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Emergenza … lingua
A rischio estinzione almeno la metà degli idiomi parlati nel mondo |
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Una specie protetta, una forma vivente rara. Non stiamo
parlando di animali né vegetali ma della lingua, parlata e scritta. Italiana,
cinese o africana che sia… poco importa. Molti idiomi parlati sulla Terra
stanno veramente scomparendo, anche se ormai, assorbiti come siamo dalle nostre
preoccupazioni sull’effetto serra o la crisi del petrolio, l’emergenza lingua
non sembra nemmeno esser presa troppo in considerazione. Eppure qualcuno, già tempo fa, ci aveva avvisato. Il
linguista Claude Hagège del College de France, in un libro uscito da qualche
anno a questa parte, aveva visto chiaramente le sorti cui sarebbe andato
incontro il linguaggio. Hagège affermava infatti che ogni quindici giorni muore
una lingua e, salvo qualche radicale cambiamento o un’inversione di tendenza,
gli attuali 5.500 idiomi presenti sulla Terra fra cento anni saranno dimezzati.
Un impoverimento della lingua veramente drastico. E preoccupante. Senza tralasciare
le lingue sacre, i gerghi e i dialetti ‘violentati’ dalla mannaia della
massificazione. E noi italiani? Quale futuro per la nostra lingua amata e
bistrattata? La questione, anche se non sembrerebbe, ci tocca da vicino. Già
abbiamo potuto riscontrare gli enormi mutamenti provocati dall’avvento delle
tecnologie. Sms, e-mail, chat-line: il mondo di internet ha spesso fagocitato
le forme di comunicazione più semplici e spontanee cui si è ricorso fino a
qualche decennio fa, ovvero i dialetti locali. Oggi il parlato informale non è
più tanto debitore ai dialetti quanto ai nuovi gerghi tecnologici e giovanili.
Ma spesso i dialetti sono vere e proprie lingue, uniche e irripetibili perché
caratterizzate da un preciso ambito geografico di appartenenza, simboli del
legame di un popolo con la sua terra e il suo passato. Ogni idioma, intrinsecamente, ha in sé immagini, colori,
sapori, emozioni, esperienze e timori che appartengono a una sola lingua e a un
solo popolo. Il modo di parlare dice del modo di essere e di pensare. Lo stesso
messaggio non potrà mai essere comunicato in modo perfettamente identico nelle
diverse lingue. Sfumature delle parole e delle sillabe lo trasformano in
qualcosa di sempre nuovo e originale rispetto ad altre traduzioni. Questo perché
l’idioma, in modo irrinunciabile, è espressione di un particolare modo di
raccontarsi della gente, intriso di viaggi, battaglie, tradizioni e miti. Che
potrebbero improvvisamente scomparire nel momento in cui ogni idioma perduto è
una ferita alla storia universale della nostra civiltà. Per questo, già lo scorso anno, è stato attivato il
progetto “Città della parola”: una rassegna internazionale, patrocinata
dall’Unesco, che vede una stretta collaborazione tra i più grandi
linguisti. Vittorio Bo, anima del
progetto, aveva spiegato a Parigi, nella sede Unesco, le ragioni per cui è
importante preservare il patrimonio dei linguaggi e della loro identità nel
percorso di crescita dei popoli. Alcuni dati sono infatti allarmanti: ogni anno spariscono
235 lingue e sono in via d’estinzione quelle parlate dai boscimani, dai pigmei
e da alcune tribù indios dell’Amazzonia. In generale, sono l’80% i linguaggi -
parlati da gruppi chiusi rispetto alla società globalizzata – a rischio. La “Città della parola” ha sede in Italia ma vuole
estendersi a tutta l’Europa e all’estero. Si tratta di una sorta di città-museo
suddivisa in tre settori: uno permanente in cui vengono raccolti i codici, un
secondo dove sono presenti mostre atte a presentare le varie forme di linguaggio
con all’interno l’Università della parola per la formazione di specialisti e
infine una terza parte che ospita l’archivio.
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