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Riordiniamo le idee
  
di Francesco CACCETTA

Riordiniamo le idee

Non possiamo di certo dire che la politica italiana ci lasci fare sogni tranquilli o ci permetta, anche per un giorno solo, di distogliere lo sguardo dai giornali. Gli spunti, le dispute, gli avvenimenti, le diatribe, i distinguo, sono ormai cosi numerosi, corposi e laceranti, che riescono ad imprimere un ritmo vertiginoso alle cose di tutti i giorni. Come se fosse un gioco al rialzo. Indubbiamente e per certi versi sicuramente tutto ciò non è un male perché esprime la dialettica e la vivacità di una classe dirigente e d’altronde perché fotografa, senza filtri benevoli, l’attuale momento storico, sociale e culturale che è fortemente dettato dai ritmi frenetici della velocità, della contemporaneità. Viene in altre parole tradotto  in maniera simultanea ciò che si agita senza infingimenti o ripuliture di qualsiasi genere nella società civile che riporta e a volte magari enfatizza tutti quei molteplici segnali di inquietudine e le più variegate realtà che vengono così servite on line nel menù quotidiano. E’ così che si generano e nascono le varie prese di posizione, i dibattiti, i provvedimenti che dal grottesco arrivano fino al glamour, alla macchietta, alla sceneggiata. Ma detto questo è indubbio che i cosiddetti fatti di casa nostra lasciano alle volte perplessi, per le dinamiche con le quali avvengono, ma soprattutto per gli spunti ed i contenuti. Ma andiamo con ordine. Avevamo lasciato il governo e la maggioranza parlamentare a dibattere sulla base militare americana di Vicenza, a distinguersi e a dividersi sull’opportunità e la coerenza di una manifestazione che ha tenuto tutti con il fiato sospeso. Avevamo lasciato il Paese, in tutte le sue varie espressioni, a discutere con accanimento e passione sugli ormai più che famosi Dico. Abbiamo lasciato i parlamentari ed i senatori nel mentre si interrogavano sui fatti dell’Afghanistan, sulle dichiarazioni del Ministro degli Esteri, sul voto da dare. Ed improvvisamente dopo una lunga tiritera di precisazioni, di comunicati, di dispacci d’agenzia, di previsioni, di trepidazioni senatoriali ecco la caduta, l’imboscata dei Rossi- Turagliotto. Come per dire ancora una volta: tanto tuonò che piovve! E così dunque il via alle consultazioni, alle dichiarazioni schiette, a quelle da leggere fra le righe per il piacere di un pubblico più sopraffino, di quelli che la sanno lunga. I partiti di nuovo in fibrillazione ed i poli, che ormai di ecumenico hanno forse ben poco, si sono improvvisamente trovati nel gorgo della paura di una campagna elettorale fin troppo precoce, con leader fin troppo logori. Nasce così in una settimana di passione, fra scatti di reni e prese di coscienza forse tardive la necessità di serrare i ranghi, di trovare il portavoce unico, di blindare la maggioranza, di mettere a tacere i troppi linguacciuti, i tuttologi di turno, le star dei salottini televisivi, di ancorare la maggioranza ad una azione di governo fissata su punti programmatici chiari, da sottoscrivere, firmare ed onorare. Il famoso dodecalogo, solo due in più dei più celebri Dieci Comandamenti. Ma ci può stare se Berlusconi è dietro la porta. Un prontuario di governo breve, un sunto mirabile dei paginoni dell’ormai chiusa fabbrica del programma, frutto dei pensieri e delle esperienze degli intellettuali d’area. Un canovaccio da ossequiare anche se c’è la TAV e non ci sono i Dico, anche se tante cose sono accennate ed altre sono ovvie e leggere nella loro enumerazione. Ma tanto basta per offrire al Presidente della Repubblica ed al Parlamento poi il frutto di una intesa ritrovata. E così, con qualche giorno per aspettare i senatori a vita, per abbracciare fraternamente l’amico di sempre, il Follini rinato, l’uomo del ponte lungo, della traversata verso il futuro, per turare il naso agli indomabili della sinistra chic e radicale, riparte la nave prodiana, riparte il governo dell’Unione, intatto nella sua composizione, nel suo organigramma, nelle sue competenze. Così come se nulla fosse successo, anche se nelle dichiarazioni di voto era già presente la prossima insidia, il prossimo voto contrario, il prossimo agguato, il prossimo lacrimatoio. Ma non tutto viene per nuocere. Ed allora basta interrompere le linee d’attacco e riportare tutti alla discussione terza, di quelle che appassionano, di quelle che sfiniscono e forse permettono di lavorare sottotraccia. Spunta allora la legge elettorale che oggi ai più sembra il problema portante, il nodo centrale della politica. Per ripartire e consultare, per blandire e dividere, per annacquare e condensare. Per offrire una sponda e non affogare. Nel mentre per non assopirsi ritornano in questi giorni i Dico, nelle piazze, contro lo Chiesa, contro Mastella e la Binetti. Tanto per non perdere l’usanza. Una manifestazione che torna con i ministri in carica in prima fila, con le sue battute, con i suoi sloogans sferzanti, noncuranti dei giorni passati, pronti per una nuova battaglia di idee, pronti a sfidare e a sfidarsi in Parlamento, pronti a fare outing, pronti ad arruolare. E torna la paura e la precarietà, riparte il ritornello se dura o non dura. In attesa di un nuovo tormentone, in attesa di un nuovo voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, aspettando i voti degli altri, accolti con piacere bipartisan. E la politica và fra piaceri ed amarezze, fra agguati ed accordi, fra tradimenti ed incontri nascosti, fra speranze e delusioni, in attesa di qualche notizia, di qualche frastuono, di qualche litigio, di qualche incomprensione, di qualche levata di scudi. E non basta allora riordinare le idee, perché purtroppo sono già superate dai fatti e dalle parole. Alla prossima volta.

 

 


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