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Riti pasquali nel Salento

  
di Roberta AIELLO

Riti pasquali nel Salento

La Quaresima (dal latino “quadragesima” e “dies”: quarantesimo giorno) è il periodo liturgico in cui ci si prepara all’avvento della Pasqua, attraverso una penitenza che dura quarantaquattro giorni, dal mercoledì delle Ceneri, giorno in cui si ricordano i resti dell’ulivo benedetto bruciato, al sabato prima di Pasqua. Nasce dalla celebrazione dei quaranta giorni che Gesù trascorse nel deserto, privandosi del cibo,  pregando e resistendo alle tentazioni. È il tempo propizio per intensificare la preghiera, aprendo il cuore alla docile accoglienza della volontà divina.

In passato questo tempo era caratterizzato dalla preparazione finale dei catecumeni che durante la veglia pasquale avrebbero ricevuto il battesimo, ma è solo più tardi, verso il IV secolo che inizia a caratterizzarsi come periodo di penitenza e di rinnovamento per tutta la Chiesa, con l’introduzione del digiuno e dell’astinenza. In liturgia, il carattere penitenziale della Quaresima viene sottolineato dal colore viola dei paramenti e dall’omissione del Gloria e dell’Alleluia nella messa.

Nel Salento, la Settimana Santa viene vissuta con molta partecipazione ed in molti casi si rifà ad antiche tradizioni, che hanno un primo momento importante il giovedì con la celebrazione dell’Ultima Cena. La Settimana Santa, soprattutto, non si riduce ad una mera commemorazione: è la meditazione del mistero di Gesù Cristo che continua nelle nostre anime. Durante la messa, il parroco lava i piedi a dodici fedeli che rappresentano i dodici apostoli e, alla fine della funzione religiosa, si distribuisce il pane benedetto, che viene conservato perché si pensa che liberi la casa dai pericoli e dai fulmini. Sin dalla mattina le campane sono “ttaccate”, ovverosia “attaccate”, mute e le funzioni religiose sono annunciate dal suono sordo delle “trenule” o “trozzule”, piccoli marchingegni in legno; quindi si preparano e si allestiscono i Sepolcri.

Un’usanza non del tutto scomparsa è quella di disporre nelle varie chiese, dinnanzi ai Sepolcri, il cosiddetto “piattu pe llu sabburcu”, un piatto per il sepolcro, formato da grano germogliato al buio, ornato con nastri e immaginette sacre. Suggestive sono le processioni del Venerdì Santo, accompagnate da bande musicali che intonano motivi lugubri e strazianti. A queste processioni partecipano anche le confraternite ed i penitenti (fedeli con il volto coperto che camminano scalzi e si flagellano le spalle con delle fruste molto particolari che alle estremità hanno punte di ferro) dove vengono portate sulle spalle le statue del Cristo Morto e della Vergine Addolorata. Va ricordato che il sacrificio dei penitenti non viene compiuto per ostentazione ma solo per un fermo e vivo sentire religioso, proprio dei fedeli.

Un altro dei momenti topici delle celebrazioni dei riti pasquali salentini è quello della “Missa sciarrata”, cioè una messa che non segue il regolare svolgimento, dovuto, nella tradizione, al dolore provato dal celebrante per la morte di  Gesù Cristo; per tutta la giornata di venerdì e di sabato, le campane non suonano. Si giunge così alla domenica mattina, dopo che le manifestazioni più intense della Settimana Santa sono terminate; non rimane che festeggiare la Risurrezione di Cristo, annunciata dallo scampanio festoso e dallo sparo di fuochi d’artificio, partecipando alla messa: un’occasione per introdurci con maggiore profondità nel mistero dell’Amore di Dio e poterlo poi mostrare ai nostri simili con la parola e con l’esempio.

Un tempo, il giorno di Pasqua, le famiglie si riunivano a mezzogiorno per gustare un pranzo che era a base di cicorie cotte in acqua e condite con olio d’oliva, uova sode, la ricotta “marzotica” (particolare tipo di formaggio salentino) con fave verdi e la “cuddhura” cioè un pane a forma di ciambella o di gallo o di bambola con le uova sode. Era tipico che i giovani, dopo aver arricchito la “cuddhura” con nastri e lustrini, la regalassero alle fanciulle come segno e augurio di fertilità. Inoltre tipico della domenica di Pasqua era l’agnello cotto alla brace e, come dolce, gli agnellini di pasta di mandorle. Infine, il lunedì in Albis si festeggia ovunque la “pasquetta”, la scampagnata fuori città, solitamente in campagna o al mare, dove si è soliti mangiare il sartù, tipico timballo di riso e uova sode con polpettine e ragù. 

Oggi molte di queste tradizioni, religiose e non, vanno purtroppo scomparendo, ma grazie alla dedizione di una popolazione più anziana, e alla riscoperta da parte dei giovani, si prova a tenerle ancora vive. Noi giovani dobbiamo dunque comprendere che è importante riscoprire questo reciproco arricchimento tra diverse generazioni. Un buon motivo, dunque, per assistere alle “funzioni” nell’itinerario quaresimale che la nostra terra ci offre.

 

 


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