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Fogli italiani da Weimar. Raffinata mostra alla Casa di Goethe a Roma |
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Disegni dal Cinquecento all’Ottocento delle collezioni della Klassik
Stiftung Le basi delle collezioni grafiche di Weimar furono poste nel
XVIII secolo: furono due appassionati collezionisti come la duchessa Amalia
Sachsen-Weimar e suo figlio, il duca Carl August, a segnare il vero punto
d’inizio di questa importante raccolta. Già nel 1774 l’imprenditore Friedrich
Justin Bertuch aveva proposto alla duchessa l’istituzione di una “libera scuola
di disegno”, che trasferitasi dal Rotes Schloss al Furstenhaus nel 1808, venne
dotata di una galleria, del cui allestimento Johann Wolfgang von Goethe
incaricò Johann Heinrich Meyer, allora direttore della scuola, impegnandosi in
prima persona in un lavoro sistematico di acquisizioni a livello internazionale
secondo paesaggi, epoche, scuole e singoli artisti per poter offrire una
visione generale dell’arte europea, nella considerazione che dal punto di vista
economico erano le stampe e i disegni a permettere di creare una collezione che
mirasse ad una certa sistematicità e completezza della ricognizione
storico-artistica. Scriveva infatti Goethe a Meyer nel 1828: “Per quanto
riguarda l’acquisizione di opere d’arte intendiamo restare sul sentiero già
tracciato, rinunciando ai dipinti e prendendo ciò che ci passa sotto le mani a
buon mercato, e in particolare le incisioni”.
Prima della seconda guerra mondiale la collezione era
considerata tra le maggiori a livello europeo, ma durante il periodo della DDR
cadde in un penoso oblio; nel 1999, in occasione di “Weimar capitale europea
della cultura” e del duecentocinquantesimo anniversario della nascita di
Goethe, ebbe inizio il vaglio dei disegni italiani conservati nella collezione
di opere grafiche dell’ex Museo Granducale di Weimar (oggi Graphische Sammlung
della Klassik Stiftung Weimar) e venne organizzata una mostra di
centoventisette fogli, allestita oltre che a Weimar anche a Vaduz e Monaco. Una
parte significativa di questi disegni viene ora esposta in una raffinata mostra
“Italiani a Weimar. Disegni italiani dal XVI al XIX secolo dalle collezioni
Klassik Stiftung Weimar”, nella Casa di Goethe a Roma (Via del Corso, 18) in
concomitanza con la pubblicazione del catalogo del fondo di quasi mille disegni
italiani a cura di Ursula Verena Fischer Pace, cui si deve anche l’accurata
selezione delle opere esposte. Giorgio Vasari, Perino del Vaga, il Cavalier d'Arpino (alias
Giuseppe Cesari), Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Salvator Rosa,
Bartolomeo Pinelli, Giovanni Volpato, Guercino, Luca Cambiaso, Giulio Romano,
Gherardo Cibo, per citare i più noti: il museo romano (istituzione dell’AsKI di
Bonn, associazione tedesca degli Istituti di Cultura autonomi) espone quattro
secoli di disegni italiani offrendo una vasta e qualificata rappresentatività
della creatività italiana in un’articolazione non solo cronologica ma anche
geografica. Con la mostra romana, inoltre, molti fogli (ad esempio del
marchigiano arista cinquecentesco Giovanni Battista Lombardelli - bella la sua Lotta di Giosuè contro Amalek -,
dell’orvietano Cesare Nebbia vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, di
Pierfrancesco Mola autore di un bellissimo Studio
di testa di Bacco, di Giuseppe Bartolomeo Chiari e del milanese Camillo
Rusconi) ritornano al luogo dove sono stati creati e il rapporto con la città
eterna è stato un criterio importante per la scelta dei lavori. In mostra un
disegno preliminare del Cavalier d’Arpino, che raffigura la storia della
fondazione di Roma, per l’ affresco nel Palazzo dei Conservatori, sotto il
quale furono firmati nel 1957 i “Trattati di Roma” per la fondazione
dell'Unione Europea. Ancora Roma nel disegno L'apoteosi di Romolo del bolognese Domenico Maria Canuti, che si
riferisce a una figura dell'affresco del cosiddetto Camerone di Palazzo
Altieri. Nell’invadenza rumorosa sulla scena romana delle “grandi
mostre” (da Bellini a Picasso) l’esposizione proposta dalla Casa di Gohete, che
ci ha ormai abituato a prelibati assaggi di grande arte attraverso scelte
intelligenti, questa mostra si offre timidamente, ma con forte personalità ed
originalità, a palati raffinati, per raccontare preferenze e scelte di un
collezionista d’eccezione, come Goethe, cui si deve l’impianto scientifico
della raccolta. Ci racconta Herman Mildenberger che egli “partecipava
regolarmente alle aste pubbliche (ad esempio alle vendite all’asta di Winkler e
del vescovo Schneider), durante le quali facevano offerte e acquisti a suo nome
mercanti d’arte, ma anche privati. Il poeta dava molta importanza non solo alla
consultazione dei cataloghi d’asta, ma anche alle successive aggiunte a mano
dei prezzi di aggiudicazione; era un servizio che egli continuamente richiedeva
e che ricompensava con piccoli favori”. La mostra ha il merito di farci entrare in un aspetto meno
noto della immane personalità di Goethe e sottolinea l’importanza della sua
forte “presenza” anche nel campo del collezionismo; come ci dice ancora
Mildenberger, “dal punto di vista museologico le ambiziose aspirazioni
dell’epoca di Goethe – un collezionismo dell’arte occidentale suddiviso per
nazioni, epoche e scuole – vennero a costituire dei principi guida che rimasero
determinanti fino alle soglie del XX secolo”. E va notato come, in questo
contesto, l’arte del Bel Paese, anche nelle espressioni del disegno e della
grafica, occupava un posto veramente “centrale”.
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