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Italia, vecchia nave senza più manutenzione
  
di Maddalena MONGIO'

Da cosa siamo governati

Da cosa siamo governati? Semplice, sensazionalismo e banalizzazione sono la “coppia reale” della nostra società. Da bravi sudditi tutti ci inchiniamo, nessuno escluso. Dalla trasmissione televisiva, ai programmi politici, alla quotidianità, questo binomio pare inscindibile. Quindi nessuno stupore e nessun sussulto dovremmo provare dinanzi all'inseguirsi di scoop e controscoop che, ovviamente, spesso danno luogo a inchieste giudiziarie e/o commissioni parlamentari. Ebbene, fortunatamente, vi è in noi, ben vivo, il senso del pudore, il rispetto della dignità, la considerazione dell'intelligenza, ragion per cui sussultiamo. Le inchieste sullo sfruttamento del lavoro in Puglia e da ultime quelle sul Policlinico Umberto I, sui tribunali, sui segreti nel confessionale che non è da confondere con la stanza imbottita del Grande Fratello, hanno acceso dibattiti, indagini, provvedimenti, prese di distanza, j'accuse.

Che l'Italia sia una vecchia nave con scarsa manutenzione è sotto l'occhio di tutti, ma perché aspettare il giornalista rampante per svelare quel che in realtà è ben noto? Questa la faccia di una medaglia che voltata mostra un giornalismo apparentemente impegnato a colpire il problema al cuore. Ci piace questo giornalismo? E soprattutto, serve questo giornalismo? Che ruolo deve avere l'informazione? Laddove si eserciti il puro diritto di cronaca, se volessimo metter da parte faziosità, nel peggiore dei casi, sensazionalismo e banalizzazione nel migliore dei casi, insomma se volessimo offrire un vero servizio di informazione dovremmo utilizzare la penna per dettagliare con competenza e responsabilità. Siamo davvero convinti che basti registrare una decina di confessioni per denunciare uno scollamento tra la base e la gerarchia della chiesa? E poi serve davvero un servizio scandalistico all'ombra del confessionale così come lo propone Riccardo Bocca sull'Espresso? Oltre a far sensazione, a cosa serve? Rende forse giustizia del travaglio umano e spirituale di chi risponde a un proprio credo e ai propri credenti su tematiche che segnano la stessa dimensione umana?

Questa riflessione si ripropone ogni qualvolta il giornalismo preda della nevrosi da reality si immerge nelle piaghe della società per dare la notizia, pretendendo di darne anche una spiegazione psico-sociologica, pretendendo anche di brandire la clava della pseudo giustizia. Se ci fermiamo, anche solo per una breve frazione di tempo, a riflettere quanto condizionante sia la parola della carta stampata o quella della televisione, se ci fermiamo e cogliamo il rimbalzare di notizie dall'una all'altra bocca, da un lettore all'altro, se ci fermiamo e ascoltiamo quel fermo sottolineare: “L'ha detto il tg.”, “L'ha detto il giornale.”, se ci fermiamo un brivido ci coglie. Quella verità assoluta che il lettore coglie è la nostra croce, deve essere il nostro cilicio, deve essere la morsa che ci stringe la gola per richiamarci ad un uso della notizia che non abbia come fine ultimo il mettere al centro del mondo la penna narcisista, che non abbia come fine ultimo il picco in alto del numero di copie vendite. Certo queste considerazioni hanno il sapore del canto triste del cigno, hanno il sapore di chi non vuole omologarsi, hanno il sapore di chi guarda l'orizzonte e vede il domani e trema e sente il peso del segno che nella storia il nostro tempo sta lasciando.

 

 

 


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