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Riti pasquali nel Salento |
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La Quaresima (dal latino “quadragesima” e “dies”:
quarantesimo giorno) è il periodo liturgico in cui ci si prepara all’avvento
della Pasqua, attraverso una penitenza che dura quarantaquattro giorni, dal
mercoledì delle Ceneri, giorno in cui si ricordano i resti dell’ulivo benedetto
bruciato, al sabato prima di Pasqua. Nasce dalla celebrazione dei quaranta
giorni che Gesù trascorse nel deserto, privandosi del cibo, pregando e resistendo alle tentazioni. È il
tempo propizio per intensificare la preghiera, aprendo il cuore alla docile
accoglienza della volontà divina. In passato questo tempo era caratterizzato dalla
preparazione finale dei catecumeni che durante la veglia pasquale avrebbero
ricevuto il battesimo, ma è solo più tardi, verso il IV secolo che inizia a
caratterizzarsi come periodo di penitenza e di rinnovamento per tutta la
Chiesa, con l’introduzione del digiuno e dell’astinenza. In liturgia, il
carattere penitenziale della Quaresima viene sottolineato dal colore viola dei
paramenti e dall’omissione del Gloria e dell’Alleluia nella messa. Nel Salento, la Settimana Santa viene vissuta con molta
partecipazione ed in molti casi si rifà ad antiche tradizioni, che hanno un
primo momento importante il giovedì con la celebrazione dell’Ultima Cena. La
Settimana Santa, soprattutto, non si riduce ad una mera commemorazione: è la
meditazione del mistero di Gesù Cristo che continua nelle nostre anime. Durante
la messa, il parroco lava i piedi a dodici fedeli che rappresentano i dodici
apostoli e, alla fine della funzione religiosa, si distribuisce il pane
benedetto, che viene conservato perché si pensa che liberi la casa dai pericoli
e dai fulmini. Sin dalla mattina le campane sono “ttaccate”, ovverosia
“attaccate”, mute e le funzioni religiose sono annunciate dal suono sordo delle
“trenule” o “trozzule”, piccoli marchingegni in legno; quindi si preparano e si
allestiscono i Sepolcri. Un’usanza non del tutto scomparsa è quella di disporre
nelle varie chiese, dinnanzi ai Sepolcri, il cosiddetto “piattu pe llu
sabburcu”, un piatto per il sepolcro, formato da grano germogliato al buio,
ornato con nastri e immaginette sacre. Suggestive sono le processioni del
Venerdì Santo, accompagnate da bande musicali che intonano motivi lugubri e strazianti.
A queste processioni partecipano anche le confraternite ed i penitenti (fedeli
con il volto coperto che camminano scalzi e si flagellano le spalle con delle
fruste molto particolari che alle estremità hanno punte di ferro) dove vengono
portate sulle spalle le statue del Cristo Morto e della Vergine Addolorata. Va
ricordato che il sacrificio dei penitenti non viene compiuto per ostentazione
ma solo per un fermo e vivo sentire religioso, proprio dei fedeli. Un altro dei momenti topici delle celebrazioni dei riti
pasquali salentini è quello della “Missa sciarrata”, cioè una messa che non
segue il regolare svolgimento, dovuto, nella tradizione, al dolore provato dal
celebrante per la morte di Gesù Cristo;
per tutta la giornata di venerdì e di sabato, le campane non suonano. Si giunge
così alla domenica mattina, dopo che le manifestazioni più intense della
Settimana Santa sono terminate; non rimane che festeggiare la Risurrezione di
Cristo, annunciata dallo scampanio festoso e dallo sparo di fuochi d’artificio,
partecipando alla messa: un’occasione per introdurci con maggiore profondità
nel mistero dell’Amore di Dio e poterlo poi mostrare ai nostri simili con la
parola e con l’esempio. Un tempo, il giorno di Pasqua, le famiglie si riunivano a
mezzogiorno per gustare un pranzo che era a base di cicorie cotte in acqua e
condite con olio d’oliva, uova sode, la ricotta “marzotica” (particolare tipo
di formaggio salentino) con fave verdi e la “cuddhura” cioè un pane a forma di
ciambella o di gallo o di bambola con le uova sode. Era tipico che i giovani,
dopo aver arricchito la “cuddhura” con nastri e lustrini, la regalassero alle
fanciulle come segno e augurio di fertilità. Inoltre tipico della domenica di
Pasqua era l’agnello cotto alla brace e, come dolce, gli agnellini di pasta di
mandorle. Infine, il lunedì in Albis si festeggia ovunque la “pasquetta”, la
scampagnata fuori città, solitamente in campagna o al mare, dove si è soliti
mangiare il sartù, tipico timballo di riso e uova sode con polpettine e ragù. Oggi molte di queste tradizioni, religiose e non, vanno
purtroppo scomparendo, ma grazie alla dedizione di una popolazione più anziana,
e alla riscoperta da parte dei giovani, si prova a tenerle ancora vive. Noi
giovani dobbiamo dunque comprendere che è importante riscoprire questo
reciproco arricchimento tra diverse generazioni. Un buon motivo, dunque, per
assistere alle “funzioni” nell’itinerario quaresimale che la nostra terra ci
offre.
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