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“Pittori della realtà. Le ragioni di una rivoluzione, da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti”

  
di Giorgia Cipelli

“Pittori della realtà

“Pittori della realtà. Le ragioni di una rivoluzione, da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti”: un viaggio attraverso il naturalismo seguendo la scia dei più grandi artisti italiani. Cremona, capoluogo lombardo sensibile all’arte, ospita dal 14 febbraio al 2 maggio una mostra che vanta la presenza di opere uniche, dal valore artistico qualitativamente eccezionale, tanto che il Metropolitan Museum of Art di New York, diretto dal professor Philippe de Montebello, che ha coprodotto l’evento, si è già messo in lista per trasferire l’esposizione nella grande mela, dal 27 maggio al 15 agosto.

La mostra intende ripercorrere le principali tappe della pittura naturalista in Lombardia dalla seconda metà del Quattrocento, periodo in cui erano attivi a Milano il bresciano Vincenzo Foppa e Leonardo, lungo il Cinquecento e il periodo di formazione di Caravaggio fino al Settecento con Frà Galgario e Ceruti. Studi recenti hanno infatti individuato nella Lombardia l’importante retroterra di un naturalismo rimasto fedele nei secoli che ha costituito il punto nodale della rivoluzione caravaggesca.

Un progetto, quindi, di forte valenza culturale, che si propone come un omaggio ai pittori che hanno segnato una svolta nella storia dell’arte italiana. Non è impossibile, così, trovare rappresentazioni alquanto inedite: Madonne sgomente di fronte all’arcangelo Gabriele, un bambino morso da un gambero con una smorfia di disgusto, popolane che vendono ortaggi e mendicanti scalzi, dagli abiti che hanno il colore “della polvere” e che ritrovano, nella tela, una sorta di dignità perduta, o meglio mai avuta: è l’espressione di un Umanesimo lontano dalla celebrazione delle committenze, ma piuttosto si configura come un Rinascimento “domestico”. Se i dipinti di carattere sacro potevano apparire ancora di un’austerità del tutto forzata, nelle opere profane emergeva la vita vera, cruda e difficoltosa, il reale, anche sconveniente e disprezzato, la natura che diventava modello.

E’ in questo panorama di una civiltà contadina concreta che s’innesta la lezione di Leonardo da Vinci, toscano di nascita ma chiamato a Milano da Francesco Sforza; la sua curiosità di scienziato lo portò ad osservare attentamente la natura e il reale, tanto da attirare un gran numero di seguaci e allievi, fra cui Boltraffio, Cesare da Sesto, Solario, Melzi, Ambrogio De Predis, Luini, le cui opere sono esposte nella prima sezione della mostra. Fiore all’occhiello dell’esposizione, naturalmente, sono alcuni disegni autografi in gesso rosso di questo grande genio italiano, concessi eccezionalmente dalla Royal Library del castello di Winsdor, la collezione della regina Elisabetta; si tratta di quattro studi di piante per la preparazione della Leda con cigno.

Leonardo è stato guida anche di un altro pregevole artista, il bresciano Vincenzo Foppa, la cui tradizione tardo-gotica non ha però eccessi di influenze cortesi. Foppa, nelle opere esposte, mostra personaggi ben descritti psicologicamente, con architetture che si allontanano dai virtuosismi prospettici e un uso della luce che gli attribuisce addirittura il titolo di predecessore di Merisi. Furono soprattutto Leonardo e Foppa i precursori del naturalismo lombardo che in futuro non distoglierà mai lo sguardo dallo studio diretto della natura e si preoccuperà di presentare la luce in modo naturale, senza annullare le ombre.

Una vera e propria rivoluzione, dal gusto moderno e un po’ oltraggioso, è quella che si manifesta nelle opere di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, che un po’ “sconvolge” per l’eccezionale spinta rivoluzionaria e per l’audacia. Il suo modo di accostarsi alla natura è completo, senza riserve, senza trucchi o abbellimenti, senza paura di mostrare il brutto, l’osceno, lo sconveniente, anche a costo di sembrare irriverente o esagerato. Il suo uso della luce è spietato, in netto contrasto con la profondità delle ombre. Rispetto a un Rinascimento estetizzante, la sua scelta fu quella di un pittore controcorrente e lo si nota in modo palese ne “Il cavadenti”, una scena reale e “terrificante” insieme, ricca di ombre e luci, lontana nel tempo e moderna. Geniale, nel vero senso della parola.

La sua lezione, così innovativa, non è rimasta inascoltata: opere di Frà Galgario e di Giacomo Ceruti ne sono l’esempio. In particolare Ceruti, detto il Pitocchetto proprio per la sua propensione a dipingere i poveri, i mendicanti, gli ultimi, restituendo loro una dignità negata dalla vita stessa. E questi “miserabili” sono descritti senza il gusto per il grottesco, ma con un vero e proprio senso della pietas, una dolente e sincera partecipazione umana.

“Pittori della realtà”, insomma, presenta allo spettatore opere di grandi artisti difficilmente visitabili altrove (alcune provengono da Londra, Oxford, New York, Washington), ma soprattutto un excursus sulla potenza del naturalismo nell’arte: non c’è astrazione o tipizzazione, ma solo l’infallibilità del dettato naturalistico e della percezione umana.

 

 


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