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Scanderbeg, eroe anche in Terra di Puglia |
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Proponiamo una pagina di storia
dimenticata che ha visto le terre di Puglia e d’Albania legate da un
personaggio allora famoso in tutta Europa per essere stato l’artefice di
un’impresa eccezionale che stupì le Corti dei Paesi del Mediterraneo. Oggi, di
questo personaggio celebriamo i seicento anni della sua nascita, rivivendo le
sue gesta, riscoprendolo quale “Atleta di Cristo e difensore della Fede”, come
lo definì Papa Callisto III. Il nostro personaggio è Giorgio Castriota
Scanderbeg, eroe dell’Albania, nato nel 1405 e morto nel 1468. Era l’anno 1450 quando nel cuore
dei Balcani si registrò un evento che doveva poi segnare la storia non solo
dell’Albania ma anche delle regioni dell’Italia meridionale. L’esercito
ottomano di Maometto II, dopo la dura resistenza di Sfetigrado da parte della
lega dei principi albanesi guidati dal condottiero Scanderbeg, fu
incredibilmente sconfitto a Croya. Si sconvolse così l’obiettivo dei Turchi di
impadronirsi dei Balcani e poi di Venezia, con il sogno recondito, di innalzare
la Mezzaluna sulla cupola di San Pietro. In tal modo, Scanderbeg, che per più
di un ventennio tenne lontano i Turchi dai confini albanesi, tranquillizzò i
principi cristiani e lo stesso Pontefice che pensava ad una splendida crociata,
che però non realizzò mai. Il destino poi fu avverso
all’Albania, anche se aiutata dagli Aragonesi i quali, a loro volta, ebbero da
Scanderbeg un grande contributo nelle lotte belligeranti con principi ribelli e
gli Angioini. Una congiura, le cui vicende sono state narrate da Pontani (De
Bello Neapol, Napoli, Gravier MDCCLXIX, lib. II), rendeva inquieto e
malfermo il trono del re di Napoli. Ferdinando I fu costretto a sollecitare,
nel 1459, aiuti a Scanderbeg. Questi, memore dei benefici ricevuti dal padre
Alfonso d’Aragona, detto “il Magnanimo”, affidava al nipote Coiro Streso un
corpo di spedizione di 5000 uomini. Sbarcato egli stesso a Barletta, dove
istituì la base per le sue operazioni, sconfisse subito le truppe del principe
ribelle Orsini di Taranto. Poi si scontrò con i francesi conquistando la città
di Trani con uno stratagemma. Il duca Giovanni d’Angiò si salvò con la fuga per
mare e Jacopo Piccinini, comandante delle truppe francesi, si ritirò verso gli
Abruzzi. Il principe Antonio Iosciano fu fatto prigioniero. In seguito prese
parte alla battaglia di Orsara che fu decisiva per le sorti di re Ferrante. In
tal modo l’eroe albanese liberò il monarca aragonese, che sembrava soccombente,
da una difficile situazione e gli permise di riprendere gradualmente
l’offensiva. Scanderbeg ebbe, a riconoscimento degli aiuti prestati alla
Corona, le città di Trani, Siponto, Monte Gargano e San Giovanni Rotondo. Dal punto di vista politico, la
partecipazione di Scanderbeg alla guerra a fianco degli Aragonesi gli procurò
sicurezza sull’altra sponda dell’Adriatico, l’Albania, e la continuità di
un’alleanza che, in seguito, gli sarebbe stata utile. La posizione dello
Scanderbeg nei confronti del re di Napoli era ora d’assoluta parità. Ritornando
in Albania, passò per Ragusa (l’attuale Dubrovnic) che gli tributò nuovi onori
(Particolari della parentesi italiana del
Castriota li riferisce Gino Pallotta nel suo libro Scanderbeg, edizioni italalb
Roma 1958). Molti dei soldati albanesi si
stanziarono nei territori di quei possedimenti pugliesi formando così alcune
colonie, le quali ancora oggi costituiscono memoria storica di quei tempi.
Iniziava così l’esodo storico degli Albanesi in Italia che si svolse ad ondate
ed in epoche diverse, mentre la loro patria era saccheggiata dagli invasori
ottomani. I transfughi Albanesi, dopo stenti e patimenti, si fermarono nei
feudi del Castriota, nei latifondi badiali e nelle commende. Solo dopo la morte
dell’eroe Scanderbeg, avvenuta ad Alessio nel 1468, suo figlio Giovanni, a
seguito della caduta della fortezza di Croya una decina d’anni dopo, guidò
parte del suo popolo verso l’esilio. Lo storico Domenico Zangari
elenca le prime colonie che sorsero in provincia di Lecce, Faggiano,
Martignano, Monteparano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico sotto Taranto, San
Martino, San Marzano di San Giuseppe, Sternatia e Zolino. In provincia di
Foggia, a Chieti, Casalnuovo di Monterotaro e Casalvecchio di Puglia (Domenico Zangari, Le colonie italo-albanesi
di Calabria, storia e demografia, sec. XV – XIX, ed. Casella Napoli 1941). I rapporti tra la terra di
Puglia e quella delle Aquile hanno radici antichissime, soprattutto per la
vicinanza delle due coste che, nella parte più stretta misura appena 75
chilometri. Probabilmente Bari è stata fondata dagli Illiri nel VII sec. A. C..
Altri eventi furono le imprese del leggendario Pirro in terra tarantina, e
prima di lui quelle di Milone nel 281
a. C.. Poi gli eventi che abbiamo sopra ricordato. A Taranto, il Rodotà ci
ricorda che gli Albanesi approdarono tra il 1461 e il 1478, mentre il Tajani li
determina tra il 1473 e 1474. La comunità arbëreshe più
rappresentativa nella provincia di Taranto è senza dubbio San Marzano di San
Giuseppe, l’unico comune che sia riuscito a conservare le caratteristiche di
minoranza linguistica. Il primo feudatario del luogo fu Ruggero di Taurisano
che l’ottenne dal principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini. Dopo Raffaele di
Monterone il feudo passò in eredità al figlio Roberto, che lo perdette perché
congiurò contro i re aragonesi. Carlo V vendette il casale a Demetrio
Capuzzimati, nobile capitano del Castriota, che aprì ai suoi connazionali che
si dedicarono al dissodamento delle terre. Dopo varie successioni, fu
acquistato nel 1530 dal Regio Fisco per soli settecento ducati, a condizione
che il casale avesse il diritto di essere ripopolato da nuovi arrivi di gente
dall’Albania. Fu anche dominio di signorie dell’Epiro.
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