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Italia, vecchia nave senza più manutenzione |
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Da cosa siamo governati? Semplice, sensazionalismo e
banalizzazione sono la “coppia reale” della nostra società. Da bravi sudditi
tutti ci inchiniamo, nessuno escluso. Dalla trasmissione televisiva, ai
programmi politici, alla quotidianità, questo binomio pare inscindibile. Quindi
nessuno stupore e nessun sussulto dovremmo provare dinanzi all'inseguirsi di
scoop e controscoop che, ovviamente, spesso danno luogo a inchieste giudiziarie
e/o commissioni parlamentari. Ebbene, fortunatamente, vi è in noi, ben vivo, il
senso del pudore, il rispetto della dignità, la considerazione
dell'intelligenza, ragion per cui sussultiamo. Le inchieste sullo sfruttamento
del lavoro in Puglia e da ultime quelle sul Policlinico Umberto I, sui
tribunali, sui segreti nel confessionale che non è da confondere con la stanza
imbottita del Grande Fratello, hanno
acceso dibattiti, indagini, provvedimenti, prese di distanza, j'accuse. Che l'Italia sia una vecchia nave con scarsa manutenzione
è sotto l'occhio di tutti, ma perché aspettare il giornalista rampante per
svelare quel che in realtà è ben noto? Questa la faccia di una medaglia che
voltata mostra un giornalismo apparentemente impegnato a colpire il problema al
cuore. Ci piace questo giornalismo? E soprattutto, serve questo giornalismo?
Che ruolo deve avere l'informazione? Laddove si eserciti il puro diritto di
cronaca, se volessimo metter da parte faziosità, nel peggiore dei casi,
sensazionalismo e banalizzazione nel migliore dei casi, insomma se volessimo
offrire un vero servizio di informazione dovremmo utilizzare la penna per
dettagliare con competenza e responsabilità. Siamo davvero convinti che basti
registrare una decina di confessioni per denunciare uno scollamento tra la base
e la gerarchia della chiesa? E poi serve davvero un servizio scandalistico
all'ombra del confessionale così come lo propone Riccardo Bocca sull'Espresso?
Oltre a far sensazione, a cosa serve? Rende forse giustizia del travaglio umano
e spirituale di chi risponde a un proprio credo e ai propri credenti su
tematiche che segnano la stessa dimensione umana? Questa riflessione si ripropone ogni qualvolta il
giornalismo preda della nevrosi da reality si immerge nelle piaghe della
società per dare la notizia, pretendendo di darne anche una spiegazione
psico-sociologica, pretendendo anche di brandire la clava della pseudo
giustizia. Se ci fermiamo, anche solo per una breve frazione di tempo, a
riflettere quanto condizionante sia la parola della carta stampata o quella
della televisione, se ci fermiamo e cogliamo il rimbalzare di notizie dall'una
all'altra bocca, da un lettore all'altro, se ci fermiamo e ascoltiamo quel
fermo sottolineare: “L'ha detto il tg.”, “L'ha detto il giornale.”, se ci
fermiamo un brivido ci coglie. Quella verità assoluta che il lettore coglie è
la nostra croce, deve essere il nostro cilicio, deve essere la morsa che ci stringe
la gola per richiamarci ad un uso della notizia che non abbia come fine ultimo
il mettere al centro del mondo la penna narcisista, che non abbia come fine
ultimo il picco in alto del numero di copie vendite. Certo queste
considerazioni hanno il sapore del canto triste del cigno, hanno il sapore di
chi non vuole omologarsi, hanno il sapore di chi guarda l'orizzonte e vede il
domani e trema e sente il peso del segno che nella storia il nostro tempo sta
lasciando.
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