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Consenso del paziente al trattamento terapeutico, uno sguardo giuridico e non politico |
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Come si può tutelare un paziente
che decide di sottrarsi ovvero di interrompere un dato trattamento terapeutico
a scapito della sua stessa sopravvivenza? E, soprattutto, esiste un diritto
giuridicamente riconosciuto, di compiere una scelta siffatta? Indiscussi gli
addentellati etici, religiosi e politici
dei quesiti in oggetto, che hanno così alimentato le più vive
discussioni sul punto. Ma lo sconcerto suscitato dai recenti fatti di cronaca è
imputabile, oltre al dramma trasparso dalle singole vicende, anche al confuso ed, oserei dire,
distruttivo dibattito politico che ha involto il problema. Non si può infatti
dimenticare che il nostro sistema giuridico è interamente improntato sul
principio di legalità, secondo cui la regolamentazione di un dato caso di
specie deve trovare apposita consacrazione in una fonte legislativa, la cui
produzione deve seguire i dettami della Carta Costituzionale. Ne discende che la ricerca della
norma confacente al caso concreto deve essere rigorosamente tecnico-deduttiva e
non può affidarsi all'occasione di un fenomeno mediatico e tanto meno
all'opportunità di sferzare attacchi politici. L'emozione del momento, fa
spesso dimenticare a chi ci rappresenta, nostro malgrado, il corretto uso degli
strumenti di normazione, al punto da portare a decreti intempestivi e disegni
di legge dell'ultima ora, per mascherare lacune taciute da troppi anni. Il
problema euristico, che investe la tematica di cui si tratta, deve invece
affrontarsi alla luce del sistema giuridico attualmente vigente. Questo
tuttavia presta il fianco a diverse correnti di pensiero: una prima, incline a
valorizzare un principio solidaristico e di indisponibilità del bene
della vita, in virtù dell' art. 32 della Costituzione, che tutela la salute,
quindi il bene vita, dell'art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del
proprio corpo, quando rechino diminuzioni permanenti dell'integrità
psicofisica, nonché degli artt. 579 e 580 c.p., rispettivamente in tema di
omicidio del consenziente e di istigazione al suicidio; un secondo
orientamento, più recente, privilegia invece un principio consensualistico,
muovendo dalla Costituzione, in particolare dall'art. 2, che tutela i diritti
inviolabili dell'uomo, dall'art.13, in tema di libertà personale e, in primis,
dall'art. 32, ritenuto fondamento del diritto a morire, quale predicato del
principio di autodeterminazione. Chi sostiene questa seconda posizione nega
inoltre che esista nel nostro ordinamento un obbligo espresso di curarsi, salvo
la concorrenza di un interesse pubblico di tutela della colletività, come nel
caso delle vaccinazioni. Questo quadro interpretativo si
è venuto negli ultimi anni a confrontare, con il sempre più crescente ruolo
assegnato al consenso informato del paziente in ordine all'esecuzione di una
determinata prestazione terapeutica. Si è giunti infatti a coniugare il
rapporto medico-paziente in uno schema paranegoziale, che nella denominazione
giuridica è detto contatto sociale, in cui il consenso prestato dal paziente
diventa condizione di liceità dell'intervento sanitario. Consenso che deve
altresì essere informato, ovverosia il paziente deve essere debitamente edotto
dal medico circa la portata e i possibili rischi dell'intervento che si accinge
a compiere. Sebbene, da ciò possa evincersi
un'avvenuta acquisizione nel nostro ordinamento del principio di
autodeterminazione personale, non può dirsi certo esistente una disciplina
sistematica che abbracci un fenomeno, quale appunto il consenso alle cure, che
appare decisamente poliedrico. Occorre infatti distinguere gli interventi
terapeutici necessari da quelli puramente sperimentali o estetici, nonché i casi in cui il paziente sia in
condizioni di prestare il consenso e quelli in cui non possa farlo, perchè
versa in stato di incoscienza; in quest'ultimo caso sono da cercare mezzi
equipollenti al consenso, quale la stesura di un testamento biologico. Occorre
infine chiarire l'ontologia dell'intervento terapeutico, e se possa questo
includere anche la somministrazione di cibo e acqua. Si auspica che l’imminente
intervento legislativo sappia chiarire tutti questi aspetti, affinché non
accada più, come in passato, che la vita umana divenga suggello di una vittoria
politica. *Delegata regionale Puglia
Associazione “Democrazia nelle Regole” www.democrazianelleregole.it
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