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SOCIALISTI / DIBATTITO |
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Ha avuto un’impennata negli
ultimi giorni il dibattito, periodicamente presente sulle pagine di questo
giornale, sul destino del socialismo in generale, e di quello pugliese in
particolare. Tra le varie posizioni, più o meno apprezzabili, una può essere
condivisa in toto, quella significativamente equilibrata, precisa, lucida di
Francesco Fistetti. Per il resto, infatti, il denominatore comune si attesta
sull’antico e classico adagio “primum vivere”. Ovvero, scongiurare il rischio, specie
nella incombente prospettiva di una nuova legge elettorale regionale, di
scomparire. In effetti, accanto alle
esternazioni nostalgiche e di orgoglio patriottico, a dichiarazioni di buona
volontà e ad un sentimento diffuso di speranza, si può cogliere una certa
ritrosia ad uscire dai luoghi comuni ed a rischiare analisi forti, politiche e
culturali, additando nel contempo possibili e utili rimedi per costruire (o
almeno tentare di) un percorso comune che porti alla unificazione delle disiecta membra (quanto appare fresca
l’espressione di Marx riferita alla democrazia europea!) del socialismo
italiano e pugliese. Questa riluttanza sconfortante,
questa autocensura di riflessione a tutto campo, sono ulteriormente suffragate
dalla circostanza che la sequenza quasi ininterrotta degli interventi, in
queste settimane, nasce da un assist di Massimo D’Alema, forse il meno tenero
(per non usare aggettivazioni folliniane) con i socialisti dei diessini in
circolazione, che prima impone il suo candidato Latorre alle suppletive per il
Parlamento e poi spruzza un po’ di profumo ai cugini delusi. È detestabile
qualsiasi processo alle intenzioni. E non è delle intenzioni di D’Alema che qui
si tratta, ma dello sciogliersi commosso di quasi tutte le formazioni socialiste
alla notizia del verbo novello pronunciato dall’ex premier. Ora, sarebbe davvero deleterio
se i socialisti andassero al seguito di un percorso politico eterodiretto, non
perché esso possa apparire, come lo sarebbe di fatto, mortificante, ma perché,
finita la stagione delle convenienze elettorali, resterebbe esterno rispetto ad
un progetto che deve partire da convinzioni forti, mature, preferibilmente non
condizionate da alcun tentativo di captatio benevolentiae. E allora vediamo se è possibile
suscitare, senza peli sulla lingua come richiede il momento e la difficoltà
della situazione, qualche riflessione su un paio di nodi (uno
geometrico-campestre, l’altro anagrafico) finora elusi; ben presenti, crediamo,
nella riflessione di socialisti storici e intelligenti, ma elusi perché il fine
immediato, nella scala delle priorità delle urgenze politiche, prevale sul fine
a lungo termine. SDI, Socialisti Autonomisti,
Unità Socialista, Socialismo è Libertà, Nuovo PSI: ma è ricchezza di posizioni,
articolazione intelligente di punti di vista, oppure è occupazione di spazi (i
pochi rimasti), strategia di conservazione di orticelli? Spazi e orticelli per
la cui difesa si sono alzati muri spessi, strenuamente protetti dai soliti
noti, che avranno, sì, certo, tenuta accesa la fiammella della sorti magnifiche
e progressive del socialismo, ma quasi mai senza alcun ritorno tangibile e
sempre attenti ad impedire l’accesso a guastafeste e disturbatori vari. Se così
stanno le cose (o almeno così appaiono per molti all’esterno), non esistono,
oggi, le condizioni per mettere in comune interessi consolidati, rendite più o
meno certe, far diventare quelli e queste lievito e alimento. Stupisce perciò,
in uomini di lungo corso e politici esperti, il teorema secondo cui gli ex Psi
darebbero “prova di essere all’altezza del compito solo dando vita ad una lista
unitaria socialista” (Biagio Marzo). Stupisce se il teorema non è accompagnato
dall’audacia politica e dalla precisione lessicale di indicare modalità,
criteri, tempi e, prima di ogni cosa, la filosofia che deve sorreggere e
accompagnare un nuovo corso. Tutto ciò non è possibile quando interessi diversi
non hanno la forza di trasformarsi in intento comune. Chi per professione vive con i
giovani in età di voto sa che è da oltre un decennio che essi, nella stragrande
maggioranza, non votano socialista e nulla sanno delle vicende recenti e di che
cosa sia il socialismo. È come se una comunità politica, qual è anche un
partito, abbia perso di colpo un’intera generazione e non abbia più energie (di
entusiasmo, di intelligenza, di competenze, e così via) cui attingere. Il buco
di attenzione e consenso ha ingigantito e aggravato il vero ostacolo al
discorso, semplicemente volontaristico, sulla unificazione dei socialisti: non
c’è stato un ricambio, manca una nuova, vera classe dirigente e, come tutti
sanno, occorrono anni e anni per poterla costruire. Oggi il socialismo italiano
è, da un lato, un gruppo di vecchi dirigenti che (con tutto il rispetto e, per
alcuni, ammirazione) vogliono giocare ancora, soprattutto in periferia, un
ruolo da primattori, e, dall’altro, un popolo residuale, marginale rispetto ai
percorsi ed alle strategie politiche di più ampio respiro. C’è insomma un
lavoro immenso da fare nella società, tra i giovani, nelle università; un
lavoro di conoscenza e di informazione, di proselitismo culturale, se non altro
per evitare che il riformismo venga omologato ed etichettato semplicemente come
l’evoluzione ideologica del gruppo dirigente ex comunista, invece di recepirlo,
com’è corretto che sia, quale componente storica ricca di idee e valori,
fortemente radicata nella storia del nostro Paese e nel suo processo di
costruzione democratica. Idee e valori da cui bisognerebbe tentare di ripartire
alla luce, ovviamente, dei bisogni e delle sfide (la ecologica in primis) della
modernità. Dunque, l’alternativa è tra il
restare a galla degli scampati all’alluvione politico-giudiziaria dei primi
anni Novanta e l’affondare impietosamente il bisturi. La Puglia, più che
puntare all’ambizione di rappresentare il laboratorio della rinascita del
partito socialista, potrebbe giocare una carta più nobile: promuovere gli stati
generali del socialismo per una ridefinizione progettuale e programmatica e per
la lenta costruzione di una nuova classe politica. Si possono tentare le due
cose insieme, ma non presumere che la prima possa realizzarsi ed avere lunga vita senza la seconda. *Prof. Ord. di Storia delle
dottrine politiche - Università di Lecce
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