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Riordiniamo le idee |
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Non possiamo di certo dire che
la politica italiana ci lasci fare sogni tranquilli o ci permetta, anche per un
giorno solo, di distogliere lo sguardo dai giornali. Gli spunti, le dispute,
gli avvenimenti, le diatribe, i distinguo, sono ormai cosi numerosi, corposi e
laceranti, che riescono ad imprimere un ritmo vertiginoso alle cose di tutti i
giorni. Come se fosse un gioco al rialzo. Indubbiamente e per certi versi
sicuramente tutto ciò non è un male perché esprime la dialettica e la vivacità
di una classe dirigente e d’altronde perché fotografa, senza filtri benevoli,
l’attuale momento storico, sociale e culturale che è fortemente dettato dai
ritmi frenetici della velocità, della contemporaneità. Viene in altre parole
tradotto in maniera simultanea ciò che
si agita senza infingimenti o ripuliture di qualsiasi genere nella società
civile che riporta e a volte magari enfatizza tutti quei molteplici segnali di
inquietudine e le più variegate realtà che vengono così servite on line nel menù
quotidiano. E’ così che si generano e nascono le varie prese di posizione, i
dibattiti, i provvedimenti che dal grottesco arrivano fino al glamour, alla
macchietta, alla sceneggiata. Ma detto questo è indubbio che i cosiddetti fatti
di casa nostra lasciano alle volte perplessi, per le dinamiche con le quali
avvengono, ma soprattutto per gli spunti ed i contenuti. Ma andiamo con ordine.
Avevamo lasciato il governo e la maggioranza parlamentare a dibattere sulla
base militare americana di Vicenza, a distinguersi e a dividersi
sull’opportunità e la coerenza di una manifestazione che ha tenuto tutti con il
fiato sospeso. Avevamo lasciato il Paese, in tutte le sue varie espressioni, a
discutere con accanimento e passione sugli ormai più che famosi Dico. Abbiamo
lasciato i parlamentari ed i senatori nel mentre si interrogavano sui fatti
dell’Afghanistan, sulle dichiarazioni del Ministro degli Esteri, sul voto da
dare. Ed improvvisamente dopo una lunga tiritera di precisazioni, di
comunicati, di dispacci d’agenzia, di previsioni, di trepidazioni senatoriali
ecco la caduta, l’imboscata dei Rossi- Turagliotto. Come per dire ancora una
volta: tanto tuonò che piovve! E così dunque il via alle consultazioni, alle
dichiarazioni schiette, a quelle da leggere fra le righe per il piacere di un
pubblico più sopraffino, di quelli che la sanno lunga. I partiti di nuovo in
fibrillazione ed i poli, che ormai di ecumenico hanno forse ben poco, si sono
improvvisamente trovati nel gorgo della paura di una campagna elettorale fin troppo
precoce, con leader fin troppo logori. Nasce così in una settimana di passione,
fra scatti di reni e prese di coscienza forse tardive la necessità di serrare i
ranghi, di trovare il portavoce unico, di blindare la maggioranza, di mettere a
tacere i troppi linguacciuti, i tuttologi di turno, le star dei salottini
televisivi, di ancorare la maggioranza ad una azione di governo fissata su
punti programmatici chiari, da sottoscrivere, firmare ed onorare. Il famoso
dodecalogo, solo due in più dei più celebri Dieci Comandamenti. Ma ci può stare
se Berlusconi è dietro la porta. Un prontuario di governo breve, un sunto
mirabile dei paginoni dell’ormai chiusa fabbrica del programma, frutto dei
pensieri e delle esperienze degli intellettuali d’area. Un canovaccio da
ossequiare anche se c’è la TAV e non ci sono i Dico, anche se tante cose sono
accennate ed altre sono ovvie e leggere nella loro enumerazione. Ma tanto basta
per offrire al Presidente della Repubblica ed al Parlamento poi il frutto di
una intesa ritrovata. E così, con qualche giorno per aspettare i senatori a
vita, per abbracciare fraternamente l’amico di sempre, il Follini rinato,
l’uomo del ponte lungo, della traversata verso il futuro, per turare il naso
agli indomabili della sinistra chic e radicale, riparte la nave prodiana,
riparte il governo dell’Unione, intatto nella sua composizione, nel suo
organigramma, nelle sue competenze. Così come se nulla fosse successo, anche se
nelle dichiarazioni di voto era già presente la prossima insidia, il prossimo
voto contrario, il prossimo agguato, il prossimo lacrimatoio. Ma non tutto
viene per nuocere. Ed allora basta interrompere le linee d’attacco e riportare
tutti alla discussione terza, di quelle che appassionano, di quelle che
sfiniscono e forse permettono di lavorare sottotraccia. Spunta allora la legge
elettorale che oggi ai più sembra il problema portante, il nodo centrale della
politica. Per ripartire e consultare, per blandire e dividere, per annacquare e
condensare. Per offrire una sponda e non affogare. Nel mentre per non assopirsi
ritornano in questi giorni i Dico, nelle piazze, contro lo Chiesa, contro
Mastella e la Binetti. Tanto per non perdere l’usanza. Una manifestazione che
torna con i ministri in carica in prima fila, con le sue battute, con i suoi
sloogans sferzanti, noncuranti dei giorni passati, pronti per una nuova
battaglia di idee, pronti a sfidare e a sfidarsi in Parlamento, pronti a fare
outing, pronti ad arruolare. E torna la paura e la precarietà, riparte il
ritornello se dura o non dura. In attesa di un nuovo tormentone, in attesa di
un nuovo voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, aspettando i
voti degli altri, accolti con piacere bipartisan. E la politica và fra piaceri
ed amarezze, fra agguati ed accordi, fra tradimenti ed incontri nascosti, fra
speranze e delusioni, in attesa di qualche notizia, di qualche frastuono, di
qualche litigio, di qualche incomprensione, di qualche levata di scudi. E non
basta allora riordinare le idee, perché purtroppo sono già superate dai fatti e
dalle parole. Alla prossima volta.
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