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Le "crepe" della Casa Bianca |
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Duecentoventicinquemila (225.000) soldati americani
spediti in Iraq, quarantacinquemila (45.000) i soldati britannici. Notizie Ansa datate 4 novembre ’03 riferiscono
trecentosettantacinque (375) morti americani e cinquanta (50) britannici per un
totale di quattrocentoventisette (427) morti nella c Altri numeri: le forze irachene
contano trecentottantanovemila
(389.000) soldati di cui 80 mila della Guardia Repubblicana. Tra 44.000 e
60.000 inquadrati in reparti paramilitari e delle forze di sicurezza, 650.000 i
riservisti. Sono cifre, numeri di una guerra che c’è, continua ma che non
deve destare troppo sgomento, almeno non più di quello che già provoca
nonostante le salde dichiarazioni del Bush Presidente, ma ormai, da qualche giorno, persino l’11
settembre sembra lontano, insufficiente a giustificare ancora questo lento ma inesorabile eccidio di soldati
americani. L’america sembra scioccata incapace di muoversi, l’iper-potenza è
rimasta impantanata a fare i conti con troppi morti, ed un accerchiamento
psichico altre che fisico da parte di tutte le forze combattenti irachene. Non sono solo semplici guerriglieri quelli che il 2 novembre
scorso hanno abbattuto l’elicottero Chinook sul villaggio di
Hasi, a sud di Falluja, causando la morte di sedici (16) militari americani e
il ferimento di altri venti (20), solo per citare il più eclatante attentato,
perché di elicotteri americani ne sono stati abbattuti altri, con altri morti,
non sono solo guerriglieri, Bush dice che il popolo iracheno è con le forze
della coalizione, che sono le sacche di resistenza filo-Saddam a dare ancora
fastidio, a ritardare la riuscita delle operazioni militari in Iraq. Bugie. La situazione è in continuo peggioramento,
i morti del dopoguerra hanno superato
di gran lunga quello della guerra, e questo dovrebbe bastare. Dovrebbe bastare
a far riflettere sulla parola “dopoguerra”. Il 16 Ottobre 2003 l’appoggio del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU dato alla risoluzione 1511 presentata dagli
Stati Uniti ha dei contenuti intrinseci di grande interesse, vediamo quali:
l’America nel dichiarare guerra
all’Iraq ha agito in linea con la strategia di sicurezza nazionale
dell’amministrazione Bush del settembre 2003, che afferma il diritto degli Usa
a usare la forza, anche da sola se occorre, contro chiunque sia considerato un nemico. L’ America e la
Gran Bretagna hanno iniziato, così, da sole, una guerra che ora non riescono a
concludere, nel nome di quelle armi letali mai ritrovate, ecco che allora si
richiede all’Onu di intervenire per risanare, intanto, un paese distrutto e
ridotto alla fame. E’ naturale che i miliardi di dollari che l’America sta
investendo non bastano a mantenere un esercito e a coprire anche le spese di
ricostruzione, a questo punto l’aiuto dell’ONU cade a fagiolo. Anche il “fronte del no” alla guerra:
Francia, Germania, Russia e Cina alla fine si è piegato dopo aver ottenuto
dalla risoluzione 1511 l’indicazione del 15 dicembre data entro la quale il
governo iracheno dovrà sottoporre un calendario ed un programma per la
redazione della nuova Costituzione e per elezioni democratiche. A parte questa “vittoria” diplomatica
dello staff del presidente americano, datata appunto 16 ottobre, il resto dei
giorni sono stati un’escalation di attentati ai soldati della coalizione, le
elezioni per Bush oltretutto si avvicinano e di pari passo si assottiglia il
consenso elettorale del post-11 settembre. Ormai solo il 47-48% degli americani
è ancora convinto di rieleggerlo, contro percentuali prebelliche ben superiori.
Qualcosa sembra dunque scricchiolare nei palazzi del potere della maggiore
potenza mondiale, l’Onu e il suo appoggio basteranno a far cambiare direzione a
questa macchina senza freni?
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