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I Conti di Lecce nel Periodo Normanno

  
di Valentina Vantaggiato

I CONTI DI LECCE NEL PERIODO NORMANNO

Nel secolo XI, la presenza del popolo normanno nel territorio salentino era diventata consistente. Oramai era una realtà come lo era che i bizantini stavano perdendo via via l’egemonia in queste zone.

La fortuna normanna ebbe inizio grazie alle azioni di Roberto il Guiscardo. Per suo merito, furono conquistate diverse città geograficamente strategiche, quali Otranto, Nardò, Taranto e Gallipoli. “Oramai le imprese normanne erano irreversibili e sconvolgevano il precario assetto esistente”, scrive Luigi Carducci, storico salentino. “I normanni riportarono sulle terre conquistate un sistema politico del tutto inedito per il nostro Mezzogiorno, facendo del meridione uno Stato autonomo”, disciplinato dall’abilità politica di uomini che imposero un nuovo sistema feudale guidato “dall’assoluta sovranità del Capo riconosciuto”.

Frattanto, a Roberto successe Ruggero II, il nipote, il quale divenne Re della Sicilia, della Calabria e della Puglia. A conquista ultimata, i normanni cercarono di organizzare il territorio nella maniera più funzionale. Il sovrano divise i suoi possedimenti in “contee”, circondari amministrativi governati da “conti”. Tra le più importanti sono da menzionare la Contea di Brindisi, di Nardò, di Ostuni, di Oria e la contea di Lecce. Quest’ultima era posta nel cuore del Salento e, dal 1092, fece parlare molto di sé, assumendo un ruolo rilevante rispetto agli altri distretti.

Tra i conti leccesi ricordiamo Goffredo II, il quale, con l’aiuto del vescovo Formoso, nel 1114, commissionò i lavori della splendida Cattedrale leccese. Un documento del 1057 prova l’esistenza, già in quell’anno, di una famiglia normanna dalla quale, poi, prese avvio la genealogia dei famosi conti di Lecce.

Il conte Accardo, successo al padre Goffredo, governò la contea dal 1120 al 1137 istituendo, nel 1133, il Monastero femminile di San Giovanni Evangelista. Alla sua morte, la contea passò nelle mani del figlio, che salì al potere col nome di Goffredo III. Questi fece sì che la fama del circondario leccese giungesse a Palermo, cosicché fra le due città meridionali presto s’instaurarono rapporti molto stretti. Fu così che Ruggero, il figlio del sovrano siciliano, in una sua visita a Lecce, conobbe la sorella del conte Goffredo. Dalla relazione tra i due giovani nacquero Guglielmo, il quale morì prematuramente, e Tancredi, futuro conte di Lecce. Il legame tra le famiglie si rafforzò e la contea salentina acquisì nuovi possedimenti in Sicilia (Caltanisetta, Noto) e in Lucania (Montescaglioso).

Tuttavia, il percorso della storia cambiò bruscamente direzione. Il nuovo sovrano palermitano, Guglielmo I, detto “il Malo”, non accettò le pressanti interferenze del conte leccese nel suo governo. Goffredo, infatti, aveva assunto un atteggiamento irrequieto in seguito alla decisione del re di accordare favori a un piccolo gruppo emergente dell’alta borghesia marinara pugliese. Per questa sua ingerenza fu perseguitato dal nuovo sovrano e imprigionato a Messina.

La motivazione reale di Guglielmo era però un’altra. Egli, difatti, aveva il timore che il comune nipote Tancredi rivendicasse il suo trono. Approfittando dell’assenza di Goffredo, “il Malo” marciò sulla Puglia, attaccò Brindisi e Bari, distruggendole in parte, e si riprese i territori della Lucania e della Sicilia. Un gesto poco corretto, il suo, soprattutto se pensiamo che Goffredo si era messo a completa disposizione dei regnanti siciliani, accogliendoli calorosamente nella propria terra ogni qualvolta avessero avuto il desiderio di recarvisi soli o con la corte al seguito.

Anche Tancredi fu perseguitato. Messo in carcere ma, poco dopo, liberato in assenza del re, si rifugiò in oriente dove ebbe modo di confrontarsi con le usanze di questo mondo così affascinante. Studiò algebra e astronomia e divenne un uomo intellettualmente molto preparato.

Dopo la morte dello zio Guglielmo, al quale successe Guglielmo II, detto “il Buono”, Tancredi poté ritornare a Lecce dove, nel 1169, assunse ufficialmente il titolo di conte. Qualche anno più tardi, per lo stretto legame di parentela con il sovrano palermitano, venne nominato Gran Connestabile e Giustiziere di Puglia e di Terra di Lavoro.

Tancredi fu un vero toccasana per la contea leccese. Nel ventennio della sua reggenza organizzò una vasta opera di restaurazione della città, incrementò l’economia, agevolò il commercio oltre il circondario, allacciando rapporti con la Repubblica di Venezia, e agevolò un’azione di ripopolamento del centro cittadino. Ma il suo sguardo si volse anche al di là delle mura leccesi. Egli, infatti, affidò le sue terre a circa quaranta baroni rurali. A costoro, scelti tra i suoi vassalli e tra ex militi, diede il compito di bonificare le paludi e riorganizzare le attività agricole, con lo scopo di popolare tali acquitrini. E così fu. Da questa iniziativa sorsero Sternatia, Zollino e Seclì.

Il capolavoro a cui rimane legato il nome Tancredi fu la fondazione del Monastero dei SS. Niccolò e Cataldo”, ci dice il Carducci. Donato ai Benedettini, il convento fu inaugurato nel 1180.

Frattanto, Guglielmo II morì senza figli e Tancredi acquisì la corona siciliana in qualità di nipote. La sua reggenza, durata solo quattro anni, dal 1190 al 1194, fu tutt’altro che tranquilla. Enrico VI di Svevia, figlio del Barbarossa, rivendicò il trono in qualità di marito di Costanza d’Altavilla, zia di Tancredi. La forza militare tedesca permise ad Enrico di impossessarsi del trono siciliano ai danni del conte leccese, il quale, “gettata la spugna”, dovette ritornare nella sua terra.

L’epoca dei normanni nel Salento era giunta al suo epilogo. E, anche se questo popolo aveva creato nel Sud una politica salda fondata “da un lato sull’istituzione delle contee, e attraverso esse del Regnum unico e indiviso, e dall’altro sul consenso delle genti che volevano dimenticare presto le turbinose vicissitudini subite in tanti secoli” (L.C.), doveva farsi da parte per lasciare il posto ad una nuova epoca. Un’altra dinastia, quella degli Svevi, faceva capolino nel Mezzogiorno d’Italia. Ma questa è un’altra storia…  

 

 

 

 

 

 

 


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