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La cultura letteraria salentina nell'epoca federiciana |
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Sotto il regno di Federico II, Terra
d’Otranto attraversò uno dei suoi periodi di maggiore splendore Dopo la reggenza normanna, il
Salento, come tutto il Mezzogiorno, fu conquistato dagli Svevi, e rimase in
mano loro dal 1194 al 1266. Gli Svevi, al contrario di molti loro predecessori,
diedero alla Puglia un notevole slancio positivo, attuando una serie di riforme
giuridico-istituzionali e promuovendo l’arte e la letteratura. Quando Federico II governò il
Regno di Sicilia, dal 1198 al 1250, Terra d’Otranto attraversò uno dei suoi
periodi di maggiore splendore, grazie alla personalità poliedrica e
affascinante del nuovo sovrano che, fin dalla sua epoca, ha focalizzato
l'attenzione degli storici e della gente comune, generando anche una lunga
serie di miti popolari. Federico II era
anche conosciuto con l’appellativo “puer Apuliae” (fanciullo di Puglia),
perché amava molto questa terra e instaurò con essa un rapporto privilegiato.
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa
e di innovazione tecnologica e culturale, volte ad unificare le terre ed i
popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso, apprezzabile
letterato, fu sostenitore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di
incontro fra diverse culture: greca, latina, araba ed ebraica. I suoi
interessi, tuttavia, non si limitavano a questo: egli amava le scienze
matematiche e naturali, la filosofia e la medicina. Invitò
alla sua corte gli intellettuali più noti del suo tempo, come Michele Scoto
e Juda ben Salomon Cohen.
Contribuì a svecchiare la letteratura italiana e fondò la “Scuola siciliana”
che, con il provenzale, raffinò il volgare
siculo-pugliese, dando vita alla prima lingua nazionale, che, seppur limitata
all'ambito letterario, influenzò profondamente il fiorentino colto.
Fece, inoltre, tradurre molte opere dalla lingua araba, per la quale nutriva
una forte passione. Il sovrano svevo diede slancio,
altresì, alle scritture in greco del Salento, anche se alla sua corte ci si
concentrava maggiormente sugli studi italiani, latini e arabi. Non nutriva un
interesse particolare per la Chiesa ortodossa, ma ciò non gli impedì di
accostarsi a quella cultura così radicata in Terra d’Otranto. “Egli aveva una buona infarinatura della
lingua di Costantinopoli”, scrive Luigi Carducci; “e da stimatore qual era delle culture contemporanee, agevolò alquanto
il sorgere di una letteratura bizantina nel Salento, tenuto conto della fama di
cui godeva il Monastero di San Nicola di Casole presso Otranto che rimaneva il
fulcro di essa”. Il cenobio casolano rappresentò
un punto di riferimento per altri centri conventuali nell’epoca sveva. In
alcune località salentine, sorsero presto delle scuole: nel 1219 a Maglie, nel
1223 a Galatina e nel 1236 a Nardò. “Fu,
questo, il periodo di maggiore fortuna scolastica nella piccola penisola”,
scrive ancora il Carducci. “In
particolare coincideva con la funzione diplomatica dell’egumeno Nettario di
Otranto, animatore diretto o indiretto di tali impulsi, dal 1219 al 1235”. Egli
conosceva profondamente il greco, era esperto di libri sacri e profani,
appassionato di astrologia, traduttore, autore di prose in lingua greca.
Incarichi prestigiosi gli vennero affidati dalla corona sveva e dalla Chiesa di
Roma. “Ebbe dunque modo di vivere anche
le controversie non solo fra le due chiese, l’occidentale e la orientale, ma
persino le tensioni fra i due sommi poteri, di Federico e del papa” (L.C.). Altri personaggi, oltre a
Nettario, animarono e arricchirono la scena culturale di Terra d’Otranto. Tra
questi, il notaio personale di Federico II, Giovanni Grasso, autore di carmi di
stampo classico e di un componimento poetico; e Giorgio Cartofilace di
Gallipoli, archivista della chiesa greca della sua città, il quale scrisse
diverse opere. Entrambi di spirito ghibellino. “Ovviamente tutta questa era una poesia avulsa dalla tradizione popolare
salentina, che invece si è vista presente nei mosaici: era valida per intrattenere
i pochi ascoltatori della corte a cui era diretta, e in particolare Federico II”,
conclude Luigi Carducci. Questi lavori rimasero
estemporanei. Non diedero vita, difatti, ad una letteratura salentina che
potesse resistere al tempo e proiettata verso il futuro. Scomparì con la morte
di Federico, fenomeno che, seppur di nicchia, in qualche modo rinvigorì gli
studi letterari in Terra d’Otranto e le menti degli assetati di “conoscenza”.
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