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SOCIALISTI / DIBATTITO
  
di Leonardo LA PUMA*

Ha avuto un’impennata negli ultimi giorni il dibattito, presente a singhiozzo sulle pagine di questo giornale, sul destino de

Ha avuto un’impennata negli ultimi giorni il dibattito, periodicamente presente sulle pagine di questo giornale, sul destino del socialismo in generale, e di quello pugliese in particolare. Tra le varie posizioni, più o meno apprezzabili, una può essere condivisa in toto, quella significativamente equilibrata, precisa, lucida di Francesco Fistetti. Per il resto, infatti, il denominatore comune si attesta sull’antico e classico adagio “primum vivere”. Ovvero, scongiurare il rischio, specie nella incombente prospettiva di una nuova legge elettorale regionale, di scomparire.

In effetti, accanto alle esternazioni nostalgiche e di orgoglio patriottico, a dichiarazioni di buona volontà e ad un sentimento diffuso di speranza, si può cogliere una certa ritrosia ad uscire dai luoghi comuni ed a rischiare analisi forti, politiche e culturali, additando nel contempo possibili e utili  rimedi  per costruire (o almeno tentare di) un percorso comune che porti alla unificazione delle disiecta membra (quanto appare fresca l’espressione di Marx riferita alla democrazia europea!) del socialismo italiano e pugliese.

Questa riluttanza sconfortante, questa autocensura di riflessione a tutto campo, sono ulteriormente suffragate dalla circostanza che la sequenza quasi ininterrotta degli interventi, in queste settimane, nasce da un assist di Massimo D’Alema, forse il meno tenero (per non usare aggettivazioni folliniane) con i socialisti dei diessini in circolazione, che prima impone il suo candidato Latorre alle suppletive per il Parlamento e poi spruzza un po’ di profumo ai cugini delusi. È detestabile qualsiasi processo alle intenzioni. E non è delle intenzioni di D’Alema che qui si tratta, ma dello sciogliersi commosso di quasi tutte le formazioni socialiste alla notizia del verbo novello pronunciato dall’ex premier.

Ora, sarebbe davvero deleterio se i socialisti andassero al seguito di un percorso politico eterodiretto, non perché esso possa apparire, come lo sarebbe di fatto, mortificante, ma perché, finita la stagione delle convenienze elettorali, resterebbe esterno rispetto ad un progetto che deve partire da convinzioni forti, mature, preferibilmente non condizionate da alcun tentativo di captatio benevolentiae.

E allora vediamo se è possibile suscitare, senza peli sulla lingua come richiede il momento e la difficoltà della situazione, qualche riflessione su un paio di nodi (uno geometrico-campestre, l’altro anagrafico) finora elusi; ben presenti, crediamo, nella riflessione di socialisti storici e intelligenti, ma elusi perché il fine immediato, nella scala delle priorità delle urgenze politiche, prevale sul fine a lungo termine.

SDI, Socialisti Autonomisti, Unità Socialista, Socialismo è Libertà, Nuovo PSI: ma è ricchezza di posizioni, articolazione intelligente di punti di vista, oppure è occupazione di spazi (i pochi rimasti), strategia di conservazione di orticelli? Spazi e orticelli per la cui difesa si sono alzati muri spessi, strenuamente protetti dai soliti noti, che avranno, sì, certo, tenuta accesa la fiammella della sorti magnifiche e progressive del socialismo, ma quasi mai senza alcun ritorno tangibile e sempre attenti ad impedire l’accesso a guastafeste e disturbatori vari. Se così stanno le cose (o almeno così appaiono per molti all’esterno), non esistono, oggi, le condizioni per mettere in comune interessi consolidati, rendite più o meno certe, far diventare quelli e queste lievito e alimento. Stupisce perciò, in uomini di lungo corso e politici esperti, il teorema secondo cui gli ex Psi darebbero “prova di essere all’altezza del compito solo dando vita ad una lista unitaria socialista” (Biagio Marzo). Stupisce se il teorema non è accompagnato dall’audacia politica e dalla precisione lessicale di indicare modalità, criteri, tempi e, prima di ogni cosa, la filosofia che deve sorreggere e accompagnare un nuovo corso. Tutto ciò non è possibile quando interessi diversi non hanno la forza di trasformarsi in intento comune.

Chi per professione vive con i giovani in età di voto sa che è da oltre un decennio che essi, nella stragrande maggioranza, non votano socialista e nulla sanno delle vicende recenti e di che cosa sia il socialismo. È come se una comunità politica, qual è anche un partito, abbia perso di colpo un’intera generazione e non abbia più energie (di entusiasmo, di intelligenza, di competenze, e così via) cui attingere. Il buco di attenzione e consenso ha ingigantito e aggravato il vero ostacolo al discorso, semplicemente volontaristico, sulla unificazione dei socialisti: non c’è stato un ricambio, manca una nuova, vera classe dirigente e, come tutti sanno, occorrono anni e anni per poterla costruire. Oggi il socialismo italiano è, da un lato, un gruppo di vecchi dirigenti che (con tutto il rispetto e, per alcuni, ammirazione) vogliono giocare ancora, soprattutto in periferia, un ruolo da primattori, e, dall’altro, un popolo residuale, marginale rispetto ai percorsi ed alle strategie politiche di più ampio respiro. C’è insomma un lavoro immenso da fare nella società, tra i giovani, nelle università; un lavoro di conoscenza e di informazione, di proselitismo culturale, se non altro per evitare che il riformismo venga omologato ed etichettato semplicemente come l’evoluzione ideologica del gruppo dirigente ex comunista, invece di recepirlo, com’è corretto che sia, quale componente storica ricca di idee e valori, fortemente radicata nella storia del nostro Paese e nel suo processo di costruzione democratica. Idee e valori da cui bisognerebbe tentare di ripartire alla luce, ovviamente, dei bisogni e delle sfide (la ecologica in primis) della modernità.

Dunque, l’alternativa è tra il restare a galla degli scampati all’alluvione politico-giudiziaria dei primi anni Novanta e l’affondare impietosamente il bisturi. La Puglia, più che puntare all’ambizione di rappresentare il laboratorio della rinascita del partito socialista, potrebbe giocare una carta più nobile: promuovere gli stati generali del socialismo per una ridefinizione progettuale e programmatica e per la lenta costruzione di una nuova classe politica. Si possono tentare le due cose insieme, ma non presumere che la prima possa realizzarsi ed  avere lunga vita senza la seconda.

 

 

*Prof. Ord. di Storia delle dottrine politiche - Università di Lecce

 

 


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