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Basterà il ddl Gasparri a portare il sereno sul sistema mediatico italiano?
  
di Ottavio PIRELLI

Nubi e temporali si addensano da mesi su quello che presto il parlamento riconoscerà come “sistema integrato delle comunic

    Nubi e temporali si addensano da mesi su quello che presto il parlamento riconoscerà come “sistema integrato delle comunicazioni”. Il ddl Gasparri con le sue più che scontate novità attende il riesame del Senato, dopo lo sgambetto degli emendamenti approvati dalla Camera. Certo le modifiche che gli Onorevoli franchi tiratori hanno concesso all’opposizione non hanno scalfito la sostanza del provvedimento, e d’altronde non avevano nessuna intenzione di farlo; questa legge è ancora un ostaggio della sanguinosa faida che si sta combattendo nella Cdl, e che non conosce esclusione di colpi.

    In attesa della ‘liberazione’ di questa norma, che Rutelli già definisce “incompatibile con l’ordinamento comunitario”, altri sprazzi di pioggia di tanto in tanto si abbattono sulle vicende mediatiche del Belpaese. Prima fra tutte l’uscita “istituzional-televisiva” del nostro Presidente del Consiglio mosso dalla necessità di spiegare al popolo italico il senso della nuova riforma pensionistica. Per non parlare poi dell’‘apriticielo’ per il successivo comizio da salotto della “Vita in diretta” di Cucuzza: come protagonista principale il ministro Tremonti, come soggetto sempre la medesima riforma. Mai come nelle ultime settimane si è sentito il bisogno di un tetto che, invece di regolamentare l’esposizione a spot commerciali e televendite, vieti la vendita diretta al pubblico di prodotti politici.

    Mentre Gasparri esprime entusiasmo per il roseo futuro della tv digitale, il cui sviluppo il nuovo disegno di legge incoraggia fortemente, il problema alla base non sembra il numero di canali o la tecnologia di trasmissione. Lo spettro della censura è tornato a far parlare di sé. Da un lato Dario Fo, vittima di una sorta di censura preventiva per la sua nuova farsa politica, dall’altro lo pseudo-sondaggio di “Domenica In” che, dopo aver scandalizzato per il suo “Basta a Berlusconi”, è stato suicidato in diretta. Insomma tutte vicende che non fanno che gettare benzina sul fuoco.

    Questa maretta - ormai un carattere stabile di tutto il nostro apparato mediatico - accompagna l’approdo della piccola caravella che porterà la legge del ministro per le comunicazioni alla sua definitiva approvazione. E mentre lingue velenose e biforcute sussurrano cattiverie sull’autentica paternità del disegno di legge, la sensazione è che si tratti di poco più che una pezza, un sorta di velo pietoso troppo corto per essere steso a coprire per intero le piaghe di un sistema ormai profondamente malato.

 

 

 


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