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Fogli italiani da Weimar. Raffinata mostra alla Casa di Goethe a Roma

  
di Michele DE LUCA

Disegni dal Cinquecento all’Ottocento delle collezioni della Klassik Stiftung

Disegni dal Cinquecento all’Ottocento delle collezioni della Klassik Stiftung

 

 

 

 

     Le basi delle collezioni grafiche di Weimar furono poste nel XVIII secolo: furono due appassionati collezionisti come la duchessa Amalia Sachsen-Weimar e suo figlio, il duca Carl August, a segnare il vero punto d’inizio di questa importante raccolta. Già nel 1774 l’imprenditore Friedrich Justin Bertuch aveva proposto alla duchessa l’istituzione di una “libera scuola di disegno”, che trasferitasi dal Rotes Schloss al Furstenhaus nel 1808, venne dotata di una galleria, del cui allestimento Johann Wolfgang von Goethe incaricò Johann Heinrich Meyer, allora direttore della scuola, impegnandosi in prima persona in un lavoro sistematico di acquisizioni a livello internazionale secondo paesaggi, epoche, scuole e singoli artisti per poter offrire una visione generale dell’arte europea, nella considerazione che dal punto di vista economico erano le stampe e i disegni a permettere di creare una collezione che mirasse ad una certa sistematicità e completezza della ricognizione storico-artistica. Scriveva infatti Goethe a Meyer nel 1828: “Per quanto riguarda l’acquisizione di opere d’arte intendiamo restare sul sentiero già tracciato, rinunciando ai dipinti e prendendo ciò che ci passa sotto le mani a buon mercato, e in particolare le incisioni”.  

     Prima della seconda guerra mondiale la collezione era considerata tra le maggiori a livello europeo, ma durante il periodo della DDR cadde in un penoso oblio; nel 1999, in occasione di “Weimar capitale europea della cultura” e del duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Goethe, ebbe inizio il vaglio dei disegni italiani conservati nella collezione di opere grafiche dell’ex Museo Granducale di Weimar (oggi Graphische Sammlung della Klassik Stiftung Weimar) e venne organizzata una mostra di centoventisette fogli, allestita oltre che a Weimar anche a Vaduz e Monaco. Una parte significativa di questi disegni viene ora esposta in una raffinata mostra “Italiani a Weimar. Disegni italiani dal XVI al XIX secolo dalle collezioni Klassik Stiftung Weimar”, nella Casa di Goethe a Roma (Via del Corso, 18) in concomitanza con la pubblicazione del catalogo del fondo di quasi mille disegni italiani a cura di Ursula Verena Fischer Pace, cui si deve anche l’accurata selezione delle opere esposte.

     Giorgio Vasari, Perino del Vaga, il Cavalier d'Arpino (alias Giuseppe Cesari), Annibale e Ludovico Carracci, Guercino, Salvator Rosa, Bartolomeo Pinelli, Giovanni Volpato, Guercino, Luca Cambiaso, Giulio Romano, Gherardo Cibo, per citare i più noti: il museo romano (istituzione dell’AsKI di Bonn, associazione tedesca degli Istituti di Cultura autonomi) espone quattro secoli di disegni italiani offrendo una vasta e qualificata rappresentatività della creatività italiana in un’articolazione non solo cronologica ma anche geografica. Con la mostra romana, inoltre, molti fogli (ad esempio del marchigiano arista cinquecentesco Giovanni Battista Lombardelli - bella la sua Lotta di Giosuè contro Amalek -, dell’orvietano Cesare Nebbia vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, di Pierfrancesco Mola autore di un bellissimo Studio di testa di Bacco, di Giuseppe Bartolomeo Chiari e del milanese Camillo Rusconi) ritornano al luogo dove sono stati creati e il rapporto con la città eterna è stato un criterio importante per la scelta dei lavori. In mostra un disegno preliminare del Cavalier d’Arpino, che raffigura la storia della fondazione di Roma, per l’ affresco nel Palazzo dei Conservatori, sotto il quale furono firmati nel 1957 i “Trattati di Roma” per la fondazione dell'Unione Europea. Ancora Roma nel disegno L'apoteosi di Romolo del bolognese Domenico Maria Canuti, che si riferisce a una figura dell'affresco del cosiddetto Camerone di Palazzo Altieri.

     Nell’invadenza rumorosa sulla scena romana delle “grandi mostre” (da Bellini a Picasso) l’esposizione proposta dalla Casa di Gohete, che ci ha ormai abituato a prelibati assaggi di grande arte attraverso scelte intelligenti, questa mostra si offre timidamente, ma con forte personalità ed originalità, a palati raffinati, per raccontare preferenze e scelte di un collezionista d’eccezione, come Goethe, cui si deve l’impianto scientifico della raccolta. Ci racconta Herman Mildenberger che egli “partecipava regolarmente alle aste pubbliche (ad esempio alle vendite all’asta di Winkler e del vescovo Schneider), durante le quali facevano offerte e acquisti a suo nome mercanti d’arte, ma anche privati. Il poeta dava molta importanza non solo alla consultazione dei cataloghi d’asta, ma anche alle successive aggiunte a mano dei prezzi di aggiudicazione; era un servizio che egli continuamente richiedeva e che ricompensava con piccoli favori”.

     La mostra ha il merito di farci entrare in un aspetto meno noto della immane personalità di Goethe e sottolinea l’importanza della sua forte “presenza” anche nel campo del collezionismo; come ci dice ancora Mildenberger, “dal punto di vista museologico le ambiziose aspirazioni dell’epoca di Goethe – un collezionismo dell’arte occidentale suddiviso per nazioni, epoche e scuole – vennero a costituire dei principi guida che rimasero determinanti fino alle soglie del XX secolo”. E va notato come, in questo contesto, l’arte del Bel Paese, anche nelle espressioni del disegno e della grafica, occupava un posto veramente “centrale”.

 

 

 


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