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Vittorio Pagano: per voce sola |
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La distribuzione editoriale dal
dopoguerra in poi, all’interno del vasto panorama della letteratura italiana,
tende a premiare autori e intellettuali che concentrano la produzione su temi e
canoni di espressione standardizzati e inquadrati in prospettive nazionali e,
negli ultimi venti anni, europee. La produzione regionale, quindi l’intenso
fervore intellettuale e culturale legato a zone ristrette e particolari,
fortemente caratterizzato in modo specifico dalla biografia dello scrittore, o
da sue particolari proiezioni di caratteri etnici e culturali specifici in un
significato universale e trasferibile a una dimensione più oggettiva
dell’essere umano, viene dunque sacrificata, spesso mal distribuita: è per
questa ragione che, spesso, essa rappresenta un viaggio del tutto gratificante
e meravigliante per chi si accinge ad accostarcisi. La vivacità artistica del Salento, si è
concretizzata sempre, a livello letterario, in figure profonde, legate alle
loro radici, eppure anelanti il confronto col nuovo e orizzonti diversi, che i
circuiti distributivi non hanno proposto a una vasta attenzione, ma che la
critica accademica ha da tempo sottolineato, analizzandone le opere, le
suggestioni native e l’elaborazione dei forti legami col Salento, terra viva, ispirazione esistenziale
irrinunciabile, in autentica e fondata weltanshaung:
vale a dire una visione della vita,
una proposta consistente di lettura dei significati essenziali del vivere,
espressi in uno stile inconfondibile e originale, che ne fanno un percorso
poetico di spessore. Vittorio Pagano, emerge tra esse, con
un’esperienza del tutto singolare e dolorosa. Emergente
nel gruppo di scrittori salentini che Macrì definì “la diaspora salentina”,
ossia alcuni intellettuali, provenienti dalla medesima zona, che durante
l’ermetismo, a Firenze, s’incamminarono a diventare un gruppo, un movimento,
tuttavia disperso nel dibattito letterario del dopoguerra, Pagano, come gli
altri suoi conterranei, divenne dunque una voce sola, poco considerata dai
circuiti schematici del tempo. Ma offre, con la sua produzione, una scrittura
incentrata su tematiche originali, lasciando emergere una personalità
significativa. Centrale nelle sue tematiche è il rapporto
con Lecce, che risente della profonda contraddizione in cui si risolse la sua
vita: “esiliato in patria”, anima
profondamente solitaria, egli vive tra se stesso e se stesso, tra il desiderio
di fuga, comune ai poeti della diaspora, che unico tra loro, però, non
soddisfò, cosciente di non poter lasciare mai del tutto la sua terra amata e
odiata, prigione luminosa, che spesso torna a inquadrare le sue tematiche nella
carezza di una luce pomeridiana, che si avvia al crepuscolo, ricorrente e
simbolica. I miti del Sud, sgretolati dalla schiacciante coscienza ideologica
delle sue oggettive difficoltà, della lontananza dal miracolo economico, si
affiancano a un profondo senso del “ ritorno
senza partenze”, mentre la responsabilità per la sua terra, agisce da
controcanto di rimpianto e desiderio per orizzonti mai varcati del tutto, pure
intravisti durante il periodo ermetico fiorentino. Questa poesia di delicate immagini, che
egli rielabora in un simbolismo tragico,
è screziata di una coscienza moderna, che a tratti attribuisce agli spazi
Salentini significati vicini all’oltre Montaliano:
al di là del singolo particolare, delle fotografie fisiche della sua terra,
egli cerca significati esistenziali, verità che liberino dall’oppressione, che se da una parte riflette la sua
personale esperienza, dall’altra è metafora della condizione dell’uomo moderno.
La scrittura di Pagano è nutrita da continue venature di influenza decadente,
derivata dalla sua attività di traduttore dal francese antico e dei simbolisti
francesi. Mallarmè, Baudelaire Verlaine, Valéry: suggestioni queste, che
sembrano acquisizione definita e spontanea nei modi poetici di Pagano, a tratti
compiaciuto di citazioni evidenti e avvolgenti dei medesimi. A questa sua
personale esperienza di esule senza patria, egli affianca la coscienza del fallimento
tipica della sua generazione: gli ideali del dopoguerra, si logorano nella
coscienza della loro inapplicabilità in un tempo destinato allo schiacciamento
della coscienza individuale, che il poeta tuttavia, salva nel legame umano,
profondo, difficile e allo stesso tempo irrinunciabile con la sua terra, intima
necessità, cui non sa ribellarsi fino in fondo. E forse, non vuole. Consigliamo
in questa sede, tra le sue opere, che spesso furono distribuite in numero
limitato, e finanziate dal poeta stesso,”I
privilegi del povero,” 1960; “Morte
per Mistero”, 1963.
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