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La primavera irachena |
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Ci sono immagini, fotogrammi,
volti o istanti di vita, catturati forse inconsapevolmente, che da soli rendono
il senso delle cose, che testimoniano una verità che a volte per la sua
potenza, per la sua semplicità, per il suo impatto cristallino, può essere
incontrovertibile. Verità che appaiono finalmente
nella loro interezza, che evocano altre verità. Verità che ispirano sensazioni
nuove, che rendono finalmente giustizia. Verità forti per quanto forte possa
essere la realtà, per quanto immediato è il sentimento che corre subito dopo.
Una macchia color indaco per segnare un nuovo giorno. Una macchia viola per
testimoniare un voto, per certificare la propria esistenza, per avallare le
ragioni di una spericolata corsa verso l’affermazione di se stessi e della
propria volontà, per rompere le catene di un assedio. Una macchia di colore
impressa su di un dito per gridare al mondo intero la gioia di un diritto fino
ad allora negato, per avanzare il proprio diritto alla vita, per sancire la rottura
di un passato e segnare così il confine oltre il quale regna l’ignominia. Una
macchia color indaco che ricorderemo a lungo e che oggi disegna di fatto lo
spartiacque fra la democrazia e la sopraffazione, fra la libertà e
l’oppressione, fra il futuro ed il passato, fra la gioia ed il grigiore di chi
non ha voce, non ha parole e si nutre solo dei propri sogni. Questo vi è dietro le splendide
sequenze del voto in Iraq in una domenica d’inverno. Questo è ciò che risulta
dopo una violenta campagna elettorale segnata tragicamente da una nuova ondata
di terrore e di minacce per impedire la libera affermazione del voto, per
ricacciare nel caos più profondo tutto un popolo e chiuderlo nuovamente in un
desolante isolamento. Questo vi è dietro il tragico braccio di ferro tra la
speranza di un futuro e il pericolo
della restaurazione. Tutto questo vi è dietro la moltitudine di voti che sono
stati espressi liberamente nelle urne della democrazia e che hanno fatto
gridare al miracolo il mondo intero in una tanto attesa domenica di gennaio.
Una domenica d’inverno che è la primavera di una nazione e di tutto un popolo. È la primavera delle tante donne
irachene, delle donne di Bagdad, di Nassiriya, di Mossul, di Bassora, di Najaf.
È la primavera della loro iniziazione al voto, alla vita democratica. È la
primavera delle tante donne che si affrancano così dalla negazione, che svelano
finalmente il loro mondo, le loro idee, le loro esigenze, che mostrano il loro
coraggio. È la primavera dei tanti che sfidano la morte. È la primavera che spunta in una domenica
d’inverno e che rende giustizia anche dei tanti caduti che hanno preceduto
questa giornata memorabile, scrivendo il loro nome nell’albo dei martiri. È la
vittoria dei tanti. È la vittoria della
sfida intrapresa di traghettare il popolo iracheno verso i lidi della
democrazia, del dialogo, della partecipazione, del confronto e che viene
mostrata al mondo alzando verso il cielo, così semplicemente, due dita
macchiate d’inchiostro. Quella macchia di color indaco
indica l’Iraq di oggi, l’Iraq che era nei sogni di tanti. Famiglie intere,
anziani, giovani, donne, uomini dal volto segnato che hanno lasciato le loro
case, i loro quartieri per correre, in una domenica di festa, verso il richiamo
limpido del voto, per riempire l’urna da cui uscirà sicuramente una nuova
nazione, da cui si alzerà alta la volontà e la fierezza di appartenere ad una
terra bellissima , per ricucire i fili della storica antica del popolo del
Tigri e dell’Eufrate, per rispondere alle angosciose ed inquietanti domande di
tutto il mondo, per affermare il principio di una sacra autodeterminazione. Una domenica che di certo non
risolve tutti i problemi ma che sicuramente apre la strada alla speranza, che
segna un passo importantissimo e fondamentale verso la stagione nuova delle
regole, delle leggi, della costruzione paziente della democrazia e della
libertà. Una domenica che dà nuova forza e gioia alle idee, che riporta ad un
naturale ordine nella politica, che riporta a nuovi orizzonti le esigenze di tante
ragioni, che riannoda le fila della logica sequenza della democrazia con i suoi
riti, le sue attese, le sue ambizioni, le sue speranze. Una domenica, un voto, che
unisce le tante etnie, le storie di antiche tribù, di tante famiglie e le lega
ad un voto limpido e nuovo che risulta così il lasciapassare verso il futuro.
Un voto che ci impegna di fatto ad una ancora maggiore attenzione verso il
Medio Oriente, verso il mondo islamico, verso il mondo arabo. Nonostante i
tanti morti che ancora segnano tragicamente le pagine dell’Iraq, nonostante le
minacce, nonostante i tanti rapimenti e le tante esecuzioni. Un voto che ci
obbliga ad un impegno maggiore anche quando una nostra giornalista, Giuliana
Sgrena, viene rapita e diventa così ostaggio del fanatismo e del terrorismo. Un
altro nome italiano, un altro volto, che segue i tanti che si sono affacciati
in questi tragici mesi nelle nostre case e che hanno sconvolto non poco le
nostre coscienze. Uomini e donne che diventano
così occasione per capire l’importanza della posta in gioco, che diventano
occasione per conoscere la crudeltà del terrorismo islamico che solo oggi
riusciamo a percepire come tremendamente pericoloso. Ancor di più oggi dopo le
elezioni in Palestina, dopo la coraggiosa stretta di mano fra Sharon e Abu
Mazen, dopo l’avvio di un patto di pace che riapre la speranza per un
territorio fin troppo martoriato. Sono queste le ragioni della missione di pace
“Antica Babilonia” che dobbiamo continuare ad onorare per ricordare i nostri
Caduti, per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, per dare una ragione in
più alle donne e agli uomini iracheni, per non cancellare quella macchia color
indaco, per non rimettere il velo alle idee ed al coraggio di un popolo
nobilissimo.
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