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Critone: un dialogo platonico per cogliere il significato del vivere umano

  
di Giorgia Cipelli

Critone di Platone

Un vicenda di stampo classico per capire la realtà delle cose, una storia passata per recuperare il presente, un approfondimento sull’importanza dei valori per ritrovarli nella quotidianità di oggi…è ancora possibile?

Sembra che i filosofi greci studiati sui banchi di scuola non abbiano più nulla da offrirci se non tante chiacchiere vane, teorie forse un po’ troppo fantastiche e frasi passate alla storia ma presto dimenticate. Forse basta solo vincere qualche piccolo pregiudizio e “rituffarsi” nell’antichità di secoli e secoli avanti Cristo per smentire tutto questo. Opere scritte anche nel lontano V sec. a. C. parlano ancora all’uomo moderno, sicuramente in modo più criptico e ascoso, ma, andando all’essenza delle parole, in realtà si coglie uno sfondo più che mai attuale.

E’ ciò che può avvenire riprendendo in mano qualche dialogo di Platone: Critone, ad esempio, un breve libro incentrato sulle ultime ore di vita di Socrate, si estrinseca in un serrato dialogo tra Critone, allievo di Socrate, e il filosofo stesso: oggetto del discorso è la fuga dal carcere, benvista dal primo e condannata dal secondo. Gli argomenti toccati dai due vanno ben aldilà della situazione contingente e il discorso fra i protagonisti assume i caratteri di una riflessione profonda sulla vita e su come l’uomo si rapporta con se stesso e con gli altri.

Una delle questioni strutturali dell’intero dialogo è l’opposizione tra logoV (logos, ovvero la ragione, l’intelletto, anche se nell’antichità aveva un significato ben più ampio) e doxa (doxa, ovvero l’opinione) e soprattutto l’opinione del volgo. Il logos deve essere prioritario per l’uomo, è garante di stabilità, del permanere e criterio di conoscenza e d’azione, mentre la doxa è puro sembrare, apparenza, una considerazione mutevole. Per questo, afferma Socrate, un uomo, anche se si trova nella situazione più estrema, non può affidarsi all’opinione del volgo a seconda delle contingenze, ma valutare ogni cosa in base al proprio logos. Deve essere sempre se stesso, in termini moderni. E qui si affronta una riflessione importante: quante volte l’uomo odierno agisce dopo aver valutato con il proprio intelletto la situazione? E quante invece pensa all’opinione della gente, “a cosa diranno gli altri”, come lo giudicheranno se si trovano in disaccordo con lui? Oggi, nella maggior parte dei casi, si agisce in un certo modo per l’approvazione da parte degli altri. Si agisce con incoerenza, cambiando opinione e atteggiamento a seconda delle situazioni, indossando quella maschera che annulla il logos, annulla la personalità. Ma l’insegnamento di Platone è un altro: se si crede realmente in alcuni ideali, anche quando ci si trova in una posizione dissonante, è necessario portarli avanti, senza scendere a compromessi, nemmeno nei casi più drammatici; mai, infatti, l’opinione della gente deve essere considerata come norma d’azione. Solo il raziocinio, dunque, può rendere felice l’uomo per una vita ben vissuta perché “non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene” cioè “il vivere con virtù e giustizia” e la ragione insegna che questo significa non commettere il male e l’ingiustizia anche se si ricevono. L’ingiustizia, infatti, in colui che la compie, guasta e corrompe l’anima, mentre la giustizia la migliora: un messaggio più che mai attuale, considerando l’ottica cristiana del “porgi l’altra guancia”. Un altro aspetto che ha assonanza con la religione è il tema sull’immortalità dell’anima, connesso all’esistenza di una vita ultraterrena e di un premio per chi ha vissuto rettamente.

Il tema forse più imponente affrontato nell’ultima parte è quello del rapporto tra il cittadino e le leggi che reggono uno Stato. Le pagine del dialogo tra Socrate e le Leggi personificate può apparire al lettore moderno un po’ svilito, nonostante tutta la poesia che vi è racchiusa, poiché non riesce a cogliere tutto il suo originale significato morale, etico e sociale. Il cittadino greco, nei confronti della sua polis, nutre un rispetto quasi devozionale, come quello con la natura che lo ha creato.

Egli si riconosce nella patria, nella concordia con gli uomini, nel rispetto e nell’adesione alle leggi e con esse forma quella grande luce che dà splendore alla città. Si tratta naturalmente di una concezione antica e non più valida per una società come la nostra, ma la validità del messaggio platonico sopravvive ai secoli. Quale partecipazione convinta, quale piena adesione dà l’uomo odierno alle leggi dello stato? Le leggi sono frutto della mente umana, quindi soggette a errori, ma il cittadino non è più il cittadino convinto dell’importanza sociale e civica di un provvedimento, è un cittadino che rispetta le norme per paura delle sanzioni, che non si impegna per cambiarle, se necessario, per disinteresse.

Critone è, quindi, una riflessione sul vivere umano, che si esplicita nella coerenza (da cui non si può prescindere) fra azione e pensiero, è un esame sul dramma nel riuscire a rimanere fedeli ai propri principi e una sorta di ammonimento etico sul comportamento civile.

 

 


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