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Consenso del paziente al trattamento terapeutico, uno sguardo giuridico e non politico
  
di Francesca Romana MAELLARO*

CONSENSO DEL PAZIENTE AL TRATTAMENTO TERAPEUTICO

Come si può tutelare un paziente che decide di sottrarsi ovvero di interrompere un dato trattamento terapeutico a scapito della sua stessa sopravvivenza? E, soprattutto, esiste un diritto giuridicamente riconosciuto, di compiere una scelta siffatta? Indiscussi gli addentellati etici, religiosi e politici  dei quesiti in oggetto, che hanno così alimentato le più vive discussioni sul punto. Ma lo sconcerto suscitato dai recenti fatti di cronaca è imputabile, oltre al dramma trasparso dalle singole vicende,  anche al confuso ed, oserei dire, distruttivo dibattito politico che ha involto il problema. Non si può infatti dimenticare che il nostro sistema giuridico è interamente improntato sul principio di legalità, secondo cui la regolamentazione di un dato caso di specie deve trovare apposita consacrazione in una fonte legislativa, la cui produzione deve seguire i dettami della Carta Costituzionale.

Ne discende che la ricerca della norma confacente al caso concreto deve essere rigorosamente tecnico-deduttiva e non può affidarsi all'occasione di un fenomeno mediatico e tanto meno all'opportunità di sferzare attacchi politici. L'emozione del momento, fa spesso dimenticare a chi ci rappresenta, nostro malgrado, il corretto uso degli strumenti di normazione, al punto da portare a decreti intempestivi e disegni di legge dell'ultima ora, per mascherare lacune taciute da troppi anni. Il problema euristico, che investe la tematica di cui si tratta, deve invece affrontarsi alla luce del sistema giuridico attualmente vigente. Questo tuttavia presta il fianco a diverse correnti di pensiero: una prima, incline a valorizzare un principio solidaristico e di indisponibilità del bene della vita, in virtù dell' art. 32 della Costituzione, che tutela la salute, quindi il bene vita, dell'art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo, quando rechino diminuzioni permanenti dell'integrità psicofisica, nonché degli artt. 579 e 580 c.p., rispettivamente in tema di omicidio del consenziente e di istigazione al suicidio; un secondo orientamento, più recente, privilegia invece un principio consensualistico, muovendo dalla Costituzione, in particolare dall'art. 2, che tutela i diritti inviolabili dell'uomo, dall'art.13, in tema di libertà personale e, in primis, dall'art. 32, ritenuto fondamento del diritto a morire, quale predicato del principio di autodeterminazione. Chi sostiene questa seconda posizione nega inoltre che esista nel nostro ordinamento un obbligo espresso di curarsi, salvo la concorrenza di un interesse pubblico di tutela della colletività, come nel caso delle vaccinazioni.

Questo quadro interpretativo si è venuto negli ultimi anni a confrontare, con il sempre più crescente ruolo assegnato al consenso informato del paziente in ordine all'esecuzione di una determinata prestazione terapeutica. Si è giunti infatti a coniugare il rapporto medico-paziente in uno schema paranegoziale, che nella denominazione giuridica è detto contatto sociale, in cui il consenso prestato dal paziente diventa condizione di liceità dell'intervento sanitario. Consenso che deve altresì essere informato, ovverosia il paziente deve essere debitamente edotto dal medico circa la portata e i possibili rischi dell'intervento che si accinge a compiere.

Sebbene, da ciò possa evincersi un'avvenuta acquisizione nel nostro ordinamento del principio di autodeterminazione personale, non può dirsi certo esistente una disciplina sistematica che abbracci un fenomeno, quale appunto il consenso alle cure, che appare decisamente poliedrico. Occorre infatti distinguere gli interventi terapeutici necessari da quelli puramente sperimentali o estetici,   nonché i casi in cui il paziente sia in condizioni di prestare il consenso e quelli in cui non possa farlo, perchè versa in stato di incoscienza; in quest'ultimo caso sono da cercare mezzi equipollenti al consenso, quale la stesura di un testamento biologico. Occorre infine chiarire l'ontologia dell'intervento terapeutico, e se possa questo includere anche la somministrazione di cibo e acqua.

Si auspica che l’imminente intervento legislativo sappia chiarire tutti questi aspetti, affinché non accada più, come in passato, che la vita umana divenga suggello di una vittoria politica.               

             

 

*Delegata regionale Puglia Associazione “Democrazia nelle Regole”

www.democrazianelleregole.it

 

 


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