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Quale 2006?
  
di Carlo SAVINI

QUALE 2006

È iniziato da appena un mese il nuovo anno ed è logico chiedersi come sarà per noi e per il mondo con cui interagiamo. Il panorama è – come direbbero i metereologi – variabile, con perturbazioni costanti, incertezze, possibilità di mutazioni a tutti i livelli geografici mondiali, europei, italiani, meridionali, mediterranei.

Medioriente - Cominciamo guardando al globo dove le nuvole si addensano di più, dove la situazione in Iraq, Israele e Palestina sono presenti temporali costanti con effetti tragici per le popolazioni, ma non dimenticando che il mondo è persistentemente ferito da almeno 10 crisi più cruente di cui non si parla quasi mai: guerre e malattie in Congo, la Cecenia e Haiti distrutte da ondate di violenza, l’AIDS dilagante, gli scontri in India nord-orientale, la emergenza umanitaria nel Sud Sudan dopo la fine della guerra, la violenza in Colombia, miseria e signori della guerra in Somalia, sicurezza inesistente nell’Uganda settentrionale e in Congo, crisi in Costa d’Avorio, secondo il rapporto di “Medici senza frontiere”. Ma purtroppo l’elenco è limitato rispetto alle crisi alimentari e sanitarie, alle politiche di controllo dei mercati produttivi del Terzo e Quarto Mondo da parte delle multinazionali che “guidano” la globalizzazione, ai sistemi dove ancora è lecita la pena di morte (anche in democrazie avanzate), e così via.

Borsa mondiale - Tutto questo è il bilancio estremamente negativo di quella Borsa mondiale di capacità di regolamentazione, pacificazione, armonizzazione delle Nazioni Unite da riformare più democraticamente, che troppi interessi politici, strategici ed economici non vogliono. Pace, sicurezza, sviluppo, vera globalizzazione di una crescita socio-economica per tutti i popoli della Terra, libertà, fine delle guerre razziali e religiose, limitazione degli armamenti per tutti (comprese le grandi potenze mondiali che le hanno e le monopolizzano), disarmo nucleare altrettanto di tutti, fine dei “muri di separazione” cosiddetta preventiva, sono ancora utopia. Senza una ONU diversa, dotata di effettivi poteri, le speranze di un mondo nuovo e più pacifico, più solidale, più progredito nella sua globalità.

Unione Europea - E l’Europa Unita? L’eccessivo allargamento all’Est sta provocando squilibri nell’economia dei Paesi tradizionalmente membri, aggravando – per sottrazione di risorse – quelli delle aree meno forti e soprattutto quelli che fondano la loro economia in una prospettiva di sviluppo nel contesto euro-mediterraneo.  Uno degli errori che sembra – a giudizio esclusivo di chi scrive – sia stata la gestione dell’allargamento comunitario da parte di Prodi, è il pensare ad un “impero europeo alla Carlo Magno”, trascurando lo storico gioco strategico dell’economia europea nell’ambito Mediterraneo con il Nord Africa e il Medio Oriente. Probabilmente l’economista prof. Prodi non conosce la storia dell’Impero Romano e la grande intuizione dell’Imperatore Adriano, che pose fine all’espansionismo romano per concentrarsi sullo sviluppo interno, non meno che ad una politica sociale che – per chi la conosce – è fra le più avanzate anche per i tempi moderni.

L’Europa Unita di oggi è ben diversa da quella che i cittadini europei vogliono: più sociale, meno burocratica, meno dettata da normative superflue per non dire stupide, soprattutto più informata sulle modalità pratiche, non meno che aliena dalle sue identità storiche. Il fallimento sostanziale della sua Costituzione ne è un esempio. Una Europa Unita più dei cittadini tramite i membri del suo Parlamento Europeo dotato di maggiori poteri e meno soggetto allo strapotere delle decisioni della Commissione e della euroburocrazia mastodontica ed aggravante i contributi nazionali; una Europa Unita che sappia guardare più alla situazione socio-economica interna, che non pensi ad ulteriori situazioni imperialistiche in aree sostanzialmente e storicamente non europee (vedi il caso Turchia), che riconsideri il ruolo di sviluppo e intermediazione anche politico-strategica delle aree sensibili che si affacciano sul Mediterraneo, che sappia sviluppare rapporti commerciali, culturali, interreligiosi, etnici (con dovuti controlli di esodi clandestini e traffici umani, di armi e droga), che garantisca in questo Bacino approvvigionamenti energetici, che agevoli l’interscambio turistico, non sono che alcuni elementi di auspicio di un cambiamento di rotta.

Sul piano interno, poi, c’è ancora tanto buio. Gli agglomerati politici di una parte e dell’altra parlano molto e indicano poco, con estrema genericità, quali siano i loro progetti concreti, cosa intendono fare soprattutto per il Mezzogiorno in un contesto nazionale, europeo, euromediterraneo.  Non ci importano le affermazioni di principio, ma il cosa, il come, il quando. Dal mondiale al territoriale è tempo di attesa. Disperarci? No. Adattarci? Comunque. Sperare nel buon senso? Questo sì. L’augurio per lo sviluppo del 2006 e dei prossimi anni a venire sta tutto qui.

Futuro - Chi scrive non è un veggente e non può dire come andranno le cose, non fa oroscopi televisivi e stampa fasulli, guarda soltanto alle realtà e come ognuno di noi auspica che le cose vadano meglio con quel briciolo di virtù teologale della speranza che però è legata agli uomini di buona volontà e di buona volontà ce ne vuole tanta! I lettori di Euromediterraneo scusino l’editorialista di questa lunga panoramica di ombre e speranze, prospettive, ma questa era la riflessione personale di cui volevo farvi partecipi, aperto a vostre altre diverse considerazioni.

 

 

 

 

 


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