrata”, da “Illustrazione del Popolo” a “Grand Hotel”. Vi troviamo di
tutto. Innanzitutto la “storia” con l’epopea della Grande Guerra sull’arco
alpino e le ardimentose spedizioni sulle vette più alte del pianeta (un’intera
sezione è dedicata alla spedizione polare di Luigi Amedeo di Savoia Duca degli
Abruzzi partita nel 1899), ma anche la “cronaca” di svaghi reali, ascensioni,
sport alpini, valanghe, avventure di viaggio, catastrofi naturali e tragici
incidenti in crepacci o su pareti rocciose, atti d’eroismo, e perfino gossip (su una copertina della
“Domenica” del 1961 in cui vediamo la principessa Maria Gabriella di Savoia che
scia a Courchevel in Francia, si rinvia alle pagine interne per piccanti
rivelazioni sui suoi presunti fidanzati). Visitando la mostra capita anche
di imbattersi in scene sensazionali o improbabili, create dalla fantasia oppure
amplificate dall’enfasi narrativa dell’illustratore che sapeva così “condire”
la notizia oppure trasformare in “mito” la realtà che intendeva rappresentare.
L’occasione espositiva, infatti, va colta anche come un momento di riflessione
su un’arte minore, ma estremamente
complessa, come quella dell’illustrazione in cui convergono e si intrecciano
tra loro finalità editoriali, filtraggio ideologico dell’illustratore, mode
estetiche e tecniche esecutive basate sul disegno e sull’incisione; su un
capitolo insomma di una forma originale di comunicazione che per tanti decenni
ha alimentato l’informazione, la cultura visiva e l’immaginario collettivo di
intere generazioni. Ma qual è la “montagna” che
emerge da questa storia illustrata offerta dalla mostra torinese? Ci fa da
“guida” per scoprirlo, con il suo testo in catalogo, Enrico Capanni,
giornalista e storico dell’alpinismo. La prima guerra mondiale “consacra lo
stereotipo della montagna tragica e austera” su cui il fascismo “farà presa per
cantare le gesta eroiche degli alpinisti campioni della patria”. Dopo l’ultima
guerra “la modernizzazione della
montagna non si manifesta più con le tecnologie belliche e le macabre
rappresentazioni del sangue e del sacrificio, ma con modelli speculari e
contrari come l’esibizione ludica del corpo, le sfide delle imprese
impossibili, l’esportazione in quota del lusso, della moda e dell’ostentazione
borghese”.
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